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  Giuseppe Pignatale  Presenta:
   Storia contemporanea:

L'ITALIA NELL'ETA' DI CRISPI E GIOLITTI.

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Il progresso economico dopo l'unità d'Italia.

Nel 1870 l'agricoltura costituiva ancora in Italia la principale fonte della ricchezza nazionale. Essa però si trovava in condizioni molto arretrate rispetto a quella di altri paesi, sia per i tradizionali ed antiquati sistemi di lavorazione della terra, sia per l'estensione del latifondo e delle zone malariche.

Negli ultimi decenni del sec. XIX l'iniziativa privata e l'intervento statale diedero un forte impulso al rinnovamento agricolo del nostro paese: venne introdotto l'uso di macchine agricole e di concimi chimici; si intrapresero colture prima sconosciute o trascurate, come il lino, la canapa, il tabacco, i fiori, la barbabietola, dalla quale sorse l'industria dello zucchero; si allevò più razionalmente il bestiame, e il nostro patrimonio zootecnico fu notevolmente accresciuto e migliorato; si aumentò l'esportazione di alcuni prodotti, come il vino, il riso, gli agrumi, la frutta, gli ortaggi, i latticini, i fiori, che venivano acquistati dalla Francia per l'industria dei profumi.

Per aumentare le zone coltivabili si compirono grandi opere di bonifica, di canalizzazione, di irrigazione; per migliorare le condizioni dei contadini si provvide alla costruzione di strade e di case coloniche, e per promuovere la loro formazione professionale furono istituite scuole e cattedre ambulanti di agricoltura. In grazia di queste innovazioni e di questi lavori, nel 1914 la produzione agricola italiana era più che raddoppiata rispetto a quella dei 1870 11 progresso agricolo favori lo sviluppo delle industrie alimentari: gli zuccherifici, che nel 1898 erano appena quattro, nel 1914 erano diventati trentasette; i pastifici napoletani (Torre Annunziata, Gragnano) esportavano in tutto il mondo spaghetti, maccheroni, tagliatelle; l'industria casearia si sviluppò specialmente in Lombardia (Lodi) e in Emilia (Reggio, Parma); a S. Giovanni a 'Peduccio, presso Napoli, sorse l'industria di conserve alimentari Cirio. Nello stesso periodo di tempo fu quasi sestuplicata la produzione di tutte le altre industrie. Alcune industrie furono create quasi dal nulla, come quelle chimiche, elettriche, meccaniche e siderurgiche; altre, che avevano nobili tradizioni, come le industrie tessili, furono rinnovate e grandemente sviluppate. Gli industriali lanieri di Biella, di Schio, di Valdagno, di Prato, e quelli cotonieri di Milano, di Busto Arsizio, di Gallarate, di Legnano, di Novara, della Valle di Susa si affrettarono a introdurre nei loro stabilimenti i telai meccanici. Tra le nuove industrie, sorte in quegli anni, ricordiamo: gli stabilimenti Pirelli (Milano) per l'industria della gomma, delle condutture elettriche isolanti, dei cavi elettrici sottomarini; il complesso siderurgico Falck di Sesto S. Giovanni; i cantieri navali Ansaldo di Genova; gli stabilimenti Salmoiraghi (Milano) per la fabbricazione di strumenti ottici e di precisione; gli stabilimenti Brema di Milano; le grandi Acciaierie di Terni, che sfruttano la forza motrice delle famose cascate delle Marmore; la Società Italiana Edison di Elettricità, che nel 1883 costruì a Milano la prima centrale termoelettrica in Europa; gli stabilimenti chimici Montecatini, che resero l'Italia indipendente dall'estero nella produzione di fertilizzanti; le fabbriche automobilistiche FIAT e Lancia di Torino, ecc.


 Sopra: la linea ferroviaria italiana al  1870; sotto: la stessa ai primi del  1900.

Furono utilizzate al massimo le scarse risorse del nostro sottosuolo, intensificando l'estrazione dello zolfo in Sicilia, del mercurio in Toscana (Monte Amiate), dello zinco e del piombo in Sardegna, del ferro nell'isola d'Elba e nella Valle d'Aosta, dell'alluminio in Abruzzo. Per supplire alla mancanza di carbon fossile, nel giro di pochi anni si costruirono numerosi impianti idroelettrici. Milano e Torino furono illuminate con lampadine elettriche nel 1885; nel i890 fu elettrificata la ferrovia Firenze-Fiesole, e prima del 1900 già funzionavano i tram elettrici a Milano, a Torino, a Genova, a Roma, Le ferrovie, che nel 190ó furono nazionalizzate, nel 1914 raggiungevano uno sviluppo di 18 mila chilometri di lunghezza. Per facilitare gli scambi coi paesi transalpini furono compiuti i grandiosi lavori di scavo dei trafori del Gottardo (1882) e del Sempione (1906), lunghi da 18 a 20 chilometri.
Lo sviluppo del commercio accompagnò l'incremento agricolo e industriale. Vinta o arginata la concorrenza straniera sul mercato interno, il lavoro italiano entrò in gara nel campo internazionale: i nostri prodotti vennero conosciuti e apprezzati alle grandi fiere estere, e le esposizioni internazionali di Milano (1906) e di Torino (1911) richiamarono sull'Italia l'attenzione di tutto il mondo economico.


Incremento demografico ed emigrazione.

Come conseguenza del progresso economico, sociale e morale a cui gli Italiani si avviarono dopo l'unificazione, dal 1861 in poi si ebbe in Italia un costante incremento demografico, che portò la popolazione dai 22 milioni del 1861 ai 37 milioni del 1914, aumentando la densità da 87 a 121 abitanti per chilometro quadrato.






Sopra: Giuseppe Petrosino, 1860-1909, fu una delle vittime della Mano Nera.

Joe Petrosino.

Tanta densità in un paese prevalentemente agricolo, spesso turbato da crisi, doveva creare uno squilibrio e dar la spinta a un forte movimento migratorio, che fu maggiore nel Mezzogiorno per la scarsa produttività della terra e per il sistema tributario che colpiva anche il reddito agrario più esiguo. L'impossibilità di trovar lavoro e sufficienti mezzi di vita nel loro paese spingeva quindi una parte degli Italiani ad emigrare all'estero, mentre un'altra parte riusciva a collocarsi trasferendosi da una regione all'altra della Penisola. Il movimento, che nel decennio 1900-19l0 raggiunse la cifra di 6 milioni, ebbe perciò diversi sbocchi. Si trattò di movimento migratorio interno, diretto specialmente dal Sud al Nord dell'Italia, del fenomeno dell'urbanesimo, alimentato dai contadini che abbandonavano il lavoro dei campi per entrare come operai negli stabilimenti delle grandi città, e di emigrazione all'estero.
Questa si distingueva in temporanea, spesso soltanto stagionale, diretta verso l'Europa (Svizzera, Francia, Germania), e permanente, diretta verso l'Africa mediterranea (Tunisia) e verso l'America del Sud (Argentina, Brasile) o dei Nord (Stati Uniti).
II governo italiano, fedele al principio liberale del " lasciar fare " e del " lasciar passare ", si disinteressava di questo importante movimento demografico, e lasciava partire senza vere e proprie garanzie e prive di assistenza le schiere dei lavoratori, la maggior parte dei quali erano braccianti analfabeti, ignari della lingua, senza nessuna preparazione professionale, disposti a qualsiasi lavoro e facili da accontentare con qualsiasi retribuzione. Essi si affidavano agli organizzatori, spesso disonesti, che facevano grandi promesse e, dopo averli spogliati dei pochi soldi che erano riusciti a mettere faticosamente da parte, li caricavano su una nave e li abbandonavano alla loro sorte. Giunti nei nuovi paesi, cadevano nelle mani degli imprenditori, ugualmente disonesti, che li impiegavano come mano d'opera a buon mercato nei lavori più ingrati e più umili, intascando una parte cospicua dei loro miseri guadagni.
Per la loro ingenuità e per il loro spirito di adattamento, essi erano disprezzati e derisi dagli altri lavoratori, e spesso odiati, perché con le loro modeste pretese e l'eccellente rendimento nel lavoro costituivano dei temibili concorrenti. Per impedire che il sentimento della patria lontana si spegnesse in questi suoi figli, che sovente assumevano anche la cittadinanza dei paesi che li ospitavano, nel 1889 lo scrittore Ruggero Bonghi fondò a Roma la Società Dante Alighieri, con lo scopo di tutelare e di difendere, per mezzo di scuole, di circoli di cultura e di conferenze, la lingua e la cultura italiana nel mondo. Per tutelare i loro interessi materiali e per provvedere alla loro assistenza spirituale e morale sorsero, dopo il 1885, alcune istituzioni religiose, come, la Congregazione dei Missionari di S. Carlo per l'assistenza degli emigrati nelle Americhe, fondata dal vescovo di Piacenza mons. Scalabrini; la Congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù per la cura e l'assistenza dei figli degli emigrati italiani in tutte le parti del mondo, con l'istituzione di ospedali, orfanotrofi, scuole, fondata dalla maestra elementare Francesca Cabrini, che nel 1946 fu innalzata agli onori degli altari; l'Opera di assistenza agli operai emigrati, fondata dal vescovo di Cremona mons. Bonomelli, che si interessò soprattutto degli emigrati nei paesi europei.
Finalmente intervenne anche il governo, in seguito a un'inchiesta parlamentare sullo sfruttamento dei nostri lavoratori emigrati, e nel 1901 costituì, come sezione del ministero degli Esteri, il Commissariato generale per l'emigrazione.
Complessivamente più di dieci milioni d'Italiani si sparsero per il mondo a fecondare col loro intelligente lavoro e con la loro tenace volontà le terre che li ospitavano. La loro partenza dall'Italia fu una delle cause del progressivo impoverimento di alcune nostre regioni agricole, rimaste prive di giovani e di forti braccia da lavoro, e in questo senso essa fu un danno per il nostro paese; ma le rimesse degli emigrati ai familiari lasciati in Italia contribuirono molto al risanamento del nostro bilancio statale, giovando così alla rinascita economica di tutta la penisola.


I nostri uomini politici dopo aver attuato la politica delle mani nette, secondo la quale l'Italia, essendo da poco uscita dal Risorgimento, non poteva sottomettere e sfruttare un altro popolo, si resero conto però poi che le colonie potevano risolvere molti nostri problemi iniziando così la penetrazione coloniale italiana in Africa con la creazione delle seguenti colonie italiane: Eritrea, Somalia italiana, e, infine la Libia tolta all'impero turco. .



II risveglio culturale ed artistico.

Dopo la promulgazione della legge sull'istruzione elementare gratuita ed obbligatoria (1877), l'analfabetismo in Italia diminuì rapidamente col rinnovarsi della generazione. II risveglio nazionale favori negli Italiani anche il risveglio intellettuale ed artistico. La più attiva partecipazione delle masse popolari alla vita politica con l'introduzione del suffragio universale, l'organizzazione delle classi operaie in associazioni e in partiti, e soprattutto il loro migliorato tenore di vita in seguito alla trasformazione economica del paese e alla promulgazione delle leggi sociali, contribuirono i destare l'interesse per la cultura in masse sempre più numerose di cittadini.

Perciò la letteratura, le arti e le scienze, nelle quali la nuova Italia conservò un posto eminente, negli inni che precedettero la prima guerra mondiale non furono più un privilegio di pochi eletti, com'erano state nel passato, ma trovarono cultori e intenditori in tutti gli strati della popolazione.
Tra le opere degli scrittori, oltre il capolavoro del Manzoni che continuò ad acquistare sempre nuovi ammiratori, furono letti con particolare interesse i romanzi del vicentino Antonio Fogazzaro (Piccolo Mondo Antico, Piccolo Mondo Moderno), che rappresentano drammaticamente il dissidio tra la ragione e la fede, e quelli del catanese Giovanni Verga (I Malavoglia, Mastro don Gesualdo), che descrivono, seguendo i canoni di una nuova corrente letteraria detta verismo, la vita dell'umile gente siciliana, forte anche nella povertà e nella sventura.
Tra i canti dei poeti, ebbero larga eco nel cuore degli Italiani le poesie rievocatrici delle glorie patrie di Giosuè Carducci, il primo scrittore italiano che meritò di essere insignito del premio Nobel per la letteratura (1906), quelle di Giovanni Pascoli, nelle quali sono raccolte e interpretate con sincerità ed immediatezza tutte le voci della natura, quelle di Gabriele D'Annunzio, che in uno stile vario e prezioso esaltano la bellezza e la gioia della vita e il sentimento della patria.
Tra i musicisti, commossero e continuano ancor oggi a commuovere tutti gli animi sensibili le melodie di Giuseppe Verdi (Rigoletto, Il trovatore, La traviata, La forza del destino, Aida,

  Sopra: emigranti.
Otello), di Giacomo Puccini (Bohème, Tosca, Madama Butterfly), di Arrigo Boito (Mefistofele, Nerone), di Pietro Mascagni (Cavalleria rusticana), di Francesco Cilea (Arlesiana, Adriana Lecouvreur), di Umberto Giordano (Andrea Chénier, Fedora).
Furono inoltre ammirati i quadri dei pittori impressionisti, specialmente di Tranquillo Cremona (I cugini, Amor materno, L'edera), e di quelli paesisti, come Antonio Fontanesi (Paesagggio, Sole d'inverno, Alla fonte, Vespero autunnale) e Giovanni Segantini (Pascoli alpini, Alla stanga, Le due madri), e venne seguito con attenzione e spesso con animate discussioni il sorgere di opere architettoniche nelle varie città, primo fra tutte il monumento a Vittorio Emanuele II, inaugurato in Roma nel cinquantenario dell'Unità (1911), che nel 1921 accolse la salina del Soldato Ignoto.
Grande interesse gli Italiani rivolsero anche alle conquiste della scienza e della tecnica, che resero possibile la rapida rinascita della nuova Italia, e Guglielmo Marconi, inventore della radiotelegrafia, venne esaltato come una fulgidissima gloria della gente italica e come un grande benefattore di tutta l'umanità.


 A destra: inaugurazione della Galleria
 del Sempione - 4 febbraio 1906 - (Milano,
 Archivio Bertuelli).



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Giuseppe Petrosino nacque a Padula, in provincia di Salerno, il 30 agosto 1860, da una famiglia modesta, ma non povera: con il suo lavoro di sarto, il padre era riuscito a far studiare i suoi quattro figli maschi. Poi emigrò con la famiglia a New York nel 1873 e crebbe nell'ambiente di Little Italy. Il piccolo Giuseppe per vivere si era messo a vendere giornali, a lucidar scarpe e a studiare la lingua inglese. Nel 1877, Joe (come ormai si chiamava) prese la cittadinanza statunitense, facendosi assumere l'anno dopo come netturbino dall'amministrazione newyorkese. Era caposquadra quando, una dopo l'altra, avevano incominciato ad arrivare in America le fitte schiere degli emigranti italiani.
Questo fenomeno aveva posto le autorità americane di fronte a gravissimi problemi, primo quello dell'ordine pubblico. I poliziotti, quasi tutti ebrei o irlandesi, non riuscivano a capire gli immigrati né a farsi capire da loro: questo generava un clima a favore delle organizzazioni criminose che giunsero in breve a controllare tutta la Little Italy, ghetto malsano, fetido, superaffollato, dove una povera umanità sradicata (e che s'era portata appresso la propria sfiducia nell'autorità costituita) doveva lottare ogni giorno per la vita. Little Italy era il terreno ideale per la pianta del crimine. Con gli emigrati ansiosi di lavoro erano sbarcati negli Stati Uniti avventurieri, evasi e latitanti.
Dipendente dal Dipartimento di polizia come spazzino, Petrosino era stato poi impiegato come informatore; nel 1883, non senza difficoltà, era stato ammesso alla polizia. Faceva un certo effetto vedere quell'uomo basso e atticciato (non superava il metro e sessanta), tra i giganteschi poliziotti irlandesi: in compenso Petrosino aveva spalle larghe, bicipiti possenti e, ciò che più contò per il suo arruolamento, grinta ed intelligenza: quello che gli aveva permesso di superare le difficoltà derivanti dal fatto di essere l'unico poliziotto italiano, perciò dileggiato dai connazionali e guardato con un certo sospetto dai colleghi.
Determinante ai fini della sua carriera, oltre al suo impegno, era stata la stima riposta in lui da Theodore Roosevelt, assessore alla polizia (e poi presidente degli Stati Uniti): grazie al suo appoggio nel 1895 Petrosino era stato promosso sergente, liberato dal servizio d'ordine pubblico, e quindi dalla divisa, e destinato alla conduzione d'indagini. I criminali di Little Italy si erano trovati improvvi- samente di fronte ad un nemico che parlava la loro stessa lingua, che conosceva i loro metodi, che poteva entrare nei loro ambienti. Joe Petrosino nutriva una sorta di cupo, rovente rancore verso quei delinquenti che stavano dissipando il patrimonio di stima che gli immigrati italiani avevano costruito.
Ciò non significava che egli non comprendesse le cause di quella situazione; gli era ben chiaro che oltre alle misure di ordine pubblico occorreva agire sulle cause delle delinquenza: l'ignoranza e la miseria. Risolti brillantemente numerosi casi (il più celebre fu il "delitto del barile" nel 1903), abile nel travestirsi, rapido nell'azione, inflessibile e quasi feroce verso i criminali, divenuto quasi un simbolo della lotta a favore della giustizia e della legge, Joe Petrosino (un po' snob: abito scuro, cappello duro, camicia bianca, scarpe dal tacco alto) era stato via via assegnato ad incarichi di sempre maggiore responsabilità.
Nel 1905, divenendo poi tenente, gli era stata affidata l'organizzazione d'una squadra di poliziotti italiani, l'Italian Squad (composta di cinque membri, tra cui il successore di Petrosino, Michael Fiaschetti), e ciò aveva reso più proficua ed efficace la sua lotta senza quartiere contro la Mano Nera, una tenebrosa organizzazione a carattere mafioso, con ramificazioni in Sicilia, attraverso la quale si esprimeva il racket. Un'occasione che vide Petrosino e l'"Italian Squad" contro la Mano Nera riguardò Enrico Caruso che, in tournée a New York, fu ricattato dai gangster sotto minaccia di morte. Petrosino convinse Caruso ad aiutarlo nel catturare i criminali.
In precedenza Petrosino si era infiltrato nell'organizzazione anarchica responsabile della morte del re d'Italia Umberto I, scoprendo l'intenzione di assassinare il presidente americano William McKinley durante una sua visita all'Esposizione Pan-Americana di Buffalo. McKinley, informato attraverso i servizi segreti, ignorò l'avvertimento e fu effettivamente ucciso il 6 settembre 1901 da Leon Czolgosz.
Proprio seguendo una pista che avrebbe dovuto portarlo ad infliggere, forse, un decisivo colpo alla Mano Nera, Petrosino era giunto in Italia. La missione era top secret, ma a causa di una fuga di notizie tutti i dettagli furono pubblicati sul New York Herald. Petrosino partì comunque nell'erronea convinzione che in Sicilia la Mafia, come a New York, non si azzardasse a uccidere un poliziotto. Alle 20.45 di venerdì 12 marzo 1909, tre colpi di pistola in rapida successione e un quarto sparato subito dopo, suscitano il panico nella piccola folla che attende il tram al capolinea di piazza Marina a Palermo. C'è un generale fuggi fuggi: solo il giovane marinaio anconetano Alberto Cardella (Regia Nave Calabria della Marina Militare) si lancia coraggiosamente verso il giardino Garibaldi, nel centro della piazza, da dove sono giunti gli spari: in tempo per vedere un uomo cadere lentamente a terra, ed altri due fuggire scomparendo nell'ombra. Non c'è soccorso possibile, l'uomo è stato raggiunto da quattro pallottole: una al collo, due alle spalle, e un quarto mortale alla testa. Poco dopo si scopre che si tratta del detective Giuseppe Petrosino, il nemico irriducibile della malavita italiana trapiantata negli Stati Uniti, celebre in America come in Italia quale protagonista della lotta al racket.
Il console americano a Palermo telegrafa al suo governo: Petrosino ucciso a revolverate nel centro della città questa sera. Gli assassini sconosciuti. Muore un martire. Il governo mise subito a disposizione la somma di 10.000 lire, corrispondenti a quasi 40.000 euro attuali, per chi avesse fornito elementi utili a scoprire i suoi assassini. La paura della mafia però è più forte dell'attrazione esercitata da quell'elevata offerta di soldi: le bocche rimangono chiuse. Circa 250.000 persone parteciparono al suo funerale a New York, un numero fino ad allora mai raggiunto da alcun funerale in America.
Si ritiene che il responsabile della sua fine sia il boss Vito Cascio Ferro di Bisacquino, tenuto d'occhio da Petrosino sin da quando questi era a New York, ed il cui nome era in cima ad una "lista di criminali" redatta dal poliziotto italoamericano e trovata nella sua stanza d'albergo il giorno della morte. Probabilmente (e questo fu un sospetto anche della polizia palermitana dell'epoca) vi è un collegamento tra la morte di Petrosino e alcuni personaggi malavitosi appartenenti alla cosca newyorkese di Giuseppe "Piddu" Morello noti per il loro presunto legame al caso del "corpo nel barile" (un famoso omicidio avvenuto a New York nel 1903). Infatti due uomini di questa cosca erano ritornati in Sicilia nello stesso periodo del viaggio di Petrosino rimanendo in contatto con il boss newyorkese.
L'ipotesi più verosimile è che Morello e Giuseppe Fontana (emigrato in America dopo l'assoluzione per l'omicidio Emanuele Notarbartolo e aggregatosi alla banda di Giuseppe Morello) si siano rivolti a Vito Cascio Ferro affinché organizzasse l'omicidio del poliziotto per loro conto.
Quando Cascio Ferro venne arrestato gli fu trovata addosso una fotografia di Petrosino. Il malavitoso aveva però un alibi per conto di un deputato amico di Cascio Ferro. Quando il pugno di ferro fascista, anni più tardi, arrestò don Vito e lo condannò all'ergastolo per un omicidio imputatogli, il boss fu intervistato in prigione; dichiarò di aver ucciso un solo uomo in tutta la sua vita e disse di averlo fatto in modo disinteressato. La tesi però non è mai stata del tutto confermata.