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  Giuseppe Pignatale  Presenta:
   Storia contemporanea:

LA PENETRAZIONE COLONIALE ITALIANA IN AFRICA:

Dall'inizio, alla creazione delle colonie Eritrea e Somalia Italiana fino alla guerra Italo-turca per la conquista della Libia ......

 
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Sopra: la Battaglia di Dogali. - Sotto: Il maggiore Salsa nella tenda di Menelik per le trattative di pace.

Nel 1881 i nostri uomini di governo si erano lasciati precedere dalla Francia nell'occupazione della Tunisia e l'anno seguente avevano rifiutato l'offerta dell'Inghilterra di partecipare all'occupazione dell'Egitto. Presto però essi si accorsero di aver commesso un errore, perché le colonie, se per altri Stati europei rappresentavano un'affermazione di potenza politica cd economica, per l'Italia avrebbero potuto costituire un mezzo per risolvere il probktna della insufficienza del territorio nazionale a dar pane e lavoro a tutta la sua popolazione.
Nel 1882, essendo presidente del Consiglio il Depretis, il governo italiano rilevò dalla Compagnia di navigazione Rubattino la baia di Assab, sulla costa africana del Mar Rosso, che essa aveva acquistato da un sultano locale nel 1869, dopo l'apertura del Canale di Suez, per farne uno scalo alle proprie navi della linea d'Oriente.


Da quella baia ebbe inizio la penetrazione italiana in terra d'Africa. Un nostro corpo di spedizione militare, colà inviato, in breve occupò tutta la costa della Dancalia, raggiungendo il porto di Massaua (1885), e tutta la pianura compresa tra il mare e l'altopiano etiopico. Ma quando esso si spinse anche verso l'altopiano, venendo a contatto diretto con gli Abissini, allora il ras (= capo) Alula, vassallo del negus ( imperatore) d'Etiopia, attaccò e distrusse a Dogali (1887) una nostra colonna di 5oo uomini comandata dal Colonnello De Cristoforis, costringendo gli Italiani a ritornare nella pianura.

Lo stesso anno, essendo morto il Depretis, alla presidenza del Consiglio fu assunto il siciliano Francesco Crispi, che si rivelò come il più convinto sostenitore della politica coloniale italiana, prima di tutto perché era pieno di fede nel destino dell'Italia di diventare una grande Potenza, e in secondo luogo perché pensava che con le conquiste coloniali avrebbe posto un freno all'emigrazione, offrendo buone possibilità di lavoro sotto la nostra bandiera alla popolazione in continuo aumento. Perciò si affrettò a disporre l'invio in Africa di un nuovo corpo di spedizione, il quale riconquistò in breve tutte le posizioni perdute dopo l'eccidio di Dogali e si spinse fino all'altopiano dell'Asmara (1888).
Nel 1888 sul trono d'Etiopia salì il negus Menelik, avendo conquistato la corona con l'appoggio italiano. Per dimostrare la propria gratitudine, egli acconsentì a firmare col nostro governo il Trattato di Uccialli, col quale riconobbe all'Italia il protettorato su tutta l'Abissinia.

L'anno dopo i territori occupati nella regione del Mar Rosso furono riuniti sotto un'unica amministrazione e formarono la nostra Colonia Eritrea. Contemporaneamente l'Italia diede inizio all'occupazione della Costa dei Sòmali, sull'Oceano Indiano. La conquista, che in grazia di accordi con i sultani locali non richiese importanti operazioni militari, in un primo tempo fu limitata al Benadir, e successivamente si estese verso Nord, comprendendo tutta la larga fascia costiera che va dalla foce del Giuba al Golfo di Aden. A questo territorio fu dato il nome di Somalia Italiana. Trascorsi pochi anni, il negus Menelik ruppe il Trattato di Uccialli e, rifornito di armi moderne da alcune Potenze europee, mosse guerra al corpo di occupazione italiano. Allora il nostro presidio dell'Amba-Alagi, che sotto il comando del maggiore Toselli difendeva il passo sulla via imperiale che da Addis-Abeba conduce sino all'Asmara, fu distrutto (1895); il presidio del forte di Macallè, comandato dal maggiore Galliano, dopo quaranta giorni di eroica resistenza fu costretto alla resa; e lo stesso generale, Baratieri, comandante in capo del nostro corpo di occupazione, che volle affrontare con 18.000 uomini l'esercito enormemente superiore del negus, fu duramente sconfitto ad Adua (1° marzo 1896).

La situazione militare nella Colonia venne rapidamente ristabilita con l'invio di un nuovo corpo di truppe comandato dal generale Baldissera, ma Francesco Crispi fu costretto a dimettersi dal governo, lasciando la presidenza del Consiglio al marchese Antonio Di Rudini. Questi si affrettò a concludere la pace con Menelik, rinunciando al protettorato sull'Abissinia e conservando il territorio occupato anteriormente al Trattato di Uccialli, costituente la Colonia Eritrea.

I moti del 1898. Il rovescio militare di Adua suscitò vivi risentimenti in tutto il paese, già agitato per le mancate promesse del governo di elevare il tenore di vita delle classi popolari. Lo Stato italiano attraversò allora un grave periodo di crisi, che esplose violenta soprattutto negli ultimi quattro anni del secolo, durante i quali si intensificarono nelle città e nelle campagne le agitazioni operaie, i disordini di piazza e gli attentati anarchici. II governo non si rese conto che alla base di essi vi erano reali motivi di ordine economico e sociale, ma li considerò come degli attentati, mossi dai partiti estremisti, contro gli ordinamenti dello Stato, e credette di poterli soffocare mediante le repressioni. Particolarmente gravi e violenti furono i moti del 1898, causati dal rincaro del prezzo del pane. Essi ebbero origine nelle Romagne e si propagarono rapidamente a quasi tutte le regioni, raggiungendo il loro culmine a Milano, dove fu dichiarato lo stato d'assedio.
Nel capoluogo lombardo, poiché durante i tumulti avevano perso la vita due guardie di pubblica sicurezza, il generale Bava-Beccaris diede ordine di disperdere la folla a cannonate: un centinaio di cittadini, tra cui donne e ragazzi, caddero uccisi, e un numero molto maggiore rimasero feriti. Seguirono arresti e condanne dei capi dei movimenti di sinistra; stolti giornali furono soppressi; molte organizzazioni repubblicane, socialiste, cattoliche vennero sciolte; Camere del Lavoro, banche cittadine, società di mutuo soccorso furono chiuse.
Con una inspiegabile mancanza di sensibilità, il generale Bava-Reccaris. per i " servigi resi alla civiltà" fu dal re Umberto I insignito della Gran Croce dell'Ordine militare di Savoia.
II Di Rudini fu costretto a dimettersi. II nuovo presidente dei Consiglio Luigi Pelloux, deciso a riportare ad ogni costo il Paese alla normalità, presentò al Parlamento alcuni provvedimenti restrittivi delle pubbliche libertà, contrari allo Statuto del Regno, ma i deputati della Sinistra ne impedirono l'approvazione. Allora la Camera fu sciolta e nel giugno del 1900 vennero rifatte le elezioni. Ma neppure il nuovo ministero, formato da Giuseppe Saracco, riuscì a ridare la tranquillità al paese.
Il 29 luglio 1900 a Monza, sul finire di una manifestazione sportiva, il re Umberto 1, mentre passava in carrozza tra gli applausi del popolo, venne assassinato a colpi di pistola dall'anarchico Gaetano Bresci. A lui successe il figlio Vittorio Emanuele III, sposato con la principessa Elena del Montenegro.
Nel 1903 divenne capo del governo il piemontese Giovanni Giolitti, rappresentante delle tendenze democratiche intermedie fra i conservatori della Destra e i socialisti della Sinistra, nell'equilibrio parlamentare egli si valse di maggioranze composte di uomini appartenenti a tutti i partiti, secondo il sistema del trasformismo già adottato dal Depretis, e tenne la Presidenza dei Consiglio per circa undici anni, fino alla vigilia della prima guerra mondiale.
Con lui finalmente l'Italia godette di un periodo di tranquillità interna, durante il quale non solo prosperò la nostra economia, ma lo Stato cominciò ad interessarsi delle necessità delle classi operaie, contribuendo a migliorare notevolmente il tenore di vita di tutto il popolo italiano. La floridezza economica, raggiunta mediante il risveglio di tutte le attività lavorative favorito dalla pacificazione degli animi, fece sentire i suoi benefici effetti già nel 1906 con la riduzione del debito pubblico e con l'importanza acquistata dalla nostra lira nei mercati internazionali, tanto da essere preferita persino alla sterlina inglese.
Lo Stato italiano, apprezzato e rispettato all'estero, si avviò così a diventare veramente un grande Stato moderno. Nel campo sociale il Giolitti, partendo dalla considerazione che "osteggiare il movimento operaio significa rendere nemici dello Stato i lavoratori ", si propose di persuadere le classi operaie " non con le chiacchiere, ma coi fatti, che dalle istituzioni attuali esse possono sperare assai più che non dai sogni dell'avvenire".
Prima di tutto egli volle che il suo governo, pur senza venir meno al principio della neutralità, esercitasse -un'azione pacificatrice e qualche volta anche conciliatrice o nei conflitti tra capitale e lavoro, e in secondo luogo accolse molte istanze del partito socialista, tra le quali la tutela del diritto di sciopero e il riconoscimento della legittimità dell'azione svolta dalla Camera del Lavoro per l'aumento dei salari e per la conquista di migliori condizioni di lavoro. Tra le leggi sociali, promulgate durante il governo presieduto da Giolitti, ricordiamo in modo speciale quelle concernenti la sanità pubblica, le case economiche popolari, le società cooperative e agricole, gli infortuni del lavoro, la cassa di invalidità e vecchiaia, il lavoro delle donne e dei fanciulli, il riposo festivo. Nel 1908 fu riformata anche la legge elettorale, con l'estensione del diritto di voto anche ai cittadini analfabeti, purché avessero prestato il servizio militare oppure avessero raggiunto il trentesimo anno di età. Con questa riforma il numero degli elettori sali da quattro a otto milioni e lo Stato italiano fece un gran passo avanti verso la democrazia.


La conquista della Libia e dei Dodecanneso.

Nel 1911 Giolitti decise la conquista della Cirenaica e della Tripolitana, due regioni dell'Africa mediterranea che costituivano il territorio dell'antica Libia e che allora si trovavano sotto la sovranità dell'Impero Ottomano. A riprendere la politica coloniale del Crispi, sebbene egli fosse in generale contrario a qualsiasi avventura militare, fu indotto principalmente da due motivi: il desiderio di dirigere verso terre protette dalla bandiera nazionale l'esuberante popolazione italiana, sottraendo i nostri lavoratori allo sfruttamento al quale spesso erano sottoposti all'estero, e il timore che quelle terre potessero venire occupate da qualche altra Potenza europea, che avrebbe completato l'accerchiamento in cui la Francia da una parte e l'Inghilterra dall'altra avevano già chiuso l'Italia nel Mediterraneo. Prima di accingersi all'impresa, Giolitti si preoccupò di ottenere l'assenso anglofrancese, concedendo in cambio l'assicurazione che l'Italia non si sarebbe opposta all'occupazione dell'Egitto da parte dell'Inghilterra e del Marocco da parte della Francia. Quindi, prendendo a pretesto alcuni atti illegali commessi a Tripoli dalle autorità turche a danno di commercianti italiani, il 29 settembre dichiarò guerra alla Turchia e mandò in Africa un forte corpo di spedizione al comando del generale Carlo Canèva, il quale sbarcò nei principali punti della costa, via Tripoli a Tobruck (ottobre 1911). La guerra durò circa un anno e fu molto aspra, perché gli Arabi, organizzati da ufficiali turchi e forniti di armi moderne, agivano su terreno a loro ben noto; inoltre i beduini del deserto, abilissimi nella guerriglia e nei colpi di mano, si battevano con grande accanimento spinti dal loro fanatismo religioso. Le nostre troppe. appoggiate per la prima volta nella storia militare dall'aviazione, strapparono ad una ad una al nemico le città della Cirenaica e della Tripolitania, mentre la flotta vigilava nel Mediterraneo per proteggere i nostri convogli e per impedire il contrabbando di armi in favore del nemico.
 

 Sopra: battaglia di Ain Zara - 4 dicembre 1911.


Sopra: l'Eritrea, prima colonia italiana in terra d'Africa.
Sotto: la Somalia italiana, conquistata dall'Italia tra il 1889 e il 1892.


Sopra: Francesco Crispi

Sotto: Umberto I a Monza.


Sotto: Giovanni Giolitti.



Nella primavera del 1912 il generale Ameglio occupò l'isola di Rodi e le altre minori isole del Dodecanneso (Sporadi meridionali); nella notte dal 18 al 19 luglio il capitano di vascello Enrico Millo penetrò con cinque torpediniere nel fortificatissinw Stretto dei Dardanelli col proposito di bombardare la flotta turca che si trovava nel Mar di Marmara, ma scoperto e sottoposto al fuoco delle batterie costiere, fu costretto a desistere


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dall'impresa. La guerra italo-turca ebbe termine il 18 ottobre 1912 con la firma della Pace di Losanna, in Svizzera: all'Italia venne riconosciuto il possesso della Libia, dalla quale la Turchia si impegnava a ritirare tutte le sue truppe. Poiché tale impegno non fu mantenuto e la guerriglia continuò ancora per molto tempo, l'Italia conservò anche il possesso del Dodecanneso. La Libia, in gran parte desertica, offriva limitate possibilità economiche, ma era importante per l'estensione territoriale e per lo sviluppo costiero e ci garantiva una maggior sicurezza e libertà di movimento nel Mediterranco. Gli Italiani la considerarono come la quarta sponda della loro Penisola e si diedero con ardore all'opera di colonizzazione, trasformando a poco a poco il deserto in campi ben coltivati e i villaggi in belle e moderne città.