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  Giuseppe Pignatale  Presenta:
 
 Storia Antica:
 Il mondo romano:
 rev.01 del 05/05/2012.

LE GUERRE PUNICHE.

Con le Guerre Puniche, Roma diviene potenza marittima e con la distruzione di Cartagine il Mediterraneo diviene Mare Nostrum ......

 
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 APPROFONDIMENTI:
 Annibale.


Sopra: ricostruzione di Cartagine.

Cartagine mira all'egenomia sul Mediterraneo. Mentre Roma conquistava l'Italia, sulla sponda opposta del Mediterraneo, di fronte alla Sicilia, nell'attuale Tunisia, si era venuta affermando un'altra città: Cartagine.

Era questa un'antica colonia fenicia di Tiro, che, divenuta potente, da tempo rivaleggiava nei commerci con le città della Sicilia e della Magna Grecia. Con il decadere della potenza greca, Cartagine vedeva sempre più vicino il momento in cui avrebbe potuto avere nelle mani tutti i commerci dei Mediterraneo: ed ecco che si trovava di fronte Roma, la quale, dominando ormai l'Italia, si

 

rendeva conto di non poter più restar un semplice stato agricolo e di dover trasformarsi in potenza marittima.
Per qualche tempo Cartaginesi e Romani cercarono di andare d'accordo: abbiamo visto che, durante la guerra tarentina, si erano perfino alleati per sottomettere le città greche della Sicilia. Ma, partito Pirro e caduta Taranto, risultò evidente che uno dei due era di troppo.
I Cartaginesi possedevano circa metà della Sicilia, nel cuore del Mediterraneo: se avessero conquistato tutta l'isola, sarebbe stato assai difficile togliere loro il primato sul mare. Così, fra Roma e Cartagine. ebbe inizio una partita che aveva per posta la Sicilia.

 

LA PRIMA GUERRA PUNICA.

Una banda di avventurieri suscita la Prima Guerra Punica. Come sempre accade, la guerra, ormai pronta a scoppiare, fu accesa da un episodio molto secondario. Un nucleo di soldati di ventura campani, i Mamertini, nei 284 prima di Cristo, si era impadronito della città di Messina e di lì aveva preso a fare scorrerie per tutta l'isola. Vari anni più tardi Gerone, tiranno di Siracusa, volle porre termine alle loro prepotenze: li sconfisse e stava per sottometterli quando Cartagine si fece avanti con la scusa di difendere i Mamertini. Questi pero non si lasciarono illudere: sapevano che Cartagine voleva impadronirsi della loro città, e sapevano anche che, quando occupava una città, Cartagine seguiva l'antico uso asiatico: annientava i vecchi padroni e si sostituiva ad essi.
In realtà i Cartaginesi avevano la stessa cattiva fama che si erano guadagnati i loro padri, i Fenici. La loro falsità era proverbiale e non meno nota era la loro crudeltà. Le popolazioni loro soggette erano sfruttate senza misericordia, costrette a esosi tributi, considerate pure fonti di guadagno.
II loro governo era affidato a una piccola aristocrazia di commercianti il cui principale ideale era la ricchezza. Nulla vi era in loro che assomigliasse a quell'ideale di unione familiare tipicamente romano, fondato sul rispetto filiale, la semplicità dei costumi, la dignità, il virile coraggio, l'ossequio alle tradizioni e alle leggi.
Di fronte all'imminente pericolo. i Mamertini si ricordarono di essere italici e quindi soggetti a Roma. e a Roma chiesero aiuto: al dominio cartaginese era mille volte preferibile il dominio romano, che, con politica tutta nuova, non distruggeva né mortificava i popoli sottomessi, anzi li rendeva elementi validi e vitali del suo potere. I Romani, dopo qualche esitazione, sapendo l'importanza della loro decisione, intervennero: sconfissero Gerone - costringendolo un patto di alleanza - e i Cartaginesi, che si erano alleati con lui, e occuparono Messina. Cominciava così, nel 264 avanti Cristo, la prima guerra punica, così detta dal nome latino, punici, dei Fenici e dei Cartaginesi.

Roma diventa potenza navale. I Romani che erano forti sulla terraferma non riuscirono ad impedire che la flotta cartaginese d evastasse le coste della Penisola Italica e rifornisse il proprio esercito assediato in alcune fortezze in Sicilia. Ben presto si resero conto che per portare un successo definitivo sul nemico, era necessario combatterlo in mare. Per combattere un nemico al di là del mare e animato da secoli a un'attività marinara, era necessaria quindi una flotta. I Romani, all'inizio, di navi se ne intendevano poco; la loro flotta molto modesta: pesanti barconi che cercavano di imitare la trireme greca e che non avevano mai sostenuto un vero combattimento. I Tarentini non avevano fatto fatica a sbaragliarli. Per creare una flotta da guerra dovettero prendere a modello lo scheletro di una nave cartagincse naufragata.
Ma non bastava avere delle navi: bisognava anche saperle manovrare in battaglia, cosa assai difficile per un popolo abituato a combattere sulla terraferma. Idearono allora una singolare innovazione: una specie di ponte levatoio che, abbassandosi, afferrava con un uncino le navi nemiche e costituiva una solida piattaforma su cui la battaglia navale si trasformava in una specie di battaglia terrestre. In un paio di mesi costruirono con ritmo febbrile centoventi navi - cento quinquiremi e di venti triremi - munite di questi goffi ponti che fecero ridere i Cartaginesi, quando li videro per la prima volta, ma che dovevamo dare ottima prova. Con questa flotta il console Gaio Duilio potè riportare splendide vittorie come Capo Mile,nelle acque presso Milazzo. In suo onore venne eretta nel Foro una colonna fregiata dai rostri delle navi catturate. . I generale Attilio Regolo, con un piccolo esercito, giunse addirittura a portare la guerra sul suolo africano impadronendosi di trecento villaggi.

Attilio Regolo. Non c'è da meravigliarsi se questi successi imbaldan- zirono l'animo dei Romani e, in particolare, quello di Regolo, che aveva ormai il comando supremo e la direzione della guerra. Cartagine, sgomenta aveva chiesto la pace: ma Regolo, convinto di avere il nemico nelle sue mani, impose condizioni inaccettabili, tali da costringere i Cartaginesi a fare un ultimo sforzo combattendo con le energie della disperazione. Furono fatti, secondo l'uso cartaginese, sacrifici di fanciulli al terribile dio Baal; furono arruolate in Sparta milizie mercenarie. In una battaglia decisiva, l'esercito romano fu sconfitto e lo stesso Regolo fatto prigioniero.
Come sempre, la leggenda cercò di nobilitare la sconfitta. Si disse che Regolo, inviato dai Cartaginesi a Roma per trattare la pace, dopo aver giurato che sarebbe tornato in prigionia se le trattative fossero andate a vuoto, non volle nemmeno entrare nella città, non considerandosi più cittadino, nè accettò di rivedere la moglie e i figli. Attese che i senatori uscissero dalle mura per incontrarsi con lui, li dissuase dall'accettare le condizioni poste da Cartagine, sostenendo che Roma avrebbe potuto ancora vincere, e tornò poi dai Cartaginesi, che lo fecero crudelmente morire. Ma non c'è da giurare che le cose siano audace proprio così; certo la leggenda offre ancora un modello di vita e di virtù romana.
Fine della Prima Guerra Punica. La guerra continuò ancora a lungo, soprattutto nelle acque di Sicilia finchè i Romani, allestita una grande flotta, sconfissero la flotta Cartaginese nella battaglia navale presso le isole Egadi, ottenuta da Lutazio Càtulo, inducendo i Cartaginesi a chieder la pace nel 241 prima di Cristo: dovettero sgomberare la Sicilia ele isole minori e pagare una forte indennità di guerra. La Sicilia, detta "il granaio d'Italia", divenne la prima provincia romana. Tre anni dopo i Romani occuparono anche la Sardegna e la Corsica, che si erano ribellate ai Cartaginesi e ne fecero la seconda provincia romana.

LA SECONDA GUERRA PUNICA

Annibale, grande generale di un popolo mediocre. La lotta era soltanto sospesa: si trattava di una guerra a morte che sarebbe cessata solo con la definitiva caduta di uno degli avversari. Nei ventidue anni che seguirono, Cartagine si preparò infatti alla rivincita.
Un valente generale. Amilcare, della potente famiglia dei Barca, feroce nemica di Roma, aveva iniziato una nuova politica e, perduta ormai la Sicilia, si era volto al Mediterraneo occidentale facendo conquiste nella Spagna, ricca di argento. In Spagna aveva portato con sè il figlio ancor fanciullo, Annibale, dopo avergli fatto giurare. secondo la tradizione, odio eterno contro Roma; e. lì, a fianco del padre, il giovanetto si era iniziato alle fatiche del campo ed era divenuto il beniamino delle truppe.
Amilcare, narra ancora la tradizione, mori in battaglia, per salvare la vita al figlio che, sebbene avesse solo dodici anni, aveva voluto combattere. Annibale continuò a servire nell'esercito di Spagna finchè, appena ventenne, le truppe lo vollero come loro comandante.
Questo guerriero che lo storico Tito Livio ci descrive capace di sopportare ogni fatica, idolatrato dai suoi soldati, sobrio, capace di dormire quando e dove voleva, vestito come un semplice soldato, ma crudele e sleale quanto poteva esserlo un cartaginese, è certo una grande figura. Era uno stratega nato e, per di più, educato da maestri greci, aveva studiato a fondo i sistemi dei grandi generali della Grecia.
Come condottiero era un genio di quella che oggi si chiama la guerra di movimento: i suoi soldati avrebbero potuto dire di lui quello che avrebbero detto più tardi i soldati di Napoleone: " II nostro generale vince le battaglie con le nostre gambe! " Infatti il segreto delle sue vittorie fu sempre la rapidità dei movimenti: giungeva inaspettato sul nemico e gli imponeva battaglia nel luogo che giudicava più opportuno. Se avesse avuto dietro di sè un grande popolo, avrebbe probabilmente assicurato a Cartagine il dominio del Mediterraneo; ma i Cartaginesi, discordi fra loro, avidi, infidi, non avevano la stoffa di fondatori di nuove civiltà. Ed erano troppo malvisti per divenire un nucleo attorno a cui si raccogliessero i popoli.

Sagunto. Deciso a giocare con Roma la partita decisiva, Annibale volle venire al più presto a una conclusione. I Romani. preoccupati dell'espansione della potenza cartaginese in Spagna, avevamo concluso con Cartagine un trattato per il quale era riconosciuta a questa città la facoltà di estendere il suo dominio sino al fiume Ebro, ma non oltre. Se infatti i Cartaginesi fossero giunti a varcare i Pirenei e ad allearsi con i Galli, Roma si sarebbe vista seriamente minacciata da nord. Comunque, gli alleati di Roma che si trovavano entro la zona di influenza cartaginese dovevano essere rispettati. Con una scusa qualsiasi, Annibale si gettò su Sagunto, al di là dell'Ebro ma alleata di Roma, la espugnò dopo un assedio eroicamente sostenuto e la rase al suolo prima che i Romani si decidessero a inviare aiuti.
Non tardò a giungere a Cartagine un'ambasciata romana: Roma chiedeva che le fosse consegnato il generale che aveva osato distruggere una città sua alleata. I Cartaginesi cercarono di dare risposte evasive, salvandosi con la diplomazia: il capo dell'ambasciata romana, Fabio, raccolse allora i lembi della sua toga come se in essa recasse i destini dei due popoli e gridò: " Cartaginesi, io porto qui la pace e la guerra: scegliete quello che volete. " " Scegli tu quello che vuoi, " rispose l'assemblea cartaginese. " Ebbene " concluse Fabio " vi do la guerra". Ed ebbe così inizio la seconda lotta fra Roma e Cartagine. Annibale in Italia. Entrambe le città avevano adesso lo stesso compito: aggredire il nemico prima di essere aggredite. I Romani decisero di mandare un esercito in Spagna, per impegnare Annibale laggiù, e un altro in Africa, per colpire direttamente Cartagine. Annibale, secondo un progetto lungamente studiato, pensò invece di calare in Italia dal Nord e aggredire direttamente Roma, dopo avere mandato in Africa un esercito spagnolo a difendere Cartagine. E arrivò prima il generale cartaginese. Annibale. infatti, si mosse con circa 60.000 uomini, varcò i Pirenei, attraversò la Provenza, dopo avere respinto la debole resistenza delle tribù galle, e compì l'incredibile impresa di varcare le Alpi in pieno inverno con un esercito abituato alle calure dell'Africa e della Spagna e una sessantina di elefanti, mentre i montanari semibarbari che abitavano in quelle alture facevano rotolare macigni sulla lunga schiera. I primi eserciti romani che gli si pararono dinanzi per arrestare la sua avanzata furono sconfitti presso il Ticino e presso la Trebbia: e l'armata cartaginese, rinforzata dai Galli dell'Italia settentionale, appena sottomessi da Roma, scese minacciosa lungo la penisola. Era il 218 prima di Cristo.


 Sopra:Itinerario di Annibale.

Canne, giornata nefasta. La marcia non fu facile. Nelle paludi della Toscana molti uomini furono vittime della malaria, Annibale stesso perse la vista di un occhio in seguito a una brutta infiammazione. Ma l'avanzata continuò. Un terzo esercito romano mandato contro il nemico, si fece prendere in trappola in una stretta fascia di terra fra le rive settentrionali del Trasimeno e le alture dove, nascosto da una fitta nebbia, si era raccolto l'esercito di Annibale.
Dopo questa nuova sconfitta, i Romani cominciarono ad aver paura, e, com'erano soliti fare nei grandi pericoli, elessero un dittatore con pieni poteri, Quinto Fabio Massinmo, affidando a lui la salvezza della repubblica. Questi comprese che non conveniva dare subito battaglia a un esercito così numeroso: era meglio disturbare il nemico, logorarlo a poco a poco con brevi scaramucce, rendergli difficili i rifornimenti devastando la regione, e attendere che i Galli, secondo il loro volubile carattere, abbandonassero il loro nuovo alleato.
Il popolo, però, impaziente e appassionato, pretendeva un'azione immediata. A Fabio succedettero due consoli l'uno dei quali, il patrizio Paolo Emilio, avrebbe voluto continuare la tattica del "temporeggiatore Fabio" mentre l'altro, Terenzio Varrone, eletto dalla plebe, rappresentava il focoso animo popolare. Varrone volle a ogni costo dar battaglia: nel 216 avanti Cristo, aggredì il nemico presso il villaggio di Canne: ma, accerchiato, subì una tremenda disfatta. L'esercito romano fu interamente distrutto dall'esercito punico guidato da Annibale.

Annibale perde l'occasione. Se Annibale, subito dopo Canne, avesse marciato contro Roma, la città sarebbe stata perduta. Il popolo romano, costernato, pensava già ad abbandonare le sue case. Ma Annibale non osò pretendere ancora uno sforzo dalle sue truppe stanche e si portò nella Campania, presso Capua. Così perse tempo nei cosiddetti "ozi di Capua ", permettendo che Roma, in pochi giorni, si riprendesse in modo miracoloso. Vennero arruolati i giovani di diciassette anni, vennero affrancati e armati ottomila schiavi, e, quando Varrone tornò reduce della sconfitta da lui provocata, la cittadinanza gli andò incontro ringraziandolo di non aver disperato della repubblica. Così la città mostrava la grandezza del suo animo. In realtà Annibale pensava di avere già vinto la partita: non dubitava che tutti i popoli italici si sarebbero ribellati a Roma. Non aveva considerato però che per la prima volta nella storia dei popoli antichi, Roma aveva inaugurato una politica di comprensione e di solidarietà con le genti sottomesse mentre Cartagine manteneva, per i vinti, l'antica e crudele mentalità asiatica. Con sua meraviglia, sebbene quasi tutta l'Italia meridionale venisse meno alla città dominatrice, i popoli dell'Italia centrale soggetti a Roma le rimasero fedeli: ed erano i più inmportanti. Nell'attesa di una ribellione che non veniva, Annibale si lasciò sfuggire un tempo prezioso. E la situazione gli sfuggi di mano.
Per altri quattordici anni il generale cartaginese rimase in Italia senza poter ottenere alcun successo decisivo; e per lui non vincere significava perdere.
Il sacco di Siracusa. In Sicilia, dopo la morte di Gerone, la città di Siracusa aveva defezionato da Roma alleandosi con Annibale. Fu assediata quindi per mare e per terra dal consola Marco Claudio Marcello. Essa oppose una strenua resistenza per mezzo di Archimede, uno dei più grandi matematici e fisici dell'antichità. Egli inventò e costruì per i suoi concittadini assediati diverse macchine da guerra di straordinaria efficacia, che furono causa di gravi danni agli assedianti e ritardarono di parecchi mesi la resa della città. Tra queste macchine ricordiamo gli specchi ustori, grazie ai quali Archimede incendiava a distanza le navi romane. Quando la città fu presa, il console Marcello diede l'ordine ai suoi soldati di risparmiare la vita di Archimede: uno di essi, però, non lo riconobbe e lo trafisse con la spada (212 a.C.).

Sotto: Morte di Archimede riportata su un mosaico.

I popoli ribelli a Roma, furono ad uno ad uno ricondotti all'obbedienza; l'esercito che Asdrubale, fratello di Annibale, gli conduceva in rinforzo dalla Spagna fu fermato al Metauro e sbaragliato: la testa di Asdrubale venne scagliata nel campo cartaginese come annuncio della sconfitta. Infine un generale romano di ventiquattro anni, Publio Cornelio Scipione, continuando l'opera iniziata dal padre suo, Publio Scipione, portava decisamente la guerra in Spagna occupando Cartagena, la più ricca città cartaginese, e sottoponendo tutto il paese al dominio di Roma. Annibale aveva ormai perso la partita.

Scipione contro Annibale. Publio Cornelio Scipione, che fu poi detto l'Africano, è un personaggio degno davvero di stare a confronto con Annibale. Anche lui era stato iniziato giovanissimo alla carriera delle armi dal padre suo, uno dei migliori generali romani, anche se sfortunato. Alla battaglia del Ticino, appena sedicenne, aveva salvato la vita al padre. Due anni più tardi, dopo la sconfitta di Canne, era riuscito a rincuorare un gruppo di giovani patrizi che, disperati, stavano per abbandonare la patria, e li aveva costretti a giurare che avrebbero dato la loro vita per la comune salvezza.
Anche lui, conte il suo rivale, era imbevuto di cultura greca: ma, mente il Cartaginese aveva vista nella Grecia solo la patria di alcuni grandi generali, Scipione aveva riconosciuto in quella terra di dèi e di eroi la culla delle arti, delle scienze, del pensiero. Come stratega era forse meno geniale di Annibale, ma aveva una visione più vasta e, in particolare, sapeva di appartenere a un popolo destinato a grandi eventi.
Egli fui il primo romano ad avere nettamente l'idea di un dominio di Roma su tutto il mondo civile del suo tempo, sebbene lo vedesse estendersi piuttosto verso Oriente che verso Occidente. E con grande chiarezza scorse quello che doveva essere il carattere dell'egemonia di Roma: una supremazia fondata non già sulla sola forza ma anche sull'insegnamento e la collaborazione. In pratica, purtroppo, questi idealismi non riescono mai ad affermarsi interamente; tuttavia mantengono il loro significato e possono, se non giustificare, almeno attenuare la tristezza di violenze che, altrimenti, sarebbero soltanto brutali.
Certo Scipione imparò molte cose da Annibale; e, in particolare, quella guerra di movimento che era stata caratteristica del generale cartaginese. Quando vide che questi aveva perso il suo slancio, decise di portare la guerra in Africa, varcò il mare con un forte esercito e fu vittorioso fin dai primi scontri.
I Cartaginesi, atterriti, richiamarono in patria Annibale, che dovette lasciare la Calabria, dove si ci è asserragliato, per andare a difendere la propria terra. E nel 202 avanti Cristo, nella pianura di Naràggara, presso Zama, si combattè una battaglia decisiva che si risolse in un disastro per l'armata cartaginese. Cartagine dovette arrendersi.


 Sotto: Battaglia di Zama.


Conquista della Grecia e distruzione di Cartagine - Roma si volge all'Oriente. Sottomesse le città greche dell'Italia meridionale e sconfita Cartagine, Roma, ormai divenuta stato marinaro, aveva una sola rivale nei commerci mediterranei: la Grecia. E un conflitto con quel popolo ricco di antica gloria, ma ormai stanco, poteva essere considerato inevitabile.
Gli stati greci, dopo Alessandro, si erano andati logorando fra loro senza trovare un accordo. Tuttavia la Macedonia, pur non avendo più la forza di un tempo, faceva sentire sulla Grecia il peso del suo dominio e mirava alla supremazia sul Mediterraneo. Per questo durante la seconda guerra Punica il suo re, Filippo V, si era alleato con Cartagine nella speranza di togliere ai Romani l'Illiria. Il primo urto avvenne dunque con la Macedonia.
Impensierita per l'ambizione sempre più palese di Filippo e decisa a risolvere definitivamente la situazione, Roma dichiarò guerra al re macedone mandando l'esercito Romano al comando del console Tito Quinzio Flaminino e, nel 197 avanti Cristo, con la battaglia di Cinocèfale, in Tessaglia, la Macedonia era vinta e Roma proclamava



Sopra: il vecchio Catone, tornato da Cartagine, affermò che bisognava distruggere la sciagurata città.
Sotto: i Cartaginesi si difesero disperatamente ma alla fine la città fu incendiata e rasa al suolo.

 

Sopra: gli ingegneri romani per costruire la flotta presero come riferimento lo scheletro di una nave cartaginese.
Sotto: il console Caio Duilio riportò splendide vittorie grazie a navi munite di ponti uncinati.


Sopra: domini di Roma e di Cartagine dopo la prima Guerra Punica.
Sotto: a sinistra Scipione l'Africano e a destra Annibale



Sopra: l'arma segreta di Annibale: l'efante africano, estinto.
 Sopra: battaglia del Trasimeno.
 Sopra: monete romane coniate nel periodo delle guerre puniche.

 sopra: Canne schieramento del giorno prima.
 
sopra: schieramento il giorno della battaglia.
 Sotto: battaglia di Canne.


 sopra: Cinocefale e Corinto.

 Magnesia.

Sopra; la Macedonia, la Siria e l'Egitto.

la libertà della Grecia. Più tardi, come vedremo, poichè la Macedonia tentò la riscossa contro Roma, fu occupata e ridotta a provincia romana. Purtroppo, quando uno stato si libera accade che, lo stato liberato, in genere, non fa altro che cambiar padrone; e così avvenne allora per I'Ellade, la quale si trovò praticamente sottomessa all'egemonia romana.

Antioco III: ancora un ambizioso. Qualcun altro, tuttavia, mirava alla Grecia. Nella Siria, che, con la Macedonia e l'Egitto, era uno dei tre maggiori regni sorti dalla rovina dell'impero di Alessandro, regnava un sovrano metà macedone e metà asiatico, imbevuto di cultura ellenistica e di tradizioni orientali, che accarezzava il sogno di riunire in un'unica e grande monarchia le due civiltà della Grecia e dell'Oriente. Era questi Antioco, nella cui corte si era rifugiato lo sconfitto Annibale, esule dalla sua patria e sempre più carico d'odio verso Roma. Annibale, si rese subito conto che l'esercito siriaco non avrebbe potuto competere con quello romano. Consigliò quindi di equipaggiare una flotta e portare un esercito nel sud Italia aggiungendo che ne avrebbe preso lui stesso il comando. Antioco III, però ascoltò piuttosto cortigiani e adulatori e non affidò ad Annibale nessun incarico importante. Nel 190 a.C. Annibale fu posto al comando della flotta fenicia, ma fu sconfitto in una battaglia alle foci dell'Eurimedonte.
Antioco invase dunque la Grecia con un esercito non molto numeroso, convinto di trovare là aiuti e alleati. ma si ingannò: non riuscì a divenire popolare, nè a creare un valido sistema di alleanze, e, nel 192 printa di Cristo, veniva battuto dai Romani alle Termopili e costretto a lasciare la Grecia. Due anni dopo i Romani andavano ad aggredirlo nei suoi stessi territori e lo battevano nuovamente a Magnesia, nell'Asia Minore (190 a.C.), fiaccando per sempre la sua potenza. Più tardi la Siria fu ridotta a provincia romana col nome di Asia.

Roma completò nel frattempo le sue conquiste in Occidente: ridusse all'obbedienze i Liguri, punì i Galli cisalpini dell'aiuto prestato ad Annibale, dedusse colonie nella pianura padana, fondando presso la foce dell'Isonzo la città di Aquileia, a difesa dei confini d'Italia dai germani (183 a.C.).
La Grecia diviene provincia romana. Frattanto la Macedonia non si rassegnava alla sua sorte. Era destino che i tentativi di Filippo, di suo figlio Pèrseo e di un avventuriero, che si fece passare per figlio di Pèrseo, per dare al paese l'antico prestigio, non dovessero avere altro effetto che di provocarne la completa rovina. Nel frattempo, Filippo, facendo segreti preparativi per una rivincita, eccitò sempre più il sospetto dei Romani: Pèrseo tentò la sorte delle armi ma fu sconfitto a Pidna, nel 168 avanti Cristo, e imprigionato. La Macedonia fu ridotta in condizione da non dar più nulla a temere Infine estremi tentativi di ribellione nel 148 indussero il senato a ridurre la Macedonia a provincia romana: era questa la più modesta posizione che potesse avere, rispetto a Roma, un paese soggetto: le province erano infatti governate da un pretore romano che aveva autorità assoluta.
Il resto della Grecia era ancora nominalmente libero ma la solita inquietudine delle città greche provocava continui interventi romani. Infine, riunite nella lega achea, le città greche insorsero decisamente, con a capo Corinto: Roma reagì con una severa spedizione punitiva che si concluse con la distruzione di Corinto e la sottomissione di tutta la Grecia, ridotta a provincia.

In Spagna, dopo la partenza di Publio Cornelio Scipione avvennero numerose sollevazioni contro il dominio di Roma, ma tutte furono duramente represse e la regione divisa in due province: della Spagna Citeriore e della Spagna Ulteriore.

Fine di Annibale. Racconta Plutarco che Annibale, nel suo lungo esilio, si spinse a cercare rifugio nel lontano regno del re Artassa, nell'attuale Armenia, dando molti consigli al proprio ospite, tra l'altro sulla costruzione di un nuova città in una zona del territorio di natura eccellente e assai amena, ma incolta e trascurata. Artassa fu ben felice di conferire l'incarico di dirigere i lavori al condottiero cartaginese, che diede prova di ottimo urbanista, contribuendo all'edificazione della nuova capitale degli Armeni, nei pressi del fiume Mezamòr, a nord del monte Ararat, che prese il nome (in onore del sovrano) di Artaxana; conosciuta per tutta l'antichità e presente a lungo nelle carte geografiche, è oggi quasi del tutto scomparsa. In seguito Annibale tornò a volgersi ad Occidente, chiedendo rifugio a Prusia, il re di Bitinia, nell'attuale Anatolia. Qui fece costruire la seconda città dopo Artaxana, che chiamò, ancora una volta in onore del proprio ospite, Prusia – di cui ancora rimangono le vestigia dell'Acropoli – che in seguito diventerà Bursa, futura prima capitale dell'Impero Ottomano. La parabola del Condottiero si conclude proprio in Bitinia, nei pressi di Lybissa, l'attuale Gebze, 40 km a est di Bisanzio. Secondo Nepote, un legato Bitinico informò per errore Flaminio della presenza di Annibale in Bitinia. Ancora una volta i Romani sembrarono determinati nella sua caccia e inviarono Flaminio per chiedere la sua consegna. Prusia accettò di consegnarlo loro, ma Annibale scelse di non cadere vivo nelle mani del nemico. A Libyssa sulle spiagge orientali del Mar di Marmara prese quel veleno che, come diceva, aveva a lungo conservato in un anello. Curioso (ma non si sa quanto veritiero) a questo punto l'oracolo che, in giovane età, lo aveva sempre convinto che sarebbe morto in Libia, a Cartagine e che citava testualmente: "Una zolla libyssa (libica) ricoprirà le tue ossa". Immaginiamo quale fosse il suo stupore quando apprese il nome di quella lontana località in cui si era rifugiato. Le sue ultime parole si dice fossero: "Poiché i Romani non hanno tempo di aspettare la morte di un vecchio, vediamo di fare loro questo favore". L'esatta data della sua morte è fonte di controversie. Generalmente viene indicato il 182 a.C. ma, come sembra potersi dedurre da Tito Livio, potrebbe essere stato il 183 a.C., lo stesso anno del suo vincitore: Scipione l'Africano.

Fine di Cartagine. Nel frattempo si preparava l'estrema rovina di Cartagine. Questa disgraziata città era ormai in balia del più fedele alleato romano in Africa, il re nùmida Massinissa, il quale avrebbe voluto impadronirsene e farne la capitale del suo regno. Frattanto faceva continue scorrerie nel territorio cartaginese, senza che i Cartaginesi potessero reagire, perchè i patti impedivano loro di combattere senza il consenso di Roma. Non restava loro che rivolgersi a Roma, la quale dava regolarmente ragione a Massinissa.
In queste condizioni, Cartagine non poteva destare preoccupazioni; ma contro di essa v'era in Roma il partito conservatore capeggiato dal vecchio Catone. Tra questi anziani e austeri patrizi ve n'erano probabilmente alcuni che, da fanciulli, avevano visto Roma costernata dopo la sconfitta di Canne; e per costoro la semplice esistenza di Cartagine era un incubo.
Toccò proprio a Catone il compito di recarsi a Cartagine a capo di una missione romana per far da arbitro in una ennesima contesa fra i Cartaginesi e Massinissa. Con sua grande sorpresa, egli trovò una città florida e ricca come mai si sarebbe immaginato: tornò a Roma convinto che Cartagine sarebbe stata sempre una minaccia per la grandezza romana e, da quel momento, non fece che affermare ogni volta che parlava in pubblico, che bisognava distruggere la sciagurata città.
Alla prima occasione il suo consiglio fu seguito. Cartagine, esasperata, mosse guerra a Massinissa violando il trattato di pace perchè aveva preso le armi senza il consenso di Roma; i Romani intervennero, nel 149 a.C., con un esercito di ottantamila uomini al comando del console Publio Cornelio Scipione Emiliano. Questi propose ai Cartaginesi di avere salva la vita se consegnavano le armi e di ritirarsi nei villaggi dell'interno perchè la città doveva essere distrutta. I Cartaginesi resistettero per tre anni con un coraggio così disperato da rendere poco ammirevole la vittoria romana; poi cedettero. Scipione Emiliano, figlio adottivo dell'Africano, rase al suolo la città e vi passò l'aratro.
Era il 116 prima di Cristo.
Alla fine delle guerre puniche, i Romani erano padroni dell'Italia e delle sue isole, della penisola Iberica, della Tunisia, dell'Asia Minore, della Penisola Balcasnica, che possono essere considerati come i vertici di un quadrilatero nel quale era compreso tutto il mediterraneo. Inoltre le zone intermedie tra una provincia e l'altra erano abitate da popolazioni amiche o alleate dei Romani. Concludendo, dopo le conquiste fatte dai Romani nelle Guerre Puniche, il Mare mediterraneo fu chiamato Mare Nostrum.


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