Giuseppe Pignatale Presenta:
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Storia contemporanea:
LA RESTAURAZIONE.
Con la caduta napoleonica si ebbe in Europa la Restaurazione. Con essa si ebbe un ritorno dell'Europa alle condizioni esistenti prima della Rivoluzione Francese......
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Sopra: il Congresso di Vienna in un dipinto di Jean-Baptiste Isabey (1767-1855).
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.II Congresso di Vienna (1814-1815).
Dopo la prima abdicazione di Napoleone (30 marzo 1814), i rappresentanti dei principali Stati europei si riunirono in Congresso a Vienna per dare un nuovo assetto territoriale e politico all'Europa sconvolta da tante guerre. I popoli attendevano grandi benefici da questo Congresso, che si proponeva di "fare opera di pace e di giustizia nell'interesse della civiltà e del diritto, conculcati dalla violenza della Rivoluzione e dalla prepotenza di Napoleone ". Molti erano convinti che sarebbero stati attuati gli ideali di libertà, di uguaglianza e di indipendenza dallo straniero, in nome dei quali essi erano stati incitati a combattere contro l'oppressione napoleonica. In particolare si sperava che il nuovo assetto territoriale venisse compiuto seguendo il principio di nazionalità, in modo che tutte le nazioni, anche quelle minori, fossero messe in condizione di vivere libere e indipendenti entro i propri naturali confini geografici; e generale era la fiducia che nell'assetto politico venissero rispettati i principi di sovranità popolare e di uguaglianza giuridica, considerati come conquiste ormai definitive della civiltà.
Ma i plenipotenziari europei non si erano riuniti a Vienna né per affermare né per convalidare quei principi. Il loro scopo era di ristabilire in Europa una pace duratura, dopo venticinque anni di guerre quasi continue.
Come rappresentanti delle vecchie monarchie, i cui troni avevano vacillato sotto i colpi della rivoluzione e delle guerre aggressive di Napoleone, essi erano
convinti che la sicurezza collettiva e la tranquillità dell'Europa dovessero essere ricercate nella restaurazione degli antichi ordinamenti politici, la cui stabilità era fondata sulla continuità dinastica, e si accordarono di riportare l'Europa alle stesse condizioni in cui si trovava prima del 1789.
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Sopra: Clemente di Metternich (1773-1859).
Sotto: il principe di Talleyrand.
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Di conseguenza i delegati del Congresso non tennero in alcuna considerazione né le aspirazioni nazionali dei popoli, che si erano fatte più vive sotto la dominazione napolconica, né i principi di sovranità popolare e di uguaglianza giuridica scaturiti dalla rivoluzione, ma si attennero al principio di sacra legittimità, secondo il quale ogni dinastia, depositaria dei poteri sovrani per diritto divino, doveva riavere tutti i territori legittimamente posseduti prima delle guerre napoleoniche e tutta l'autorità esercitata prima che fossero affermate la nuove idee rivoluzionarie.
Questo principio fu scrupolosamente osservato nell'imporre ai popoli la restaurazione dell'assolutismo monarchico; ma quando si trattò di definire il nuovo assetto territoriale da dare ai vari Stati, nelle decisioni dei congressisti influirono le mire espansionistiche delle grandi Potenze, le quali avevano sostenuto gli sforzi maggiori nella lotta contro Napoleone, e la necessità di stabilire tra di esse un equilibrio di forze, con lo scopo di tenere lontano dall'Europa ogni pericolo di nuove guerre egemoniche. Il Congresso quindi giunse a un compromesso, mediante il quale i contrasti di interessi tra l'Austria, la Prussia, la Russia e l'Inghilterra vennero appianati con la spartizione delle "spoglie dei vinti" cioè col sacrificio, a favore di queste quattro Potenze, dell'unità e dell'indipendenza di quei popoli che non erano in grado di far valere le proprie ragioni.
II nuovo assetto dell'Europa.
La Francia, sconfitta militarmente e indebolita dalle lunghe guerre, dovette rinunciare per un certo tempo alla parte di grande Potenza che aveva sostenuto e difeso per più di tre secoli, ma non subì mutilazioni territoriali. Questo buon trattamento a lei riservato dai vincitori fu opera del principe di Talleyrand, rappresentante francese nel Congresso di Vienna. Egli era uno statista e un diplomatico abilissimo, e già da un ventennio occupava un posto di primo piano nella vita politica della Francia, essendo sempre riuscito con la sua accortezza ad evitare di essere travolto dai grandi mutamenti avvenuti nel suo paese. Trasformatosi durante la Rivoluzione da vescovo di Autun in acceso giacobino, aveva svolto le funzioni di ministro degli esteri sia sotto il Direttorio sia sotto il Consolato e l'Impero; poi, alla caduta di Napoleone, era stato il principale artefice della restaurazione borbonica, ed aveva così meritato di essere riconfermato dal nuovo re Luigi XVIII nella carica di ministro degli esteri.
Per l'abile azione diplomatica da lui svolta, i congressisti non solo approvarono la restaurazione borbonica in Francia, ma restituirono a Luigi XVIII il Regno borbonico con i confini che esso aveva nel 1789, applicando per lui integralmente il principio di legittimità.
Però essi si preoccuparono di porre la nazione francese nell'impossibilità di tentare in avvenire nuove avventure in Europa, e a questo scopo stabilirono il rafforzamento di tutti gli Stati confinanti con essa.
A Sud fu ingrandito il Regno di Sardegna, assegnando a Vittorio Emanuele I di Savoia tutto il territorio dell'antica Repubblica di Genova; a Nord venne creato il Regno dei Paesi Bassi, con l'unione del Belgio all'Olanda, posto sotto la sovranità di Gugliclmo I d'Orange-Nassau; ad Est fu ricostituita la Confederazione Germanica, comprendente trentanove piccoli Stati tedeschi retti da una dieta residente a Francoforte sul Meno, posta sotto la presidenza dell'Austria, e venne garantita con un trattato internazionale l'integrità territoriale della Confederazione Svizzera.
I maggiori ingrandimenti territoriali toccarono però alle quattro Potenze vittoriose, i cui rappresentanti furono i protagonisti e gli arbitri di tutte le decisioni prese nel Congresso.
La Prussia, rappresentata dal principe di Hardenberg, acquistò la Sassonia nord-orientale, la Pomerania svedese e le province renane, raggiungendo i confini della Francia; l'Austria, rappresentata dal principe di Metternich, rientrò in possesso della Lombardia ed ottenne di aggiungervi i territori dell'antica Repubblica di Venezia come compenso della perdita del Belgio e come contropartita dell'ingrandimento della Prussia; la Russia, rappresentata dal suo zar Alessandro I, ebbe la Finlandia, la maggior parte della Polonia e la Bessarabia; l'Inghilterra, rappresentata da lord Castlereagh, accrebbe
il suo impero coloniale ai danni della Spagna, dell'Olanda e della Francia, e si assicurò la supremazia nel
Mediterraneo col definitivo possesso dell'isola di Malta e col protettorato sulle Isole Ionie.
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Sopra: ingresso di Luigi XVIII a Parigi.
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Il Congresso di Vienna si chiuse con un trattato di pace (9 giugno 1815), che sanzionò il predominio in Europa di queste quattro grandi Potenze.
II sistema dei reciproci compensi, da tutte concordato ed accettato, non lasciò in esse strascichi di rancori e desideri di rivalse. Perciò, per effetto del nuovo assetto territoriale dato all'Europa dal Congresso di Vienna, si stabilì tra l'Austria, la Prussia, la Russia e l'Inghilterra una condizione di equilibrio, che impedì per circa un quarantennio il ricorso a quelle guerre di rivalità che con tanta frequenza avevano funestato il nostro continente nel passato.
II nuovo assetto dell'Italia.
I principali cambiamenti, stabiliti in Italia dal Congresso di Vienna, furono:
a) l'unione della Liguria al Piemonte, che accrebbe l'estensione territoriale e l'importanza politica dello Stato Sabaudo, destinato a diventare il centro e il protagonista del nostro movimento risorgimentale;
b) l'unione del Veneto alla Lombardia, che affratellò le due regioni, costrette a subire insieme la dominazione austriaca, nel comune sentimento nazionale.
Nelle altre regioni italiane vennero ricostituiti, con qualche lieve mutamento, gli Stati esistenti prima della rivoluzione francese e del dominio napoleonico. Quindi il nostro paese, in conse- guenza della restaurazione imposta dal Congresso di Vienna, nel 1815 mi trovò diviso nei seguenti Stati:
1) Regno di Sardegna, sotto il re Vittorio Emanuele I di Savoia, comprendente il Piemonte, la Savoia, Nizza, la Sardegna e la Liguria.
2) Regno Lombardo-Veneto, sotto l'imperatore austriaco Francesco I d'Asburgo, compren- dente la Lombardia, già posseduta dall'Austria anteriormente alla Rivoluzione francese, e il territorio della soppressa Repubblica di Venezia.
3) Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, assegnato a titolo vitalizio alla seconda moglie di Napoleone, Maria Luisa d'Austria, per poi ritornare ai Borboni di Parma.
4) Ducato di Lucca, dato temporaneamente a Maria Luisa di Bordone e nel 1847 annesso al Granducato di Toscana.
5) Ducato di Modena e Reggio, dato a Francesco IV della Casa di Asburgo-Este, essen- dosi estinta la Casa d'Este prima regnante.
6) Ducato di Massa e Carrara, concesso a vita a Maria Beatrice d'Este, madre di France- sco IV di Modena, il quale lo ereditò nel 1829 e lo incorporò nel suo Ducato.
7) Granducato di Toscana, accresciuto con l'annessione dello Stato dei Presidi già facente parte del Regno di Napoli, e restituito alla
Casa di Asburgo-Lorena col granduca Ferdinan- do III.
8) Stato Pontificio, ricostituito nel suo antico territorio comprendente il Lazio, l'Umbria, le Marche e la Romagna sino a Bologna e a Ferrara, nel quale ritornò il papa Pio VII.
9) Regno di Napoli e di Sicilia, ridato al vecchio re Ferdinando IV di Borbone, che prese il nome di Ferdinando I re delle Due Sicilie.
10) Repubblica di S. Marino, sul monte Titano in Romagna, unica superstite delle piccole Repubbliche sorte in Italia nel Medioevo.
Se non si tiene conto dei due Ducati di Lucca e di Massa e Carrara, destinati a scomparire, e della Repubblica di S. Marino, che per l'esiguità del suo territorio aveva scarsissima importanza politica, nel 1815 l'Italia si trovò divisa in sette Stati, dei quali soltanto il Regno di Sardegna era completamente indipendente; gli altri, quale più quale meno, erano costretti a subire la volontà dell'Austria.
Essa infatti possedeva il Lombardo-Veneto, aveva Principi imparentati con la Casa d'Asburgo in Toscana, a Parma e a Modena, manteneva propri presidi a Ferrara e a Piacenza, teneva legato a sé da debiti di gratitudine il re Ferdinando 1 di Borbone per averlo aiutato a rientrare in possesso de] trono di Napoli.
Dopo circa diciotto anni di predominio francese, il Congresso di Vienna, quindi, ristabilì in Italia il predominio austriaco.
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La Santa Alleanza.
Prima che il Congresso di Vienna si sciogliesse, lo zar di Russia Alessandro I propose di stabilire un'alleanza tra i sovrani ispirata al principio evangelico della fratellanza universale: i sovrani, delegati dalla Provvidenza a governare i diversi rami della grande famiglia cristiana, dovevano considerarsi fratelli tra loro e padri dei loro sudditi, dei quali dovevano promuovere di comune accordo il benessere spirituale e materiale.
Essi perciò si impegnavano, " nel nome della Santa e Indivisibile Trinità" , a seguire nel governo dei sudditi e nelle relazioni tra gli Stati o i "precetti di
giustizia, di carità, di pace " dettati dalla religione, restando sempre uniti e con vincoli di una fraternità verace e indissolubile e per potersi prestare
scambievolmente " in ogni occasione assistenza, aiuto e soccorso". Il progetto, respinto dall'Inghilterra, fu ben accolto dall'Imperatore d'Austria e dal Re di
Prussia, i quali videro in esso un valido mezzo per difendere, in nome della religione, i loro privilegi dinastici, già messi in grave pericolo dalla Rivoluzione francese e dalle innovazioni napoleoniche ed ora seriamente minacciati dalle idee liberali che si diffondevano rapidamente
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Sopra: stemma degli Arciduchi d'Austria.
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Sopra: il duca di Wellington.
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tra i popoli. Il patto, detto Santa Alleanza, fu firmato il 26 settembre 1815. Con esso i tre sovrani stabilivano di riunirsi periodicamente a congresso per risolvere pacificamente i possibili conflitti tra gli Stati, per diffondere di comune accordo l'amore della pace e della giustizia tra gli uomini, per consigliarsi reciprocamente intorno ai mezzi da usare per promuovere la felicità dei popoli ad essi affidati da Dio, per intervenire con i loro eserciti dovunque l'armonia tra il sovrano e i sudditi fosse turbata da movimenti sovversivi dell'ordine costituito.
Nell'intenzione dello Zar la Santa Alleanza doveva essere una espressione di solidarietà fra i sovrani fondata sul sentimento religioso; nelle mani del Metternich,
ministro dell'Imperatore d'Austria, essa divenne un'organizzazione internazionale di polizia avente il compito di scoprire e di reprimere ogni moto liberale dovunque si manifestasse.
Da molti essa fu considerata un'alleanza fra il Trono e l'Altare, uno strumento concordato dal potere civile e dal potere religioso per la conservazione dei vecchi ordinamenti, la cui stabilità costituiva per essi una garanzia di poter mantenere inalterati i propri privilegi.
In realtà la Chiesa rimase estranea alla Santa Alleanza, avendo il papa Pio VII rifiutato esplicitamente di aderirvi. Si trattò di un'alleanza esclusivamente politica, stabilita dai sovrani firmatari per la comune difesa delle loro prerogative dinastiche, e trasformata successivamente, soprattutto dal Metternich, in uno strumento di reazione contro le idee e i movimenti del liberalismo europeo.
Per più di un trentennio essa fu in Europa la vigilante custode del restaurato assolutismo monarchico, e servi alla Casa d'Asburgo per conservare il predominio austriaco sull'Italia. Dichiarandosi esecutrice delle deliberazioni della Santa Alleanza, l'Austria intervenne più volte nella nostra Penisola con i suoi eserciti per soffocare ogni tentativo dei patrioti di modificare in senso liberale gli ordinamenti su cui si reggevano gli Stati esistenti e per promuovere la loro unificazione in uno Stato nazionale.
La reazione in Italia.
Al ritorno dei legittimi sovrani nei vecchi Stati, imposto dal Congresso di Vienna, seguì la reazione, cioè l'opposizione dei sovrani restaurati alle idee innovatrici scaturite dalla Rivoluzione francese e portate in tutto il continente europeo con I' imperialismo napoleonico. Essa ebbe come conseguenza la soppressione delle riforme liberali introdotte nei vari Stati durante il predominio francese e il ristabilimento degli ordinamenti civili, sociali e politici esistenti prima della venuta di Napoleone in Italia.
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Sotto: Lord Castlereagh.

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Questa reazione però non fu violenta e non si estese indistintamente a tutte le innovazioni attuate in Italia negli ultimi diciotto anni, perché i sovrani restaurati erano soprattutto preoccupati di non turbare la pace interna, secondo gli impegni solennemente assunti con gli altri sovrani nel Congresso di Vienna e coi loro sudditi al rientro nei propri Stati,
perciò non vi furono, salvo qualche eccezione, repressioni o persecuzioni contro quei cittadini che avevano occupato cariche importanti nei passati governi, anzi molti di essi, che si affrettarono a giurare fedeltà al nuovo sovrano, poterono conservare i loro posti.
In generale furono abolite tutte le innovazioni che erano in contrasto col principio dell'assolutismo monarchico, in conformità con le deliberazioni della
Santa Alleanza, e le riforme economiche concernenti la trasformazione dell'economia protetta, chiusa entro i confini dello Stato, in un'economia libera, aperta agli
scambi e alle competizioni internazionali. Vennero invece conservati, in quasi tutti gli Stati, il sistema amministrativo e fiscale centralizzato, introdotto da
Napoleone, che rendeva più facili l'esercizio dei poteri sovrani e la riscossione delle tasse in tutti i territori dello Stato, e le limitazioni di certi privilegi
di classe, attuate con la soppressione dei diritti feudali, che avevano sanato alcune tra le più gravi ingiustizie della società.
Gli italiani cessarono di essere i cittadini di Stati che si fondavano, almeno in parte, sul consenso popolare e alla cui amministrazione essi avevano largamente
partecipato, e si ritrovarono nella condizione di sudditi costretti a servire sovrani ad essi imposti per diritto dinastico.
Tuttavia l'assolutismo monarchico restaurato in Italia nel 1815 non ebbe, in generale, carattere dispotico, neppure in quegli Stati, come il Piemonte e il Regno delle
Due Sicilie, in cui i sovrani si dimostrarono più attaccati al conservatorismo. Si trattò, per lo più, di un assolutismo paternalistico o illuminato e, com'era stato
già applicato da diversi sovrani nella seconda metà del Settecento.
I sovrani restaurati si preoccuparono di avvicinarsi ai loro sudditi, di circondarli di minute cure, di promuovere il loro benessere materiale e spirituale, e
soprattutto di assecondare quel desiderio di pace, di tranquillità e di sicurezza del domani, di cui essi sentivano
maggior bisogno dopo essere usciti dal turbinoso periodo napolconico.
In considerazione di questi benefici immediati, la popolazione italiana, nella grande maggioranza, si dimostrò abbastanza soddisfatta della restaurazione.
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Sopra: Torino, piazza Castello nel 1814.
Il sacrificio degli ideali di libertà, di patria, di indipendenza dallo straniero, di unità nazionale, fu allora avvertito soltanto dai gruppi, ancora
poco numerosi, dei patrioti, nei quali durante il dominio napolconico si era formata una più chiara coscienza civile e nazionale.
Invece fu da moltissimi italiani compreso il danno che il nostro paese avrebbe ricevuto dal ritorno all'economia protetta e dalla ricostituzione delle barriere
doganali fra Stato e Stato. Ciò avrebbe costituito un insormontabile ostacolo al progresso industriale dell'Italia, perché le industrie per sorgere e per
svilupparsi hanno bisogno di liberi mercati di rifornimento delle materie prime e di collocamento dei prodotti lavorati.
Infatti la politica economica condotta in questo campo dai sovrani restaurati contribuì a far in modo che l'Italia nella prima metà dell'Ottocento, mentre nei grandi
Stati nazionali si attuava la rivoluzione industriale, continuasse a rimanere un paese ad economia fondata soprattutto sull'agricoltura.
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