Giuseppe Pignatale
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IL TRIONFO DEGLI UOMINI
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   Storia contemporanea:
LA PRIMA GUERRA MONDIALE.

La Prima Guerra Mondiale è stata tra le più cruente guerre combattute dall'Uomo che non risolse i problemi fra gli stati e il malessere irrisolto pose le basi per la Seconda Guerra Mondiale ......


 
 APPROFONDIMENTI.

CRONOLOGIA























L'Europa nel 1914.
 


Le cause che portarono alla guerra.
L'equilibrio di forze, raggiunto dalle grandi Potenze nel lontano Congresso di Vienna (1815), aveva evitato per un quarantennio che l'Europa fosse sconvolta da guerre di predominio. Esso venne alterato nella seconda metà dell'Ottocento in seguito all'affermarsi della potenza prussiana, che si manifestò soprattutto con le vittorie contro l'Austria (1866) e contro la Francia (1870), e fu definitivamente spezzato in seguito alla nascita dell'Impero Germanico (1871) e alla formazione della Duplice Alleanza tra questo e l'Impero AustroUngarico (1879), trasformatasi poi nella Triplice Alleanza per l'adesione dell'Italia (1882).
Nella frattura di quell'equilibrio e nell'impossibilità di ricostituirlo, perché l'espansione industriale, le conquiste coloniali e il crescente spirito militaresco modificavano di anno in anno i rapporti di forze e i contrasti di interessi tra le Potenze, si devono ricercare le origini remote della Prima Guerra Mondiale.
La nuova Germania si dedicò alacremente a costruire la propria potenza economica, e mediante una meticolosa organizzazione del lavoro riuscì a dare un vigoroso impulso allo sviluppo industriale di tutto il paese. In breve le industrie tedesche, per la perfezione tecnica raggiunta, acquistarono un'importanza di primo piano nel mondo: i prodotti germanici, superiori a quelli di molti paesi ed offerti a prezzi più bassi, invasero tutti i mercati internazionali, e la marina mercantile, protetta da una forte marina militare, entrò in gara con l'Inghilterra per il primato nel commercio marittimo.
La raggiunta potenza economica accrebbe smisuratamente l'orgoglio nazionale e razziale del popolo tedesco, che si convinse di essere superiore a tutti gli altri popoli e destinato ad imporre il proprio predominio nel mondo in campo non solo economico, ma anche culturale, politico e militare. Dopo la stipulazione dell'alleanza con l'Austria, che formò nel cuore dell'Europa un blocco compatto di tutte le forze tedesche, e dopo l'ascensione al trono germanico di Guglielmo II (1888), che fece sue le teorie della superiorità della razza tedesca e del suo destino di predominio mondiale, l'Europa avvertì il grave pericolo che l'imperialismo tedesco costituiva per la pace, e per stornarlo diede inizio a una generale corsa agli armamenti, che dal 1880 al 1913, fece aumentare del 140 per cento il bilancio stabilito annualmente dalle grandi Potenze per le spese militari.
Gli Imperi Centrali miravano soprattutto ad estendere il loro dominio in Oriente: l'Austria aspirava a raggiungere Salonicco e ad affacciarsi all'Egeo; la Germania si adoperava ad aumentare sempre più la propria influenza in Turchia e aveva iniziato la costruzione di una ferrovia che attraverso i Balcani, doveva raggiungere Costantinopoli e quindi Baghdad in Mesopotamia, congiungendo così Amburgo col Golfo Persico.
Questo programma contrastava sia con gli interessi inglesi in Oriente e francesi nel Mediterraneo sia con le aspirazioni russe di impadronirsi della regione degli Stretti. Di fronte al comune pericolo l'Inghilterra, la Francia e la Russia lasciarono da parte i tradizionali antagonismi e iniziarono una politica di reciproco avvicinamento, che diede origine al blocco della Triplice Intesa (1907) contrapposto al blocco della Triplice Alleanza.
La pace, affidata all'instabile equilibrio di forze tra i due blocchi, rimase allora "legata a un filo ", sebbene i popoli europei si illudessero che la sicurezza di cui godevano fin dal 1871 fosse destinata a durare indefinitamente. Quel filo fu spezzato dalle due guerre balcaniche, combattute nel 1912 e nel 1913: nella prima la Turchia, attaccata dalla Serbia, dal Montenegro, dalla Bulgaria e dalla Grecia, fu ridotta in Europa al solo possesso di una parte della Tracia, della zona degli Stretti e di Costantinopoli; nella seconda, combattuta tra i vincitori per la spartizione delle terre tolte all'Impero turco, la Serbia ebbe i maggiori ingrandimenti, accrescendo la sua potenza nei Balcani "divenendo il centro di attrazione dei popoli slavi".
La barriera serba, costituitasi così tra l'Austria e l'Egeo, tagliava all'Austria o alla Germania quelle vie di espansione verso l'Oriente che erano alla base della loro politica imperialistica. Per abbatterla, bisognava affrontare la Russia o l'Inghilterra che si trovavano schierate dietro di essa, bisognava cioè trascinare l'Europa in un guerra generale. In conclusione, nella politica espansionistica degli Imperi Centrali e nella preoccupazione delle Potenze dell'Intesa di impedirne l'attuazione per salvaguardare i propri interessi si trovano le principali cause della spaventosa conflagrazione mondiale del 1914, mentre il conflitto balcanico ne costituisce il preludio.


La grande Germania nel pensiero di Guglielmo II.

Col primo colpo di martello io consacro questa pietra all'imperatore Federico; col secondo colpo la consacro alla gioventù tedesca, alle generazioni che verranno, e che potranno imparare nel nuovo Museo ciò che significa un impero universale ; col terzo colpo io la consacro all'avvenire della nostra patria tedesca. Possa essere in futuro con la cooperazione dei Principi dei Popoli, delle sue armi e dei suoi cittadini, diventati così potente, così fortemente unita,così straordinaria come l'Impero Romano Universale, sicchè venga un giorno nel quale, come si diceva una volta; civis romanus sum, si dica: sono cittadino tedesco.
(Dal Discorso dell'imperatore Guglielmo II per l'inaugurazione del Museo romano di Salisburgo, ottobre 1900)
 


L'inizio dei conflitto.
Le occasioni prossime della Grande Guerra, cioè le scintille che fecero scoppiare il conflitto, furono le seguenti:
a) la violentissima propaganda nazionalista e antiaustriaca compiuta dai Serbi, bramosi di stendere le mani sulla Bosnia e sull'Erzegovina, diventate prima protettorato (1878) e poi possesso definitivo (1908) dell'Austria;
b) l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede designato al trono austriaco, compiuto a Sarajevo, in Bosnia, il 28 giugno 1914, per opera di uno studente serbo.
L'Austria, sebbene l'attentato fosse avvenuto nel proprio territorio, ne attribuì la responsabilità alla Serbia, accusandola di avere con la sua propaganda armato la mano dell'assassino, e le inviò un ultimatum contenente condizioni così dure e umilianti, che quella non avrebbe potuto accettare senza venir meno alla propria dignità di Stato sovrano.
Essendo fallito ogni tentativo di pacifici accordi, il 28 luglio 1914 l'Austria dichiarò guerra alla Serbia. Poiché dietro questi due Stati erano schierati i due blocchi di alleanze che tenevano divisa l'Europa, ben presto il conflitto si estese a quasi tutto il nostro continente, e successivamente si trasformò in conflitto mondiale con la partecipazione del Giappone e degli Stati Uniti d'America.
A fianco degli Imperi Centrali (Austria e Germania) scesero in guerra la Turchia (3 novembre 1914) e la Bulgaria (14 ottobre 1915). Con le potenze dell'Intesa (Russia, Francia e Inghilterra) si schierarono il Giappone (22 agosto 1914) l'Italia (24 maggio 1915), il Portogallo (9 marzo 1916), la Romania (28 agosto 1916), gli Stati Uniti d'America (17 aprile 1917), la Grecia (27 giugno 1917) e numerosi altri Stati.
In Europa rimasero neutrali fino al termine del conflitto soltanto i seguenti Stati: la Spagna, la Svizzera, l'Olanda e gli Stati Baltici (Danimarca, Svezia e Norvegia).

Il lato oscuro della guerra. - La guerra, che durò cinque anni, fu combattuta per terra e per mare, in Europa e nelle colonie, causando enormi distruzioni di beni e il sacrificio di oltre dieci milioni di vite umane. Ben presto la guerra divenne di posizione con la costruzione di trincee dopo le ingenti perdite subite dalle truppe dell'intesa in seguito agli attacchi di cavalleria effettuati contro le truppe austro-tedesche che impiegarono delle postazioni di mitragliatrici che falciarono le truppe avversarie. I soldati vissero quindi per anni nelle trincee, sotto l'effetti atmosferici (pioggia, freddo), la sporcizia e la guerra consisteva nell'attaccare la trincee avversarie. Poi cominciarono a comparire gli aeroplani, i carri armati e impiegati i gas: quest'ultimi oltre a provocare la morte dei soldati avevano lo scopo di impegnare molte risorse delle parti contendenti. Gli aeroplani e i dirigibili, poi, furono impiegati in operazioni di bombardamento anche delle città. Fondamentale fu la propaganda necessaria ad incitare gli animi a combattere fino all'estremo sacrificio.
Gli Imperi Centrali, avendo perduto in breve tutte le colonie, rimasero completamente accerchiati nella loro "fortezza europea ", e dovettero vivere e combattere facendo unicamente affidamento sulle proprie risorse interne. Invece le Potenze dell'Intesa, sebbene le forniture ricevute dall'America, alimentare quella resistenza dei popoli e degli eserciti che le condusse alla vittoria finale. Da principio la Germania, per poter assalire la Francia aggirando l'ostacolo della fortificatissima frontiera dei Vosgi, invase il Belgio, la cui neutralità era garantita da una convenzione internazionale risalente al 1839. In questo modo i Tedeschi speravano di giungere a Parigi in poche settimane, ma la loro marcia fu prima ritardata dalla resistenza opposta dai Belgi e quindi arrestata sulla linea della Marna dall'esercito francese (Battaglia della Marna, 6-12 settembre). Importante fu l'intervento dei taxi che portarono le truppe al fronte (taxi della Marna).
Allora essi decisero di occupare Calais per tagliare le comunicazioni tra la Francia e l'Inghilterra. Ma anche questo piano fallì, perché le colonne celeri tedesche persero molto tempo nell'attraversare la regione occidentale del Belgio tutta intersecata di canali, consentendo alle forze anglo-franco-belghe di concentrarsi per resistere alla loro avanzata (Battaglia delle Fiandre, 17 ottobre - 12 novembre).
A Bruxelles, poi, molte donne si arruolarono in corpi di fucilieri femminili imparando presto l'uso delle armi.
In Inghilterra poi, la forte richiesta di proiettili e la mancanza di uomini presenti nei vari fronti di guerra, portò a un largo impiego nelle fabbriche di donne soggette a turni massacranti e a pessime condizioni di lavoro che potevano compromettere la loro salute e alla conseguente nascita di corpi femminili di polizia: tutto questo era impensabile prima della guerra.
Di conseguenza, dopo lo slancio iniziale, gli eserciti tedeschi sul fronte occidentale furono immobilizzati nelle trincee, e la guerra di movimento si trasformò in guerra di posizione, nella quale ciascuno dei belligeranti cercò di logorare al massimo le forze e i materiali dell'avversario.
Sul fronte orientale gli Austro-Tedeschi penetrarono in Polonia, ma contemporaneamente i Russi avanzarono nella Prussia orientale e nella Galìzia, affacciandosi ai Carpazi: questi ultimi poi, furono respinti da tutto il fronte di battaglia nei primi mesi dell'anno seguente.


Vita in trincea.- La vita in trincea era durissima. I due schieramenti iniziarono a rafforzare e fortificare le proprie posizioni scavando trincee, camminamenti, rifugi e casematte. Dal mare del Nord alle Alpi, fra uno schieramento e l'altro, si estendeva la terra di nessuno, martoriata dalle granate e continuamente contesa. I soldati combattevano in trincee distanti tra loro dai 200 ai 1000 m in un terreno martoriato dalle esplosioni, costellato di cadaveri insepolti e reso un pantano dalle piogge, dalla neve e dal continuo lavorio delle granate. I combattimenti continuarono anche dopo la conclusione della battaglia di Ypres senza che nessuno dei due contendenti si avvantaggiasse, e con l'inverno la situazione peggiorò; le trincee si riempirono, a causa delle piogge torrenziali, di acqua gelida, e la vita dei combattenti divenne - se possibile - ancora più infernale, in un susseguirsi di incursioni e piccoli attacchi lungo tutto il fronte.

La tregua natalizia del 1914. Solo in occasione del primo Natale di guerra sui campi di battaglia si intravvide un ricordo della vita "normale", e alla vigilia, dopo cinque mesi di aspri combattimenti, le armi tacquero lungo tutto il fronte, quando i combattenti dei due schieramenti concordarono - senza l'assenso degli alti comandi - una tregua di tre giorni in cui seppellire i morti e festeggiare insieme il Natale: fu la cosiddetta "tregua di Natale", uno spiraglio di umanità che non si poté più ripetere durante tutta la guerra.

 Trincea francese nel settore di Gueudecourt, Somme, durante l'inverno 1916-1917


 Manifestazione popolare a Bruxelles.

 Truppe coloniali francesi sulla Marna.


 Sopra: il reggimento parte per la guerra (1915)  (Beltrame) (Milano Museo Storia Contemporanea.




Dalla neutralità all'intervento italiano.
La Triplice Alleanza, che teneva l'Italia legata alla Germania e all'Austria, aveva carattere strettamente difensivo: soltanto nel caso in cui uno dei contraenti fosse stato aggredito da due o più Potenze nemiche, gli altri erano tenuti ad intervenire con le armi in sua difesa. Inoltre esso impegnava l'Austria e l'Italia a non consentire alcun mutamento nei Balcani, se non "dopo precedenti accordi fra le due Potenze, basati sul principio del reciproco compenso ". L'Austria, dichiarando guerra alla Serbia ed accingendosi ad occuparne il territorio, violava ai nostri danni gli accordi della Triplice Alleanza, sia perché non ci aveva precedentemente consultati sia perché non ci aveva offerto in cambio alcun compenso. Per tutti questi motivi l'Italia, allo scoppio del conflitto, dichiarò la propria neutralità. Essa fu ben accetta non solo ai neutralisti, cioè a quella parte degli Italiani che reputavano vantaggioso per il nostro Paese non partecipare al conflitto né a fianco degli Imperi Centrali né a fianco dell'Intesa, ma anche agli interventisti, che considerarono la decisione italiana come un primo passo di avvicinamento all'Intesa, con la quale volevano che ci schierassimo per completare l'opera del Risorgimento liberando le Venezie Giulia e Tridentina, l'Istria e la Dalmazia ancora soggette al dominio austriaco. Durante i dieci mesi di neutralità gli interventisti riuscirono con un'intensa propaganda ad orientare la pubblica opinione sull'opportunità della partecipazione italiana al conflitto. Secondo il loro pensiero, tale partecipazione era il prezzo che l'Italia doveva pagare per acquistare il diritto di sedere tra le grandi Potenze nell'Europa di domani; era l'occasione che le si offriva di raggiungere i suoi naturali confini geografici in Oriente, di assicurarsi un più largo respiro nel Mediterraneo, di conquistare nuovi mercati internazionali ai prodotti delle sue industrie e della sua agricoltura, ed eventualmente di ingrandire i propri possedimenti coloniali. Il presidente del Consiglio Antonio Salandra, convinto della validità delle ragioni degli interventisti, condusse segrete trattative con i rappresentanti dell'Intesa e il 26 aprile 1915, avendo ottenuto il riconoscimento dei nostri diritti su tutte le terre irredente, stipulò con essi il Patto di Londra, col quale l'Italia si impegnava ad intervenire nella guerra. Pochi giorni dopo egli notificò agli Imperi Centrali la dichiarazione di decadenza del trattato della Triplice Alleanza. Una grande adunata garibaldina, tenutasi a Quarto il 5 maggio per celebrare il cinquantacinquesimo anniversario della partenza dei Mille, indicò che gli Italiani erano d'accordo con l'azione politica del governo, e il discorso pronunciato quel giorno da Gabriele D'Annunzio echeggiò in tutta la Penisola come un grido di incitamento alla " guerra vendicatrice e redentrice ". Così, in un rinnovato clima risorgimentale, il 24 maggio I915 l'Italia diede inizio contro l'Austria a quella che fu detta la quarta guerra d'indipendenza.
Il nostro esercito, agli ordini del generale Luigi Cadorna, si schierò su un fronte che si estendeva, a forma di S rovesciata, dallo Stelvio all'Adriatico, lungo la linea di confine tracciata dall'Austria nel 1866. Esso si divideva in tre settori: occidentale, nel Trentino; centrale, nel Cadore e nella Carnia, comprendente i bacini del Piave e del Tagliamento; orientale, nel territorio di Trieste, comprendente l'altopiano carsico e il bacino clell'Isonzo. Da principio le truppe italiane fecero un balzo in avanti su tutto il fronte: ad Occidente occuparono Ala e parte della Valsugana, nel centro Cortina d'Ampezzo, ad Oriente raggiunsero il corso clell'Isonzo. Poi dovettero arrestarsi per l'accanita resistenza del nemico, ed anche sul nostro fronte la guerra di movimento si trasformò in dura guerra di posizione e di logoramento.
In autunno, mentre noi tentavamo di aprirci una via verso Gorizia e verso Trieste, avvenne la totale occupazione della Serbia da parte degli Austro-Bulgari e lo sbarco a Salonicco (la parte degli Inglesi. I resti dell'esercito serbo si rifugiarono nei porti albanesi, (la dove le navi italiane, con la collaborazione di alcune navi francesi e inglesi, li trasportarono a Corfù.

Sotto: fronte italiano nel 1915.


Il massacro armeno del 1915. Nel 1915 alcuni battaglioni armeni dell'esercito russo cominciarono a reclutare fra le loro fila armeni che prima avevano militato nell'esercito ottomano. Intanto l'esercito francese finanziava e armava a sua volta gli armeni, incitandoli alla rivolta contro il nascente potere repubblicano. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l'élite armena di Costantinopoli. L'operazione continuò l'indomani e nei giorni seguenti. In un solo mese, più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al Parlamento furono deportati verso l'interno dell'Anatolia e massacrati lungo la strada. Alla fine il numero degli armeni morti nel secondo massacro del 1915 è ancora più controverso. Fonti turche stimano il numero dei morti in 200.000, mentre quelle armene arrivano a 2.500.000. Il lato negativo fu che questo massacro passò inosservato da parte dell'opinione pubblica mondiale, per cui in futuro, permise ai nazisti di portare a termine un genocidio peggiore: la Seconda Guerra Mondiale costo il sacrificio di oltre 50 milioni di vite umane di cui almeno 10 milioni nei campi di sterminio.

Le operazioni di guerra del 1916.
All'inizio del 1916 la Germania concentrò le sue forze in Francia contro la fortezza di Verdun. La battaglia, nella quale caddero più di un milione di uomini, durò circa sei mesi (febbraio-luglio); ma il nemico non riuscì ad infrangere la resistenza dell'esercito franco-inglese e dovette ancora una volta abbandonare la speranza di giungere a Parigi. Mentre si combatteva a Verdun, tra la flotta inglese e quella tedesca avvenne la battaglia navale dello Jutland, nel Mare del Nord, conclusasi con gravi perdite dalle due parti (31 maggio). In seguito la flotta tedesca non osò più affrontare il nemico in mare aperto e limitò la guerra navale agli agguati dei sottomarini. Il 15 maggio gli Austriaci sferrarono una grande offensiva nel settore occidentale del fronte italiano, con la speranza di aprirsi un varco e di prendere alle spalle le nostre truppe operanti nei settori centrale e orientale. Essa fu detta Strafexpedition, cioè spedizione punitiva, perché l'Austria voleva punire l'Italia di aver abbandonato la Triplice Alleanza e di essersi schierata con le potenze dell'Intesa. Da principio il generale Conrad, comandante in capo dell'esercito austroungarico, riuscì a rompere la linea italiana al centro e ad avanzare nella Valsugana e sull'altopiano di Asiago, giungendo in vista della pianura vicentina; ma l'accanita resistenza opposta ai lati dai nostri capisaldi di Passo Beole e del Pasubio consentì al generale Cadorna di far affluire rinforzi, che arrestarono l'avanzata del nemico e quindi, mediante una controffensiva, riconquistarono le posizioni perdute, ristabilendo la vecchia linea del fronte. All'inizio della battaglia il patriota Damiano Chiesa di Rovereto, arruolato come volontario nel nostro esercito, fu catturato dal nemico e fucilato come traditore nel Castello del Buon Consiglio a Trento; poco dopo vennero colà impiccati il trentino Cesare Battisti, deputato di Trento nel Parlamento viennese, e l'istriano Fabio Filzi, anch'essi combattenti come volontari nell'esercito italiano e caduti prigionieri degli Austriaci sul Monte Corno; la stessa sorte subì a Pola il tenente di vascello Nazario Sauro di Capodistria, catturato col suo sommergibile sulla costa istriana.
 Sopra: la fortezza di Gorizia.
 A Sinistra: martizio di cesare Battisti.
Ai primi di agosto l'Italia riprese l'offensiva nel settore dell'Isonzo, dove complessivamente dal maggio I915 all'ottobre 1917 furono combattute dodici battaglie sanguinosissime. Si trattò ogni volta di attacchi frontali, voluti dal Cadorna per logorare le forze nemiche oppure per alleggerire la pressione del nemico su altri fronti dello schieramento dell'Intesa, ma che costarono la vita a centinaia di migliaia di nostri soldati.
Nell'offensiva dei primi di agosto le truppe italiane, superando d'un balzo le alture del Podgora, del San Michele e del Sabotino, si aprirono la strada verso Gorizia, dove entrarono vittoriosi il 9 agosto. L'impresa fu celebrata dal giovane poeta Vittorio Locchi nella " Sagra di Santa Gorizia ", uno dei canti più spontanei ispirati dalla guerra. Durante l'azione cadde sul Carso il bersagliere romano Enrico Toti, che era riuscito ad arruolarsi volontario sebbene fosse privo di una gamba. Prima di morire egli raccolse le ultime forze per scagliare la propria stampella contro il nemico in fuga. Mentre gli Austro-Tedeschi erano impegnati in Francia e in Italia, sul fronte orientale i Russi occuparono la Bucovina e ricomparvero nei Carpazi meridionali, catturando circa 400.000 prigionieri. Così l'estate del 1916 si concludeva con tre sconfitte degli Imperi Centrali: a Verdun, a Gorizia e sul fronte orientale. Essi però riportarono un grande successo in autunno con l'occupazione della Romania, che era stata incoraggiata dalle vittorie russe ad entrare in guerra per conquistare la Transilvania. L'occupazione della Romania fu molto vantaggiosa per gli Imperi Centrali, perché vi trovarono il grano e il petrolio di cui avevano estremo bisogno per continuare la resistenza contro l'accerchiamento delle Potenze dell'Intesa.


L'offensiva pacifista.
Nell'inverno del 1916-17 tutti i belligeranti attraversarono un periodo di stanchezza: i milioni di morti, le enormi distruzioni di materiali, la scarsezza di viveri avevano contribuito a diffondere un generale malcontento nei popoli europei, i quali desideravano che la guerra cessasse al più presto. Gli Imperi Centrali, che in seguito al ristabilimento del fronte orientale e all'occupazione della Romania si trovavano in condizioni di vantaggio sugli alleati, fecero sapere di essere disposti ad iniziare trattative con gli avversari per una pace di compromesso. Da parte loro le Potenze dell'Intesa non potevano prendere in considerazione, senza tradire i propri interessi, la pretesa degli Austro-Tedeschi di conservare, a guerra finita, molti dei vantaggi conseguiti con le occupazioni territoriali in Belgio, in Francia, in Polonia, in Serbia, in Montenegro e in Romania. Nonostante gli accorati appelli del papa Benedetto XV affinché si ponesse termine all" inutile strage ", l'offensiva pacifista degli Imperi Centrali venne respinta.

Le pessime condizioni di vita nelle trincee costrinse molti soldati a mutilarsi e altri, apparentemente sani, ma colpiti nella psiche, furono considerati codardi e costretti a riprendere a combattere. Con il proseguire della guerra, i comandi utilizzarono le Corti Marziali e molti soldati furono fucilati al fine di mantenere l'ordine.

La rivoluzione russa.
La stanchezza della guerra era particolarmente sentita dal popolo russo, che sui campi di battaglia aveva già perduto più di un milione e mezzo di uomini e che nelle città si trovava ormai ridotto alla fame per la crescente scarsità di viveri. L'antico rancore degli operai e dei contadini russi contro la propria miseria e contro la corruzione che regnava nell'amministrazione dello Stato, esasperato dai lutti e dai disagi della guerra, nel 1916 si era manifestato con scioperi, proteste e sommosse di ogni genere, e ai primi di marzo del 1917 sfociò in una grande rivolta, scoppiata a Pietrogrado e in breve propagatasi a tutto il paese.
forza pubblica venne sopraffatta oppure fece causa comune con i rivoltosi, e lo zar Nicola II fu costretto ad abdicare (15 marzo). Allora il potere fu assunto dal socialista moderato Alessandro Kerenskij, che si accinse a dar vita a una repubblica democratica; ma tutti i suoi sforzi per creare un governo stabile furono prima ostacolati e da ultimo resi vani dagli estremisti rivoluzionari di sinistra, i bolscevichi, per i quali la caduta della monarchia e la proclamazione della repubblica costituivano soltanto un primo passo verso la creazione dello Stato comunista. Sotto la guida di Lenin e di Trotzkij, che in aprile erano rientrati dall'esilio, i bolscevichi si organizzarono e nelle principali città costituirono i Consigli degli operai e dei soldati (Soviet), col programma di imporre al paese la " dittatura del proletariato " e di concludere coi nemici la " pace ad ogni costo ". La rivoluzione bolscevica scoppiò il 7 novembre a Pietrogrado: Kerenskij fu costretto a fuggire e Lenin divenne il capo di un nuovo governo, detto Consiglio dei commissari del popolo. Questo decretò l'abolizione della proprietà terriera senza alcuna indennità, il controllo degli operai sulle imprese industriali, il passaggio di tutti i poteri ai Soviet, la cessazione della guerra contro la Germania.
Il nuovo Stato sorto dalla rivoluzione fu detto Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (U.R.S.S.) e pose la sua capitale a Mosca. La famiglia imperiale dei Romanov, prima tenuta prigioniera nel suo palazzo di Zarskoie Selu e quindi trasferita in Siberia, fu poi tutta trucidata dai bolscevichi a Ekaterinburg (18 luglio 1918). Le trattative di pace con la Germania vennero condotte da Trotzkij, commissario del popolo per gli affari esteri, e concluse a Brest-Litovsk (4 marzo 1918) i bolscevichi abbandonavano ai Tedeschi tutti i territori baltici e ai Turchi tutti i distretti caucasici.


Le operazioni di guerra del 1917.
Alla fine di gennaio del 1917 la Germania annunziò la guerra ad oltranza con i sottomarini contro tutte le navi dirette ai porti dell'Intesa, a qualunque nazione appartenessero. Con questa decisione essa si proponeva di "ridurre alla fame " l'Inghilterra, impedendole soprattutto i rifornimenti di viveri e di materiali dall'America. Ciò provocò un'ondata di indignazione negli Stati Uniti, che stabilirono di abbandonare la neutralità e di scendere in guerra a fianco delle Potenze dell'Intesa. Essi furono mossi, oltre che dalla necessità di proteggere i propri commerci, anche dal desiderio di opporsi ai metodi di guerra antiumanitari seguiti dagli Imperi Centrali e di difendere la libertà delle democrazie europee, minacciata di soffocamento da parte del militarismo germanico. La dichiarazione di guerra degli Stati Uniti avvenne il 6 aprile e fu seguita da quella di quasi tutti gli Stati americani e di molti Stati asiatici, compresa la Cina. Essa ebbe subito grandissime conseguenze morali, perché servì ad annullare il vantaggio materiale ottenuto dagli Imperi Centrali col concentramento di tutte le loro forze in Occidente in seguito alla cessazione delle ostilità sul fronte orientale. Tra il 1917 e il 1918 circa due milioni di soldati americani sbarcarono in Francia, contribuendo in maniera determinante al conseguimento della vittoria finale da parte degli eserciti alleati. Sul fronte italiano le operazioni di guerra furono intensificate in primavera con la ripresa dell'offensiva nel settore dell'Isonzo, sollecitata dagli alleati per alleggerire la pressione nemica in Francia. Essa venne continuata nell'estate e portò le nostre truppe alla conquista dell'altopiano della Bainsizza e del Monte Santo; ma non fu possibile far cadere il munitissimo caposaldo di Tolmino, che avrebbe aperto alla nostra avanzata la via di Lubiana e di Trieste. Nella zona di Tolmino, dopo la defezione russa, l'Austria e la Germania concentrarono ingenti forze e materiali fatti affluire dal fronte orientale, e il 24 ottobre sferrarono contro di noi una poderosa offensiva, sotto il comando del generale tedesco von Below, col proposito di eliminare l'Italia dal conflitto così com'erano state eliminate la Serbia, la Russia e la Romania. Al tremendo urto il nostro fronte si spezzò sull'ala sinistra, nel settore di Caporetto, lasciando aperto un varco all'avanzata del nemico, che mirava a prendere alle spalle tutto lo schieramento italiano e quindi a dilagare nella pianura veneta sino al Mincio e al Po. Per evitare l'accerchiamento, il nostro esercito fu costretto a ripiegare su una nuova linea di difesa che dall'altopiano di Asiago scendeva nella Valsugana, attraversava il massiccio del Grappa, raggiungeva il Piave in vicinanza del Montello e ne seguiva la riva destra fino al mare. Così le province di Udine e di Belluno rimasero preda dell'esercito invasore. Il generale Armando Diaz, succeduto al Cadorna nel comando supremo dopo il ripiegamento, riorganizzò l'esercito e rafforzò le opere di difesa per una resistenza ad oltranza sulle nuove posizioni. A Roma il ministero Boselli, costituito nel giugno dell'anno precedente in seguito alle dimissioni del Salandra, lasciò il posto a un ministero di unione sacra, presieduto dal siciliano Vittorio Emanuele Orlando, il quale concentrò i suoi sforzi e rinsaldare il fronte interno affinché tutte le energie del Paese fossero rivolte alla salvezza della Patria. Il nemico si avventò contro la nuova linea di difesa italiana e rinnovò innumerevoli volte gli assalti; ma il nostro esercito, in cui accanto ai veterani si trovavano le giovanissime reclute della classe del '99, non cedette di un passo, fedele alla consegna ricevuta: " morire, non ripiegare ". L'anno sfortunato si concluse con un fausto avvenimento: il 1o dicembre Luigi Rizzo e Andrea Ferrarini, penetrati nel porto di Trieste con uno dei nostri MAS (= Motoscafi antisommergibili) ai quali Gabriele D'Annunzio aveva dato il motto "Memento audere semper " (= Ricordati di osare sempre), colarono a picco con un siluro nel fianco la corazzata austriaca Wien.

 
Sotto: contrattacco italiano in Francia.
 
Sotto: ciclisti italiani.

Il 1918: anno della vittoria.
Gli attacchi del nemico contro il nostro schieramento sul Grappa e sul Piave non ebbero tregua neppure nei mesi invernali. Ma non riuscirono a far arretrare dalle loro posizioni i nostri soldati, che si sentivano incoraggiati e sostenuti dal rinnovato spirito patriottico di tutta la nazione. L'eco dell'eroismo con cui essi nel 1918 resistettero fino alla controffensiva e alla vittoria finale risuona ancor oggi nella Canzone del Piave e in quella del Monte Grappa. Gli attacchi invernali furono il preludio delle grandi battaglie che la Germania e l'Austria, ridotte ormai allo stremo della resistenza, preparavano, concentrando tutte le loro forze sul fronte francese e su quello italiano, decise a compiere l'ultimo disperato tentativo di strappare ai nemici la vittoria. L'offensiva tedesca in Francia, che fu detta la battaglia del Kaiser per la presenza al campo dell'imperatore Guglielmo Il, ebbe inizio il 21 marzo e si protrasse fino al 1- giugno. In essa venne impiegato il cannone Bertha, che lanciava i suoi proiettili su Parigi, alla distanza di 120 chilometri. Da principio le forze tedesche spezzarono il fronte alleato nel punto di congiunzione dello schieramento inglese con quello francese ed avanzarono per circa 50 chilometri; ma poi furono definitivamente fermate sulla Marna, com'era avvenuto nel 1914, dal generalissimo Foch, sotto la cui direzione unica e suprema erano state poste le armate anglo-franco-belghe appoggiate da reparti americani ed italiani. All'alba del 15 giugno ebbe inizio l'offensiva austriaca in Italia. Essa fu sferrata su un fronte di 150 chilometri, comprendente i settori montani di Asiago e del Grappa e il settore della pianura lungo il corso del Piave. Il nemico penetrò nelle nostre posizioni e in alcuni punti riuscì a passare sulla destra del Piave; ma venne subito contrattaccato con tiri diretti dell'artiglieria, con mitragliamenti a volo radente dell'aviazione, con assalti alla baionetta della fanteria, e fu costretto a ripiegare in disordine su tutto il fronte. Durante l'azione, colpito nel cielo del Montello, cadde il maggiore Francesco Baracca, l'asso dell'aviazione italiana, che aveva sostenuto 63 duelli aerei ed abbattuto 34 apparecchi nemici, e alla cui memoria fu concessa la medaglia d'oro con la seguente motivazione: " Primo pilota da caccia in Italia, campione indiscusso di abilità e di coraggio, sublime affermazione delle virtù italiane di slancio e di audacia, temprato in 63 combattimenti " (19 giugno 1918). Il colpo finale contro gli Austriaci fu sferrato dal nostro esercito il 24 ottobre nella piana di Vittorio Veneto: il fronte nemico venne spezzato nel punto di congiunzione tra il settore montano e il settore della pianura, ogni resistenza fu infranta, e le colonne italiane, lanciate all'inseguimento dei " resti di quello che era stato uno dei più potenti eserciti del inondo ", penetrarono profondamente nel Trentino e nella Venezia Giulia. La nostra vittoria, a cui erano stati di buon auspicio l'affondamento della corazzata Santo Stefano nelle acque di Premuda per opera del comandante Luigi Rizzo (10 giugno) e il volo di Gabriele D'Annunzio su Vienna (9 agosto), fu resa più fulgida dall'affondamento della corazzata Viribus Unitis compiuto il 10 novembre dal maggiore Rossetti e dal tenente Paolucci nell'ancoraggio di Pola.
La sera del 3 novembre, mentre le nostre truppe entravano a Trento e a Trieste, finalmente riunite alla madrepatria, l'Austria chiese l'armistizio, che venne firmato il giorno dopo a Villa Giusti, presso Padova. La Germania, ormai in rotta disordinata su tutto il fronte, ne seguì l'esempio il giorno 11 novembre. E così nell'Europa insanguinata squillarono finalmente le campane della pace. Guglielmo II di Hohenzollern e Carlo I d' Asburgo, che era salito sul trono austro-ungarico nel 1916 in seguito alla morte di Francesco Giuseppe, abbandonarono i loro Stati in rivolta e si rifugiarono in terra d'esilio.


I trattati di pace e la Società delle Nazioni.
Il trattato di pace delle Potenze vittoriose con la Germania fu firmato a Versailles il 28 giugno 1919, quello con l'Austria a Saint Germain il 10 settembre dello stesso anno.
Dallo sfacelo dell'Impero Austro-Ungarico sorsero, per effetto di questi trattati, quattro nuovi Stati:
1) la Repubblica Austriaca, con capitale Vienna, comprendente il solo territorio dell'Austria;
2) la Repubblica Ungherese, con capitale Budapest, ridotta a meno della metà dell'antica Ungheria;
3) la Repubblica Ceco-Slovacca, con capitale Praga, comprendente la Boemia, la Moravia, la Slovacchia e una parte della Slesia;
4) il Regno Iugoslavo, cioè degli Slavi del Sud, con capitale Belgrado, comprendente la Croazia, la Slovenia, la Bosnia, l'Erzegovina, il Montenegro e la Serbia.

La Germania fu privata dell'Alsazia e della Lorena, che ritornarono alla Francia, e di tutte le colonie, che vennero assegnate come mandati, cioè in amministrazione temporanea, in massima parte all'Inghilterra e alla Francia; essa inoltre fu completamente disarmata e condannata a pagare ai vincitori una forte indennità di guerra. La Polonia fu ristabilita nei confini che aveva prima del 1772 ed ottenne anche uno sbocco nel Mar Baltico, mediante il così detto corridoio polacco che staccava la Prussia orientale dal resto della Germania. I popoli abitanti sulle coste orientali del Baltico si costituirono nelle Repubbliche indipendenti di Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania.
La nostra Italia, alla quale la partecipazione alla guerra era costata il sacrificio di 650.000 giovani figli, raggiunse nel grande arco alpino i suoi confini naturali, ottenendo, per effetto del trattato di Saint Germain, il Trentino e l'Alto Adige, e inoltre il Friuli orientale, cioè la Venezia Giulia, sino al Monte Nevoso e al Golfo del Carnaro; ma le venne negata l'attribuzione di Fiume e della Dalmazia, e fu completamente esclusa dalla spartizione del ricco bottino coloniale. Per questi motivi da più parti si parlò di " vittoria mutilata ", e il nostro governo venne accusato di inettitudine per non aver saputo validamente difendere alla conferenza della pace gli interessi italiani. Si chiedeva soprattutto, in forza del patto di Londra, l'attribuzione all'Italia di Fiume e della Dalmazia, a cui la Iugoslavia, sostenuta dagli Alleati, non intendeva rinunziare, perché il retroterra dalmata era abitato da Croati. All'alba del 12 settembre 1919, per prevenire un colpo di mano su Fiume da parte dei Croati, Gabriele D'Annunzio di propria iniziativa mosse da Ronchi con un corpo di Granatieri e con alcuni reparti di volontari ed occupò militarmente la città, stabilendovi un governo provvisorio. La questione fu oggetto di trattative dirette tra il nostro governo e la Iugoslavia, i quali il 12 novembre 1920 a Rapallo firmarono un accordo che stabiliva la costituzione di Fiume in città libera e l'attribuzione della Dalmazia alla Iugoslavia, eccettuate la città di Zara e le isole di Lagosta, Pelagosa, Cherso e Lussino, che venivano annesse all'Italia. Per applicare il trattato di Rapallo era necessario porre fine alla situazione irregolare dell'occupazione dannunziana di Fiume, e poiché D'Annunzio si mostrava risoluto a restare nella città, fu mandato contro di lui un corpo di Alpini, i quali lo costrinsero a ritirarsi con i suoi legionari. Più tardi, in seguito a nuove trattative, Fiume fu annessa all'Italia, ferme restando tutte le altre clausole del trattato di Rapallo.
A Versailles, per suggerimento del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, che fin dal gennaio 1918 aveva pubblicato un messaggio in 14 punti sulla cooperazione e sulla mutua assistenza di tutti gli Stati, il giorno stesso della firma del trattato di pace venne costituita la Società delle Nazioni, associazione fra gli Stati di tutto il mondo, con lo scopo di sviluppare la cooperazione internazionale e di garantire la pace e la sicurezza nel mondo, risolvendo i conflitti tra gli Stati mediante giudizi arbitrali e ricorrendo a sanzioni economiche contro gli Stati che rifiutassero di accettarne le decisioni.

   

Jean de Bloch
 

Jan Bloch (nato il 24 luglio 1836 a Radom - morto il 7 gennaio 1902 a Varsavia) è stato un finanziere, produttore e un pioniere del percorso ferro polacco di origine ebraica, noto come "il re della ferrovia".
Autore di notevole studio in sei volumi dal titolo "La guerra del futuro" che mostra come preveg- gente l'impatto disastroso che può avere una guerra moderna, prende il nome per il Premio Nobel per la Pace nel 1901.

E' uno degli organizzatori della prima Conferenza dell'Aia nel 1899. Egli ha anche fondato il primo museo per la guerra e la pace in Lucerna.




 Jean Jaurès socialista france-  se ucciso da un nazionalista  nel 1914. Dieci anni dopo il  suo assassinio, i resti di Jean  Jaurès furono traslati al  Panthéon di Parigi.

L' Europa nel 1914, prima dello scoppio della Grande Guerra, si suddivise fra interventisti (costituiti in particolari da nazionalisti) e pacifisti ( socialisti) contrari alla guerra che avrebbe portato gravi sofferenze e distruzioni.
Poi in seguito all'assassinio in Francia del socialista Jean Jaurès eseguito da Raoul Villain (un giovane nazionali- sta francese che voleva la guerra con la Germania) il 31 luglio 1914, un giorno prima della mobilitazione che diede il via alla guerra favorita dal fatto che anche i socialisti dei paesi interessati diven- nero interventisti per tutelare gli interessi dei loro paesi.
In Italia, poi, l'ostilità alla guerra dei socialisti, provocò il distacco del

socialista Benito Mussolini dal partito perchè era favorevole all'intervento dell'Italia alla guerra. Con l'uscita dal partito socialista, Mussolini, con l'aiuto degli interventisti fondò il "Popolo d'Italia".



Sopra: i Balcani dopo la guerra del 1913.

 Sopra: assassinio di F.Ferdinando a Sarajevo. L'attentato di Sarajevo fu il gesto omicida eseguito dal bosniaco Gavrilo Princip che colpì l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria-Ungheria, e sua moglie Sofia durante una visita ufficiale nella città bosniaca nel 1914. Il conflitto che era alle porte sarebbe stato senza precedenti nella storia e avrebbe richiesto la mobilitazione di oltre 70 milioni di uomini e la morte di oltre 9 milioni di soldati e almeno 5 milioni di civili.

 Sotto: combattimento al ponte serbo della Dava.

Sotto: cavalleria belga a Liegi contro i Tedeschi.

Sotto uno dei "taxi della Marna", modello Renault AG-1


Con gli uomini al fronte, molte donne finirono in fabbrica a costruire le armi necessarie alla guerra.
Sotto: feriti al fronte.
 La mitragliatrice, arma protagonista della  guerra.
Sotto: salme ammassate pronte per la sepoltura.


 Sopra: un sottomarino tedesco in emersione: i sottomarini tedeschi impiegando siluri, colarono a picco molte navi alleate. Il blocco navale però causò molte sofferenze soprattutto per le popolazioni facenti parte degli Imperi Centrale per la mancanza di cibo.
Sotto: il mondo nel 1914-18: nonostante che i centri del conflitto fossero in Europa, furono coinvolte anche le colonie, e, poi, l'intervento degli Stati Uniti,provocato dai sottomarini tedeschi, sconvolse il delicato equilibrio delle risorse belliche (produzione di ferro e acciaio) dando la vittoria finale agli alleati.



Truppe russe affrontano Tedeschi e Austriaci.
 Sotto: Guerra 1915-18 - La Tradotta - (Milano,  Museo Storia Contemporanea).


Sopra: entusiasmo per l'entrata in guerra dell'Italia.
Sotto: ufficiali serbi feriti arrivano in Italia.


Sopra: ingresso delle truppe italiane a Gorizia.
Sotto: il generale Luigi Cadorna (1950-1928) (Milano,
Museo di Storia Contemporanea).



Sopra: il generale Armando Diaz- capo di Stato Maggiore dell'esercito italiano dal 1917.
Sotto: battaglia di Verdun.

 L'asso italiano Francesco Baracca.

 L'asso tedesco Manfred von  Richthofen.



Sopra: Lenin (Vladimin Ilich Uljanov 1870/1924)
Sotto: prime truppe americane in Francia).


Sopra: il maresciallo francese Foch.


 A sinistra: l'Europa dopo la Prima guerra Mondiale.


Sotto: manifestazione a Trieste




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