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  Giuseppe Pignatale  Presenta:
   Storia moderna:
NASCITA DEGLI STATI UNITI.

Nel 1776 assistiamo alla nascita degli Stati Uniti, grazie alla volontà dei coloni americani che non vollero assoggettarsi alla volontà del re e del Parlamento inglese in quando guidati da illustri avvocati e scienziati, avevano altre aspirazioni, creando così il primo esempio di repubblica......

 
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Sopra: Lord Cornwallis, in piedi, si arrende a George Washington, a cavallo. Yorktown 1781.


A sinistra: 1775: Le Tredici Colonie sono la zona rossa, i domini inglesi quella rosa,
i domini spagnoli quella arancione.

 LE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE:

Londra esigeva che i sudditi americani contribuissero al pagamento delle spese del vasto "impero" nord-americano. Dopo la guerra dei sette anni, l'Inghilterra si trovava in serie difficoltà economiche (crisi finanziaria) a cui tentò di porre rimedio con due fondamentali provvedimenti: lo Sugar Act (che imponeva alti dazi sui prodotti di importazione dalla madrepatria alle colonie) e lo Stamp Act (che imponeva un bollo sui documenti ufficiali e sui giornali); inoltre la madre patria ribadiva il proprio monopolio industriale vietando di fatto lo sviluppo autonomo delle colonie, preoccupandosi, com'era ovvio, non tanto dei loro particolari interessi, quanto degli interessi globali dell'impero. Né da una parte

né dall'altra esisteva di fatto un'aperta volontà di scontro e le colonie servivano come pura fonte di materie prime utili allo sviluppo inglese.

Se si giunse alla completa rottura fra le colonie e la madrepatria, alla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America e alla guerra, fu perché agivano ragioni profonde e oggettive da individuare come cause reali della rivoluzione americana: le colonie non si sarebbero potute sviluppare sino a diventare il primo nucleo degli Stati Uniti d'America, se fossero rimaste inquadrate e soffocate nell'organizzazione monarchica inglese.

Fin dal 1743, Benjamin Franklin aveva proposto d'inventariare le risorse agricole, minerali, industriali che la scienza avrebbe permesso di mettere a buon frutto. George Washington, per quanto appartenente a una famiglia di ricchi proprietari di piantagioni della Virginia, aveva esperienza sufficiente per ragionare non nei termini provinciali del profondo Sud, ma secondo prospettive globali di sviluppo.

La guerra dei sette anni aveva posto fine alla dominazione francese sui territori canadesi, cosicché i coloni non avevano più quella necessità di protezione che era stato uno dei principali motivi di attaccamento alla patria di origine. Ciò li rendeva più insofferenti dei privilegi che l'Inghilterra si era riservata, che risultavano tanto più odiosi in quanto la cultura illuministica, diffusasi anche oltreoceano, denunciava l'assurdità delle restrizioni frapposte alla libertà di commercio. D'altro canto, la Corona inglese pretendeva una partecipazione alle spese sostenute per la loro protezione. La conclusione della guerra fu per i coloni un'amara delusione: essi si aspettavano che le regioni a est del Mississippi fossero aperte alla loro libera espansione, mentre una disposizione regia precluse immediatamente questa possibilità dichiarando che le terre di recente conquista appartenevano all'Impero britannico: si ricorda che, oltre alle terre lasciate alla libera conquista individuale, molte – soprattutto nel meridione – furono assegnate a nobili o compagnie commerciali affinché le sviluppassero per conto del re. A ciò si aggiunsero molteplici iniziative del Parlamento, intese, come abbiamo detto, a imporre anche ai coloni l'obbligo di contribuire alle spese dell'impero. Si trattava di imposte indirette su generi che avevano un'importanza non trascurabile per gli Americani: le tasse doganali percepite dal governo inglese non erano sufficienti a pagare le spese dei corpi militari e dei funzionari stanziati in America. I coloni, sa parte loro, erano abituati a pagare soltanto le imposte locali. Nel 1765 il governo inglese volle estendere alle colonie una tassa del bollo, già in vigore nella madrepatria, per la quale ogni uso della carta, nei giornali, nei documenti commerciali, negli atti legali, eccetera, era sottoposto a un tributo, che veniva pagato mediante l'apposizione di un bollo (questo documento passò alla storia sotto il nome di "Stamp Act"). Poiché il consenso dei contribuenti nella determinazione delle imposte era uno dei cardini tradizionali della libertà inglese fin dai tempi della Magna Charta, i coloni si rifiutarono di ottemperare alla legge e posero l'alternativa o di poter inviare i propri rappresentanti in Parlamento, o di essere esonerati da ogni tassa non approvata dai loro rappresentanti, secondo il famoso principio No taxation without representation. Dal momento che «La libertà consiste nell'obbedire alle leggi che ci si è date e la servitù nell'essere costretti a sottomettersi ad una volontà estranea» (Robespierre), e «Nulla denota uno schiavo se non la dipendenza dalla volontà di un altro» (Algernon Sydney), essere sottoposti a leggi che non si è contribuito a formare equivaleva per i coloni alla schiavitù; i coloni sentivano cioè di essere trattati dall'Inghilterra come schiavi («miserabilmente oppressi come i nostri neri», per George Washington): «Non vogliamo essere i loro negri!» (John Adams).
Di fronte alla protesta dei coloni, la legge sul bollo fu abrogata ma fu sostituita con una serie di imposte indirette su alcune merci (carta, vernici, piombo, tè), che le colonie importavano dall'Inghilterra. La portata economica di questi provvedimenti era molto limitata, ma con essi il Parlamento intendeva porre una questione di principio, facendo valere concretamente il suo diritto di tassare tutti i sudditi dell'impero. I coloni non accettarono l'impostazione del Parlamento, la questione di principio rimase irrisolta e nel 1770 le imposte indirette furono tutte abolite, salvo quella sul tè.
Nel 1773 la Compagnia Inglese delle Indie Orientali ottenne dal Parlamento il diritto di vendere in esclusiva, e mediante i suoi stessi agenti, il tè ch'essa importava dalla Cina, tagliando fuori gli intermediari americani che avevano fino ad allora goduto di un ampio e fruttuoso giro di affari. I commercianti americani di tè, sostenuti dall'opinione pubblica e dalle organizzazioni popolari dei Figli della libertà, organizzarono di rimando il boicottaggio delle merci inglesi: questa azione culminò in un episodio particolarmente clamoroso, quando alcuni Figli della libertà, travestiti da Indiani, assalirono le navi della Compagnia alla fonda nel porto di Boston e gettarono in mare il carico di tè (episodio noto come Boston Tea Party, del 16 dicembre 1773). Il governo di Londra bloccò il porto di Boston e tentò di privare il Massachusetts di ogni autonomia amministrativa, inviando sul posto un gruppo di funzionari inglesi nominati dal re. In tale situazione, già molto tesa, subentrò una nuova decisiva ragione di conflitto quando, nel 1774, il Parlamento approvò le famose «Quattro leggi intollerabili (Intolerable Acts)», oltre al Quebec Act (Legge sul Quebec) che assicurava ai sudditi del Canada, di nazionalità francese e di recente acquisizione, la più ampia libertà religiosa e civile e assegnava al Canada tutti i territori a nord del fiume Ohio, nei quali i sudditi delle tredici vecchie colonie aspiravano ad espandersi.

 Sopra: nel porto di Boston, nel dicembre del 1773 finti indiani gettarono in mare
 un carico di tè.

L'ulteriore limitazione della libera espansione territoriale dei coloni, che l'Inghilterra voleva in sostanza confinare a oriente dei monti Appalachi, in favore degli indigeni che abitavano il resto del territorio, furono percepite come un atto di dispotismo e di inaccettabile limitazione della libertà dei coloni, che pretendevano di essere liberi – fra l'altro – di sterminare le popolazioni indigene per impadronirsi del «deserto» e trasformarlo in terre fertili coltivate: infatti, non solo gli indigeni erano ritenuti dei selvaggi inferiori, ma la loro terra non era considerata tale perché non lavorata: e secondo John Locke la base del diritto naturale alla proprietà è appunto il lavoro.
Secondo Theodore Roosevelt, « Il fattore principale nel produrre la Rivoluzione, e più tardi la guerra del 1812, fu l'incapacità della madrepatria a comprendere che gli uomini liberi, i quali avanzavano nella conquista del continente, dovevano essere incoraggiati in quest'opera; il famoso Quebec Act del 1774 fu in parte architettato con lo scopo di mantenere permanentemente ad est degli Allegani le colonie di lingua inglese e conservare la possente e bella vallata dell'Ohio come terreno di caccia per i selvaggi. »

L'Inghilterra sembrava privilegiare gli interessi dei selvaggi (e in seguito quelli degli schiavi) rispetto a quelli dei bianchi, limitando la libertà di quest'ultimi di fare dei primi e della loro terra quello che volevano. Anche per questo, secondo l'abolizionista James Stephen, «I diritti politici nelle mani di un grande corpo di proprietari di schiavi sono i peggiori strumenti di tirannide mai forgiati per l'oppressione dell'umanità»; secondo Adam Smith, infatti, solo un governo dispotico potrebbe abolire la schiavitù: « La libertà dell'uomo libero è la causa della grande oppressione degli schiavi [...]. E dato che essi costituiscono la parte più numerosa della popolazione, nessuna persona provvista di umanità desidererà la libertà in un paese in cui è stata stabilita questa istituzione. »
Era dunque necessario eliminare il distante governo dispotico inglese, contrario agli interessi delle colonie. Le «Leggi intollerabili», e il Quebec Act, accelerarono il processo di ribellione ormai in corso. Nelle colonie meridionali i grandi proprietari terrieri, i mercanti, i ricchi professionisti, consideravano il governo inglese come garante della conservazione sociale ma, specie nel Nord, i lavoratori, il popolo minuto, i piccoli agricoltori e gli uomini di frontiera, abbracciarono la tesi dell'indipendenza.
Nell'autunno del 1774,a Filadelfia, si riunì un Congresso continentale composto dai delegati di tutte le colonie eccetto la Georgia, si limitò a rivendicare l'autonomia amministrativa dei coloni e votò il boicottaggio sistematico delle merci inglesi, da imporre anche con la forza a quegli Americani che non l'avessero praticato spontaneamente. Ancora non si parlava di secessione e Franklin si trovava in Inghilterra per tentare una ragionevole transazione, collaborando alla stesura di un progetto che prevedeva la costituzione di un impero federale, in cui i singoli paesi avrebbero goduto di larga autonomia pur rimanendo uniti nella persona del re.
 LA GUERRA SUL CONTINENTE AMERICANO.

Quando la guerra scoppiò i coloni disponevano solamente di milizie volontarie, i minute- men, al contrario degli inglesi che si appoggiavano su un esercito ben addestrato ed equipaggiato, l'Esercito Britannico. A capo dell'esercito Continentale fu nominato subito Giorgio Washington (pr. wòscinton), un ricco piantatore della Virginia: scelta che poi si rivelò felice.
Washington in realtà non era un fulmine in guerra perchè aveva imparato a guerreggiare combattendo contro i Pellirosse e i Francesi del Canadà. Questo se da una parte può sembrare troppo poco per poter affrontare le giubbe rosse inglesi, dall'altro occorre sottolineare che Washington possedeva una tenacia a tutta prova, un profondo senso del dovere e un completo disinteresse. Queste doti gli permisero di affrontare la guerra con scarse forze, con ufficiali sfiduciati e a volte traditori e, questo si aggiunge che spesso era martoriato da tremendi mal di denti a cui la medicina di allora poteva ben poco.
Dapprima le sorti della guerra furono molto sfavorevoli per gli Americani, però gli Inglesi, sicuri di vincere la guerra, trascurarono le necessarie precauzioni, e il 17 ottobre del 1777, a Saratoga, subivano una netta sconfitta facendo acquisire animo all'esercito continentale. In Europa poi, la Francia, la Spagna, l'Olanda, che avevano visto accrescere sempre più la potenza coloniale inglese, sostennero le colonie americanr eil conflitto prese un indirizzo diverso. Si combattè ancora per molto tempo e su fronti diversi: in America, a Gibilterra, contro gli Spagnoli, in India contro i Francesi, e infine sui mari. Sul continente americano, il 9 ottobre 1781 a Yorktown iniziava lo scontro tra gli inglesi e le truppe franco-americane che il 19 ottobre riuscirono ad avere la meglio su lord Cornwallis che si arrese.
Infine nel 1783, l'Inghilterra visti gli alti costi della guerra, cedeva, e, con la pace di Versailles (pr. versàii), riconosceva l'indipendenza delle colonie americane, già proclamata solennemente da loro il 4 luglio del 1776: con il trattato di Parigi, firmato nel 1783, si pose ufficialmente fine alla guerra, già conclusa di fatto tra il 1781 e il 1782. Con la pace, gli Stati Uniti furono riconosciuti dal Regno Unito, che dovette cedere alla Francia il Senegal


 Sopra: George Washington a Monmouth.


e Trinidad e Tobago, alla Spagna la Florida e Minorca e alle Province Unite le sue colonie asiatiche. La corona manteneva comunque il controllo delle Antille, del Canada e di buona parte dell'India.
LA CONFEDERAZIONE:

In America questa guerra fu chiamata Rivoluzione Americana e la Dichiarazione d'Indipen- denza, firmata a Filadelfia, il 4 luglio 1776, fu un potente documento rivoluzionario. In esso Thomas Jefferson, un avvocato della Virginia, aveva inserito tutte le idee più avanzate del secolo sul governo e sul diritto fondamentale dell'uomo a godere " la vita, la libertà, la ricerca della felicità". Tuttavia la rivoluzione era stata portata avanti solo a metà perchè non esisteva un governo solido. Fin dal 1781, le ex colonie si erano associate in una "Unione Perpetua" mediante gli articoli di confederazione, un vago accordo che prevedeva una azione comune nei settori difesa e degli affari esteri. Dopo la guerra ci si rese conto della debolezza dell'accordo: i vari stati agivano separatamente minacciando l'unità della Confederazione. Fu necessario quindi un solido comando in pace (come era avvenuto in guerra) e George Washington, che si era ritirato a vita privata, fu costretto a entrare in politica. Nel 1787 presiedette a Filadelfia un'assemblea, che stabilì una nuova base di governo, la Costituzione degli Stati Uniti d'Ame- rica, ideologicamente fondata sugli scritti di Montesquieu. I singoli stati potevano decidere su molti problemi locali, ma dovevano esservi un forte governo federale comprendente tre rami: esecutivo (Presidente), legislativo (Congresso) giudiziario ( Corte Suprema) Tutti i singoli stati accettarono la Costituzione e nell'aprile del 1789, Washington divenne il primo Presidente americano. La nuova Costituzione abolì i titoli ereditari e la nobiltà, perchè i suoi cittadini eleggevano i loro capi. Gli Stati Uniti furono così la prima democrazia del mondo moderno e la Costituzione americana costituì un modello sia per le Americhe che per l'Europa.

 

 Sopra: firma della Dichiarazione d'Indipendenza..

L'EMIGRAZIONE DEI LEALISTI.,
A causa della sconfitta inglese circa 170.000 lealisti emigrarono. Di questi 45.000 andaro- no in Canada contribuendo ad isolare la popolazione francofona mentre 70.000 preferi- rono ritornare in Inghilterra. I restanti si stabilirono o nelle colonie francesi e spagnole dell'ovest o nei territori americani dove ancora non arrivava la giurisdizione statunitense. Non tutti i lealisti scelsero di emigrare e molti, soprattutto perché non si erano esposti, rimasero negli Stati Uniti.
La perdita che ne derivò fu soprattutto qualitativa in quanto i lealisti avevano gusti europei, più raffinati di quelli americani, sull'arte, sulla cultura e sullo stesso stile di vita.

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Ad emigrare fu un'élite numerosa ed è opinione diffusa fra gli storici che, se questi fossero rimasti, la storia americana avrebbe potuto subire un altro corso (l'esempio utilizzato maggiormente è quello sul trattamento dei nativi: i lealisti vi simpatizzavano e vi stringevano alleanze mentre i "patrioti" li combattevano aspramente).
I lealisti che rimasero sul suolo statunitense, pur subendo vendette personali e patendo anche qualche morto, non subirono quelle persecuzioni di massa che caratterizzarono la rivoluzione francese e quella russa e questo spiega perché solo una minoranza di essi scelse di abbandonare il paese.