Giuseppe Pignatale
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 Le guerre Sannitiche.
 
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Il dominio degli Etruschi in Campania era stato abbattuto dai coloni greci di Cuma collegati coi Siracusani (474 a. C.), e nella città di Capua si era costituita una fiorente repubblica, abitata da genti di stirpe osca. Contro questa repubblica si rivolsero i Sanniti, fiero e bellicoso popolo di contadini e di pastori, che abitavano sui due versanti dell'Appennino meridionale, nell'odierna regione degli Abruzzi e Molise, e che miravano ad impadronirsi delle fertili pianure della Campania.
Capua ed altre città campane, minacciate dai Sanniti, si rivolsero per aiuto ai Romani, ed ebbero così origine le tre guerre sannitiche, che durarono circa mezzo secolo (342-290 a. C.) e si conclusero con la conquista da parte di Roma di tutta l'Italia centrale e di buona ` parte dell'Italia meridionale, dall'Appenvino tosco-emiliano al Molise e alla Campania.
Dopo la prima guerra, in cui i Sanniti furono costretti a ritornare nelle loro sedi, Roma dovette fronteggiare una ribellione dei Latini, che non erano rimasti soddisfatti del trattamento ricevuto dalla potente alleata per il contributo da essi dato alla guerra. La ribellione fu domata dai consoli Tito Manlio Torquato e Publio Decio Mure: il primo diede ai soldati un severo esempio di rigida disciplina militare condannando a morte il proprio figlio Elio, contravvenendo ai suoi ordini, aveva accettato la sfida di un guerriero latino e lo aveva ucciso in duello; il secondo, avendo gli aruspici annunziato che sarebbe stato vincitore l'esercito il cui comandante fosse morto in combattimento, si votò agli dei infernali e, gettatosi nella mischia, cadde trafitto dai dardi nemici. La lega latina fu costretta a sciogliersi, e tutte le città del Lazio accettarono la supremazia di Roma (338 a. C.).
La seconda guerra sannitica ebbe inizio con l'occupazione, da parte di Roma, della città di Napoli, che si era posta sotto la protezione dei Sanniti. I Romani penetrarono nel territorio nemico, ma essendo poco pratici dei luoghi e non addestrati alla guerra tra le montagne, caddero in un agguato abilmente teso dagli avversari: entrati in una stretta gola sulla via tra Capua e Benevento, detta le Forche Caudine, essi si trovarono ad un tratto completamente accerchiati e furono costretti, per non essere annientati, a darsi prigionieri.
1 Sanniti li disarmarono e li fecero passare a uno a uno, chinati in segno di umiliazione, sotto il giogo, formato con due lance infisse nel suolo e con una terza lancia posta sopra orizzontalmente. La rivincita dei Romani avvennc dopo alcuni anni di tregua, da essi impiegati a combattere contro gli Etruschi, che avevano aiutato i Sanniti, a riorganizzare le loro forze.
Riprese le ostilità, l'esercito romano invase il Sannio ed espugnò e distru la città di Boviano, presso l'odierna Campobasso, che era il centro della _ federazione sannitica. I Sanniti furono allora costretti a chiedere la pace e ad abbandonare, per la seconda volta, il territorio della Campania (304 a. C.). Nella terza guerra i Sanniti scesero in campo contro Roma collegati con gli Etruschi, gli Umbri, i Marsi, i Lucani e i Galli Sènoni. A questi si associarono anche gli altri popoli dell'Italia centrale, in uno sforzo comune per sottrarsi all'egemonia di Roma. La guerra fu combattuta su diversi fronti, ma lo scontro più accanito e decisivo avvenne a Sentino, nell'Umbria settentrionale, dove la coalizione degli Italici fu distrutta (295 a. C.).
I Sanniti prolungarono le ostilità per altri cinque anni, specialmente con azioni di guerriglia tra i monti, finché, ridotti allo stremo delle forze, furono costretti ad arrendersi a discrezione dei Romani. Nelle terre conquistate Roma aprì strade e fondò colonie. La prima grande strada fu la via Appia, detta la regina delle vie, cominciata nel 310 a. C. dal censore Appio Claudio, che da Roma conduceva a Capua e che successivamente fu prolungata fino a Brindisi, principale porto di comunicazione con l'Oriente. Essa aveva il fondo lastricato e per molte miglia era fiancheggiata da monumenti sepolcrali. Un'importante colonia fu fondata a Senigallia, la capitale dei Galli Sènoni, sulla costa adriatica. Le colonie avevano un duplice scopo: accogliere l'eccedenza della popolazione cittadina e costituire dei presidi militari a difesa delle terre conquistate.


 Sopra: guerriero sannita.  Pittura parietale del V secolo,  da una tomba di Pesto; sotto:
 a centro guerrieri Etruschi
 e a seguire Galli Senoni.




 Sotto: il giogo.



Sopra: costumi sanniti.

I SANNITI
Erano uomini fortissimi, montanari, pastori e agricoltori, e contrastavano ai Romani il dominio dell'Italia meridionale, verso cui Roma giù volgeva lo sguardo. II paese della Campania è il più bello di tutti, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Non c'è clima più mite di quello: basta dire che ha due primavere fiorite. Non c'è suolo più fertile, non c'è mare più sicuro. Qui i monti sono coperti di viti: il Goro, il Falerno, il Massico. Presso il mare sorgono le città di Formia, di Cuma, di Pozzuoli, di Napoli, e la stessa metropoli di tutte, Capua, considerata un tempo tra le più grandi del mondo, insieme con Roma e Cartagine. Per queste città, per questi paesi il popolo romano assalì i Sanniti, gente fornita di armi, di argento, di oro, di vesti sfarzose, se cerchi la ricchezza; gente che sa guerreggiare quasi sempre come i banditi, tra i boschi e gli agguati dei monti, se cerchi le insidie; gente fatta più coraggiosa dopo che erano stati rotti per sei colte i patti e dopo le sue medesime sconfitte, se cerchi l'ostinazione. E Roma, nello spazio di cinquant'anni, per mezzo dei Fabi e dei Papiri, padri e figli, li sottomise e li domò.


 
   Sotto: Decio Mure, per incitare i suoi uomini, si sacrificò  gettandosi nella mischia col capo velato.

 IL SACRIFICIO DI PUBLIO DECIO MURE.

La tradizione antica, che del meraviglioso prende molto diletto, e in tutti i grandi fatti fa volentieri intervenire gli dèi, qui narra che poco avanti la battaglia i consoli videro in sogno un essere di forma maggiore che umana, il quale annunciava loro che il capo di uno dei due eserciti che stavano a fronte doveva sacrificarsi agli dèi infernali per la salute e per la vittoria dei suoi. Dopo ciò Manlio Torquato e Decio Muro, risoluti ambedue, se fosse bisogno, a dare la loro vita per la salute e per la gloria di Roma, vennero alle armi con l'oste latina presso alle falde del Vesuvio. Dapprima si combattè con pari forze e uguale ardore da ambo le parti. Poi la destra ala romana piegava davanti all'impeto dei Latini, e allora Decio che ne aveva il comando, rivoltosi al sacerdote Marco Valerio, gridò a gran voce esser bisogno dell'aiuto divino, e velatosi il capo e postasi sotto i piedi una lancia ripetè la preghiera solenne pronunziata dal sacerdote, invocò ed adorò gli dèi propizi a Roma, e per la salute delle legioni offrì se stesso e l'oste nemica agli dèi infernali. Dopo aver detto la terribile formula, armato e cinto della toga, come il ministro dei sacrifici, salì sul suo cavallo di battaglia e si lanciò tra le schiere nemiche. È detto che appariva come un genio di sterminio mandato dal cielo a mettere la morte nel campo nemico e ad allontanarla dai suoi. Quindi il solenne spettacolo accrebbe l'animo ai Romani e mise lo spavento e il disordine nelle file latine. Quando poi egli cadde ricoperto di strali, i Latini piegarono da tutte le parti, e Manlio, sopravvenendo a tempo con nuove genti intere di forze, dette la perfezione alla vittoria.



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