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Dopo le Guerre Sannitiche, in Italia, Roma nella sua espansione
verso il Mezzogiorno aveva dinanzi a sè la Magna Grecia ove Taranto primeggiava per
la supremazia del mondo greco d'Occidente.
Ora le vittorie di Roma non solo rendevano difficile la realizzazione di questo sogno
ma mettevano il pericolo la stessa
indipendenza del Mezzogiorno.
Un urto con Roma sembrava inevitabile.
Un giorno i Tarentini erano in teatro che era lì di fronte al mare. A un certo punto nella
distesa azzurra si videro una decina di triremi romane: in pratica Roma aveva violato i
trattati secondo i quali le navi da guerra di Roma non dovevano oltrepassare il Capo di
Licinio, in Calabria. A quella vista, gli spettatori abbandonarono la
rappresentazione e dopo aver raggiunto il porto si imbarcarono e numerose navi
andarono minacciose verso le triremi romane, ne affondarono quattro, ne aggredirono
una quinta macellandone l'equipaggio costringendo le rimanenti alla fuga.
Roma non sentendosi pronta ad affrontare la guerra con una città marinara si limitò a
mandare una ambasceria per protestare per il fatto avvenuto richiedendo i prigionieri.
I Tarentini non solo non restituirono i prigionieri ma congedarono gli ambasciatori
in modo offensivo. A questo punto la guerra era inevitabile.
Secondo l'uso greco, i Tarentini si rivolsero per avere aiuti verso la madrepatria e
in questo caso a Pirro, re dell'Epiro, noto per il suo valore e per la sua ambizione
così abile in guerra da meritarsi l'appellativo di "Aquila". Il giovane re credette di
emulare Alessandro Magno che poco più di cinquant'anni prima aveva conquistato
un grande impero in pochi anni, come abbiamo visto. Pirro si chiedeva se non poteva fare
altrettanto? Creare per esempio un grande stato greco in Occidente attuando il grande sogno
di Alcibiade. E spinto da quanto detto, Pirro venne in Italia senza aspettare il vento
favorevole, rischiando che la sua flotta fosse travolta da una tempesta.
Aveva portato con sè gli elefanti, non conosciuti in Italia, provenienti dall'Asia dopo
la conquista di Alessandro, addestrati alla guerra.
Pirro, appena giunto, si rese conto che i Tarentini mancavano di serietà: dopo avere suscitato
la guerra, non intendevano combattere e volevano lasciargli tutto il peso della guerra.
Il primo scontro avvenne nel 280 a.C. ad Eraclea: gli elefanti, non conosciuti, con le loro
dimensioni e i loro barriti, suscitarono lo sgomento tra le truppe romane e atterrirono i cavalli.
Questa giornata si concluse con la vittoria del re greco: Pirro però lasciò sul campo quasi
mezzo esercito ed esclamò: "Ancora una vittoria come questa, e in Epiro ci torno da solo".
Presto tutti i piani di Pirro andarono delusi. Sperava dopo la vittoria, di giungere ad accordi
con i Romani, ma quest'ultimi rianimati dal vecchio e cieco senatore Appio Claudio, respin-
sero le sue proposte. A questo punto Pirro aveva pensato inutilmente di sollevare i popoli
soggetti a Roma come aveva fatto prima Alessandro in Persia: questi essendo legati alla
dominatrice da vincoli di cittadinanza e non di sottomissione,le erano rimasti fedeli.
Giunto l'ambasciatore Fabrizio, per trattare lo scambio dei prigionieri, Pirro cercò di
corromperlo, con l'astuzia greca, con ricchi doni; l'ambasciatore romano rispose: "Se sono
un vile non li merito, e se sono onesto come puoi pensare che li accetti?". La tradizione
vuole che Pirro fece comparire a Fabrizio un elefante minaccioso a cui Fabrizio rispose in
modo tranquillo: "Questo animale non mi commuove più del tuo oro!". Non era facile avere
a che fare con i Romani, mossi nel periodo della prima Repubblica da fermi ideali di patria.
Una seconda vittoria ad Ascoli Appulo decimò ancora il suo esercito e non gli fu più utile
della prima. Nè gli riuscì il tentativo di mettersi a capo delle città greche della Sicilia minac-
ciate dai Romani che si erano alleati con i Cartaginesi. Questi furono battuti, ma le città gre-
che fecero capire a Pirro di non voler un suo dominio.
Disgustato Pirro tornò in Italia per riprendere la lotta contro Roma. Nell'ultima battaglia
presso Maleventum - poi ribattezzata dai Romani Benevento - Pirro fu decisamente
sconfitto: i Romani agitando le fiaccole di fronte agli elefanti li spinsero in fuga. Pirro deluso
e sconfitto dopo aver raggiunto Taranto e lasciato una sua guarnigione al comando del figlio
Helenos si imbarcò verso la Macedonia con l'intenzione di conquistarla. Finì la sua attività
di guerra, perchè ucciso ad Argo da un mercenario illirico di Antigono che credendolo morto,
gli staccò maldestramente la testa. Poi il mercenario illirico consegnò la testa di Pirro
a Demetrio, figlio di Antigono re di Macedonia, che la depose ai piedi del padre.Antigono
percosse il figlio Demetrio e scoppiò in un lungo pianto.
Furono celebrate in gran pompa i funerali di Pirro; suo figlio Helenos fu accolto
con cordialità e poi ritornò in Epiro.
Gli Argivi da parte loro costruirono un tempio dedicato a Demetra, nel punto in cui Pirro era
stato ucciso.
Poco dopo Taranto si arrendeva ed era costretta ad aprire le sue porte a Roma: ben presto
le altre città greche si arrendevano una ad una a Roma e verso il 270 a.C. tutta la parte
peninsulare dell'Italia era sotto il dominio romano.
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I Tarentini abbandonarono il teatro e corsero verso il porto
per aggredire le triremi romane.

Sopra: Pirro

Taranto si alleò con Pirro che portò nel Meridione gli ele- fanti che erano stati
in precedenza addestrati alla guerra.
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