Giuseppe Pignatale
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   LA GUERRA DEI TRENT'ANNI
La Guerra dei Trent'anni, una delle Guerre di Religione, mise a dura prova i territori in cui fu combattuta, Europa Centrale, scoppiata dalla necessità di avere nel Sacro Romano Impero una unica religione; questo portò alla defenestrazione di Praga, che fu la scintilla per lo scoppio della Guerra. In essa si mise in mostra Albrecht di Wallenstein che propose che il pagamento delle spese di guerra dovevano essere sostenuti dai territori occupati: questo portò a un iniziale arricchimento del Wallenstein, ma a forte devastazioni, sviluppo di malattie e morte dei territori occupati con conseguente riduzione demografica. Il conflitto si allargò poi, e, interessò molti paesi come la Danimarca, la Svezia, l'Italia, la Francia. Termino con trattati di pace come il trattato a Osnabrück .....
 
 APPROFONDIMENTI.

 Battaglia della Montagna Bianca

 

Brevemente....
Per guerra dei trent'anni si intende una serie di conflitti armati che dilaniarono l'Europa centrale tra il 1618 e il 1648. Fu una delle guerre più lunghe e distruttive della storia europea. La guerra può essere suddivisa in quattro fasi: boemo-palatina (1618–1625), danese (1625–1629), svedese (1630–1635) e francese (1635–1648). Molti storici riconoscono l'esistenza di un quinto periodo oltre ai quattro canonici: il periodo italiano (1628-1630), corrispondente alla Guerra di successione di Mantova e del Monferrato.

Iniziata come una guerra tra gli stati protestanti e quelli cattolici nel frammentato Sacro Romano Impero, progressivamente si sviluppò in un conflitto più generale che coinvolse la maggior parte delle grandi potenze europee, perdendo sempre di più la connotazione religiosa e inquadrandosi meglio nella continuazione della rivalità franco-asburgica per l'egemonia sulla scena europea.

La guerra ebbe inizio quando il Sacro Romano Impero cercò di imporre l'uniformità religiosa sui suoi domini. Gli stati protestanti del nord, indignati per la violazione dei loro diritti acquisiti nella pace di Augusta, si unirono formando l'unione evangelica. L'impero contrastò immediatamente questa lega, percependola come un tentativo di ribellione, suscitando le negative reazioni di tutto il mondo protestante. La Svezia intervenne nel 1630, lanciando un'offensiva su larga scala nel continente. La Spagna, intenzionata a piegare i ribelli olandesi, intervenne con il pretesto di aiutare il suo alleato dinastico, l'Austria. Temendo l'accerchiamento da parte delle due grandi potenze degli Asburgo, la cattolica Francia entrò nella coalizione a fianco della Germania protestante per contrastare l'Austria.

La guerra, caratterizzata da gravissime e ripetute devastazioni di centri abitati e campagne, da uccisioni di massa, da operazioni militari condotte con spietata ferocia da eserciti mercenari spesso protagonisti di saccheggi, oltre che da micidiali epidemie e carestie, fu una catastrofe epocale, in particolare per i territori dell'Europa centrale. Secondo l'accademico Nicolao Merker, la Guerra dei trent'anni, che avrebbe provocato 12 milioni di morti, fu "in assoluto la maggiore catastrofe mai abbattutasi" sulla Germania.

Il conflitto si concluse con i trattati di Osnabrück e Münster, inseriti nella più ampia pace di Vestfalia. Gli eventi bellici modificarono il precedente assetto politico delle potenze europee. L'incremento del potere dei Borbone in Francia, la riduzione delle ambizioni degli Asburgo e l'ascesa della Svezia come grande potenza crearono nuovi equilibri di potere nel continente. La posizione dominante della Francia contraddistinse la politica europea fino al XVIII secolo, quando in seguito alla Guerra dei sette anni la Gran Bretagna assunse un ruolo centrale.

Le ragioni del conflitto
Le cause della guerra furono varie, anche se la principale fu rappresentata dall'opposizione religiosa e politica tra cattolici e protestanti. La pace di Augusta, firmata dall'imperatore Carlo V d'Asburgo nel 1555, aveva confermato gli indirizzi della Dieta di Spira del 1526, ponendo fine agli scontri fra cattolici e luterani. In essa si stabiliva che:
* I governanti dei 224 stati tedeschi potevano scegliere la religione (il luteranesimo o il
   cattolicesimo) dei loro regni secondo coscienza, e i loro sudditi erano costretti a seguire la    fede scelta (il principio del cuius regio, eius religio).
* I luterani che vivevano in un principato vescovile (uno stato governato da un vescovo    cattolico) avrebbero potuto continuare a praticare la loro fede.
* I luterani potevano mantenere il territorio che avevano conquistato dalla Chiesa cattolica    durante la Pace di Passavia nel 1552.
* I principi vescovi che si erano convertiti al luteranesimo erano tenuti a rinunciare ai loro    territori (il principio chiamato reservatum ecclesiasticum).

Anche se la pace di Augusta mise una temporanea fine alle ostilità, vari problemi, tuttavia,

 

rimasero aperti: oltre al fatto che la pace era considerata, specialmente dai luterani, solo una tregua temporanea, i termini del trattato prevedevano l'adesione, da parte dei prìncipi, al credo cattolico o a quello luterano, con esclusione di ogni altro credo, incluso il calvinismo, che andava diffondendosi rapidamente in varie aree della Germania. Ciò aggiunse una terza confessione nella regione, ma tuttavia la sua posizione non fu mai riconosciuta in alcun modo negli accordi di Augusta, in cui solo il cattolicesimo e il luteranesimo furono presi in considerazione.

A queste considerazioni di ordine religioso si aggiunsero tendenze egemoniche o d'indipendenza di vari stati europei, rivalità commerciali, ambizioni personali e gelosie familiari. La Spagna era interessata a esercitare una decisiva influenza sul Sacro Romano Impero per garantirsi la possibilità di affrontare la guerra con gli olandesi che durava ormai da molti anni, e che sarebbe ripresa apertamente nel 1621, allo scadere cioè della tregua dei dodici anni. In particolare, i governanti delle nazioni confinanti del Sacro Romano Impero contribuirono allo scoppio della Guerra dei Trent'anni per i seguenti motivi:
La Spagna era interessata a mantenere il controllo sugli Stati tedeschi facenti parte del cosiddetto cammino spagnolo, che collegava i Paesi Bassi spagnoli, nella parte occidentale dell'Impero, ai possedimenti italiani. Nel 1566, gli olandesi si ribellarono contro la dominazione spagnola, portando a una lunga guerra di indipendenza che si concluse con una tregua solo nel 1609.
La Francia si trovava quasi circondata dal territorio controllato dai due Asburgo - la Spagna e il Sacro Romano Impero - e sentendosi minacciata, era ansiosa di esercitare il suo potere contro gli Stati tedeschi più deboli. Questa preoccupazione dinastica superò gli interessi religiosi e portò la Francia cattolica a schierarsi sul fronte protestante della guerra.
Svezia e Danimarca erano interessate ad acquisire il controllo degli Stati tedeschi del nord che si affacciano sul Mar Baltico.

All'epoca, il Sacro Romano Impero era un frammentato insieme di Stati in gran parte indipen- denti. La posizione dell'Imperatore del Sacro Romano Impero era principalmente titolare, tuttavia gli imperatori della Casa d'Asburgo, governavano direttamente una vasta porzione di territorio imperiale (l'Arciducato d'Austria e il Regno di Boemia), così come il Regno d'Unghe- ria. Il dominio austriaco era quindi una grande potenza europea a sé stante, che dominava circa otto milioni di sudditi. Un altro ramo della Casa di Asburgo governava la Spagna e il suo impero, che comprendeva i Paesi Bassi spagnoli, il sud d'Italia, le Filippine e la maggior parte delle Americhe. Oltre ai possedimenti degli Asburgo, il Sacro Romano Impero era costituito da diverse potenze regionali, come ad esempio il ducato di Baviera, l'elettorato di Sassonia, la Marca di Brandeburgo, l'elettorato del Palatinato, il Langraviato d'Assia, l'Arcivescovado di Treviri e la Città libera di Norimberga. Un vasto numero di ducati minori indipendenti, città libere, abbazie, principi-vescovati e piccole signorie (la cui autorità talvolta era estesa a non più di un singolo paese) completavano l'Impero. A parte l'Austria e, forse, la Baviera, nessuna di queste entità era in grado di influenzare la politica a livello nazionale; così le alleanze tra stati imparentati erano comuni, dovute in parte alla pratica frequente di dividere l'eredità di un signore tra i suoi vari figli. Tutto questo portò a una lotta politica fra i prìncipi tedeschi e l'imperatore di casa Asburgo, il quale desiderava che il titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero non fosse più solamente una figura rappresentativa e un retaggio medievale, ma rappre- sentasse un potere effettivo sui territori che "nominalmente" appartenevano al Sacro Romano Impero, affermando così l'egemonia degli Asburgo su tutta la Germania e portando a compi- mento l'impresa fallita da Carlo V. Enrico IV di Francia, in risposta, continuò la politica anti-asburgica dei predecessori, convinto del fatto che, se gli spagnoli fossero usciti vittoriosi dalla guerra nei Paesi Bassi e la Germania fosse caduta sotto l'egemonia imperiale, la Francia sareb- be stata schiacciata tra possedimenti asburgici su ogni lato. Questi vari fattori cominciarono a manifestare la loro importanza già a partire dagli ultimi anni del XVI secolo.

 
   

La Guerra di Colonia e il principio del cuius regio, eius religio
Le tensioni religiose rimasero forti per tutta la seconda metà del XVI secolo. La Pace di Augusta cominciò a disfarsi: alcuni vescovi convertiti rifiutarono di rinunciare alle loro diocesi, mentre gli Asburgo e gli altri governanti cattolici del Sacro Romano Impero e la Spagna cercarono di ripristinare il potere del cattolicesimo. I primi scontri, di carattere religioso, si verificarono nel Sacro Romano Impero a causa del reservatum ecclesiasticum, una norma contenuta nella Pace di Augusta che stabiliva che le autorità ecclesiastiche convertite al protestantesimo dovessero lasciare i propri territori. Ciò fu evidente dalla guerra di Colonia (1583-1588), un conflitto iniziatosi quando il principe-arcivescovo della città, Gebhard Truchsess von Waldburg, si convertì al calvinismo. Poiché l'arcivescovo di Colonia era anche uno dei principi elettori (Kurfürsten), si sarebbe venuta a creare una maggioranza protestante nel collegio elettorale, prospettiva quantomai temuta dai cattolici tedeschi, che risposero cacciando con la forza l'arcivescovo e ponendo al suo posto Ernesto di Baviera. In seguito a questo successo cattolico, fu applicato più duramente in vari territori, costringendo i protestanti a emigrare o ad abiurare. I luterani avevano assistito anche alla defezione dei signori del Palatinato (1560), di Nassau (1578), di Assia-Kassel (1603) e di Brandeburgo (1613) alla nuova fede calvinista.

La situazione all'inizio del XVII secolo, dunque, era pressoché la seguente: le terre del Reno e quelle a sud del Danubio erano in gran parte cattoliche; il nord rimaneva saldamente luterano; la Germania centro-occidentale, invece, diveniva, insieme alla Svizzera e nei Paesi Bassi, il fulcro del calvinismo tedesco. C'è da precisare, tuttavia, che minoranze di ogni credo esistevano quasi ovunque (in alcune signorie e città, la percentuale di calvinisti, cattolici e luterani era approssimativamente uguale), frammentando ancor di più un territorio già fortemente diviso.

Con grande costernazione dei loro reali cugini spagnoli, gli imperatori asburgici che succedettero a Carlo V (soprattutto Ferdinando I e Massimiliano II, ma anche Rodolfo II e il suo successore Mattia) furono favorevoli a permettere ai prìncipi dell'Impero di scegliere la propria religione, al fine di evitare sanguinose guerre di religione all'interno dell'Impero: ciò consentì alle diverse confessioni cristiane di diffondersi senza coercizione, ma allo stesso tempo aumentò lo scontento di coloro che cercavano l'uniformità religiosa. A queste dinamiche interne, si aggiunse nel frattempo il dinamismo dei regni luterani di Svezia e di Danimarca, che, perorando la causa protestante all'interno dell'Impero, tentavano di guadagnare influenza politica ed economica.

I fatti di Donauwörth e la Guerra di successione di Jülich
Le tensioni religiose scoppiarono violentemente nel 1606 presso Donauwörth: i protestanti tentarono di impedire ai residenti cattolici di organizzare una processione, dando vita ad aspri tumulti che terminarono soltanto con l'intervento del cattolico Massimiliano I, duca di Baviera. Donauwörth, da città libera dell'Impero fu annessa alla Baviera, perdendo l'immediatezza imperiale e tornando nell'alveo del cattolicesimo. In seguito a tali violenze (e a tale esito della protesta), i calvinisti di Germania, rimasti in minoranza, ritenendosi minacciati dalle azioni del Duca di Baviera, formarono nel 1608 l'unione evangelica, guidata da Federico IV (1583-1610), Principe Elettore del Palatinato e quindi sovrano di uno di quei territori del Cammino Spagnolo che erano fondamentali per garantire alla Spagna l'accesso ai Paesi Bassi. I cattolici tedeschi risposero creando a loro volta, nel 1609, la Lega cattolica, sotto la guida di Massimiliano I di Baviera.

Le tensioni aumentarono ulteriormente nello stesso 1609, per via della guerra di successione di Jülich, che ebbe inizio quando Giovanni Guglielmo, duca del Jülich-Kleve-Berg, morì senza figli. Subito reclamarono il ducato due pretendenti, entrambi protestanti: Anna di Prussia, figlia di Maria Eleonora, sorella maggiore di Giovanni Guglielmo e sposata con Giovanni Sigismondo di Brandeburgo, che rivendicava il trono in qualità di erede per linea di anzianità, e Volfango Guglielmo, figlio della seconda sorella maggiore di Giovanni Guglielmo, Anna di Cleves, che avanzava delle pretese sul Jülich-Kleve-Berg in quanto primo erede maschio di Giovanni Guglielmo. Nel 1610, per evitare un conflitto tra i pretententi, l'imperatore Rodolfo II occupò temporaneamente il Jülich-Kleve-Berg, per evitare che uno dei pretendenti occupasse in forze il ducato e lo mantenesse sotto il suo controllo nonostante la decisione contraria del Concilio Aulico (Reichshofrat). Diversi principi protestanti, tuttavia, temevano che l'imperatore, devoto cattolico, intendesse impossessarsi del Jülich-Kleve-Berg, per evitare che i Ducati Uniti cadessero in mani protestanti. I delegati di Enrico IV di Francia e della Repubblica delle Sette Province Unite, dunque, misero insieme una forza di invasione per cacciare il cattolico Rodolfo, ma l'impresa dovette essere fermata a causa dell'assassinio di Enrico IV da parte del fanatico cattolico François Ravaillac. Nella speranza di ottenere un vantaggio nella controversia, Volfango Guglielmo si convertì al cattolicesimo; Giovanni Sigismondo, d'altro canto, abbracciò il calvinismo (anche se Anna di Prussia rimase luterana). Le "conversioni" portarono ad un primo confronto diretto tra la Lega Cattolica, sostenitrice di Volfango Guglielmo, e l'Unione evangelica, che portava avanti le istanze di Giovanni Sigismondo. La questione della successione fu risolta nel 1614 con il trattato di Xanten, con il quale i Ducati Uniti furono disgregati: Jülich e Berg furono assegnati a Volfango Guglielmo, mentre Giovanni Sigismondo acquisì Kleve, Mark e Ravensberg.

La Guerra degli ottant'anni
Oltre alle tensioni politiche e religiose persistenti in Germania, aggravava il quadro internazionale degli inizi del XVII secolo la Guerra degli ottant'anni, il conflitto iniziato nel 1568 tra Spagna e Province Unite che si protraeva da decenni in una situazione di sostanziale stallo. Nel 1609 le parti in conflitto giunsero a L'Aia alla firma di una tregua, sebbene fosse chiaro in tutta Europa che le ostilità sarebbero riprese (cosa che avvenne nel 1621) e che la Spagna avrebbe tentato di riconquistare la Repubblica delle Sette Province Unite. Era persino ben nota la strategia che gli spagnoli avrebbero adottato al nuovo scoppiare della guerra: le forze spagnole comandate dal generale genovese Ambrogio Spinola, partite dalla Repubblica di Genova, avrebbero attraversato i territori del Ducato di Milano e la Valtellina, sarebbero passate lungo la riva nord del Lago di Costanza per evitare l'ostile Svizzera, per poi avanzare attraverso l'Alsazia, l'Arcivescovado di Strasburgo, l'Elettorato del Palatinato, l'Arcivescovado di Treviri, il Ducato di Jülich e il Granducato di Berg fino alla Repubblica delle Sette Province Unite. L'unico stato ostile che Spinola avrebbe incontrato durante la sua avanzata sarebbe stato il Palatinato: da qui nasce l'enorme importanza strategica che tale nazione assunse negli affari europei di inizio Seicento, importanza del tutto sproporzionata rispetto alle sue esigue dimensioni. Federico V del Palatinato arrivò addirittura a sposare nel 1612 la figlia di Giacomo I, re d'Inghilterra, Scozia e Irlanda, Elisabetta Stuart, nonostante la tradizione additasse come degno consorte di una principessa soltanto un altro reale.

La Defenestrazione di Praga
La scintilla che fece scatenare il conflitto si ebbe nel 1617, quando l'imperatore del Sacro Romano Impero Mattia, privo di eredi, abdicò al trono di Boemia a favore del principe ereditario di Boemia - territorio prevalentemente protestante (soprattutto ussita) - il parente maschio più prossimo, ovvero il cugino cattolico (e allievo dei gesuiti) Ferdinando II d'Austria,

Xilografia contemporanea raffigurante la terza defenestrazione di Praga (1618), che segnò l'inizio della rivolta boema, che diede inizio alla prima parte della Guerra dei trent'anni.
che il re di Spagna Filippo III, con il trattato di Oñate, si affrettò a riconoscere in cambio di concessioni territoriali in Italia ed Alsazia. Ferdinando II, all'inizio dell'anno successivo, vietò la costruzione di alcune chiese protestanti e ritirò la Lettera di maestà, che concedeva ai boemi libertà di culto, provocando una violenta ribellione culminante, il 23 maggio 1618, nel celebre episodio della Defenestrazione di Praga: due luogotenenti dell'imperatore, oltre al segretario del Consiglio reale, furono scaraventati giù dalle finestre del palazzo reale; i tre, seppur feriti, sopravvissero in quanto atterrarono sul letame presente nel fossato del castello, non molto più in
basso. Era l'avvio della guerra dei Trent'anni.

Fase boemo–palatina (1618–1625)
Negli ultimi anni di vita, l'imperatore Mattia, non avendo avuto alcun figlio dal matrimonio con la cugina Anna, cercò di assicurare una successione senza spargimenti di sangue all'Impero, scegliendo come erede alla corona boema, e quindi al trono imperiale, nel 1617, suo cugino Ferdinando, duca di Stiria e figlio dell'Arciduca Carlo II d'Austria. La scelta di Ferdinando, cresciuto dai gesuiti presso la cattolicissima corte spagnola e acerrimo nemico della Riforma Protestante, quale erede al trono suscitò le preoccupazioni di alcuni nobili protestanti boemi, che temevano la perdita della libertà di culto assicurata al popolo boemo dall'imperatore Rodolfo II nella sua Lettera di maestà del 1609. Tali timori si dimostrarono fondati quando, nel 1618, alcuni ufficiali imperiali si opposero alla costruzione di chiese protestanti nelle stifts, delle terre proprietà dei principi ecclesiastici e non soggette pertanto al governo degli Stati Generali boemi; i protestanti reclamarono tali terreni come "terre della corona" utilizzabili liberamente sulla base della Lettera di Maestà, un'interpretazione legale largamente disputata che il governo austriaco rifiutò.
Le tensioni esplosero il 23 maggio 1618, quando i due delegati imperiali cattolici Vilém Slavata e Jaroslav Borita z Martinic e il segretario Philip Fabricius, inviati da Ferdinando al Castello di Praga per governare in sua assenza, furono catturati dai nobili protestanti che, aizzati dal Conte di Thurn, li scaraventarono fuori da una finestra del palazzo, dando il via alla rivolta boema e alla Guerra dei Trent'anni. Dalla capitale Praga la ribellione contro l'opprimente potere cattolico asburgico si estese ben pre- sto a tutti i territori della Corona di Boemia, infiammando la Slesia, l'Alta e Bassa Lusazia e la Moravia. Il primo atto di guerra vera e propria si ebbe tra il settembre e il novembre del 1618, quando la città di Plzen, roccaforte dei cattolici boemi e ancora fedele agli Asburgo, fu assediata dalle truppe boemo-palatine del generale Ernst von Mansfeld. Questa prima vittoria protestante, tuttavia, fu subito minacciata dall'invasione della Boemia da parte delle truppe imperiali e della Lega cattolica, che penetrarono nel Paese da più parti.

In seguito alla morte dell'imperatore Mattia, il 20 marzo 1619, sebbene Ferdinando fosse già stato incoronato Re di Boemia, la nobiltà si rifiutò di riconoscerlo, facendolo, anzi, dichiarare dagli Stati Generali boemi, nell'agosto del medesimo anno, decaduto. La personalità che raccoglieva tra i boemi maggiori consensi per divenire loro nuovo Re era il principe elettore di Sassonia Giovanni Giorgio, preferito a Federico V, principe elettore del Palatinato, già proposto per tale carica nel 1612, in quanto una sua eventuale elezione (era figlio di Federico IV del Palatinato, fondatore dell'Unione Evangelica) avrebbe portato inevitabilmente ad un conflitto religioso all'interno del Sacro Romano Impero. Ricevuto, tuttavia, il rifiuto dell'elettore di Sassonia, la Dieta boema, riunitasi il 26 agosto 1619, non poté far altro che eleggere quale nuovo Re Federico V, che fu incoronato ufficialmente il 4 novembre.
Il potere di Federico, tuttavia, rimase debole per tutto il suo regno: buona parte della nobiltà e del clero boemo lo avversavano; le finanze reali erano al collasso e impedivano a Federico di organizzare una buona difesa contro la Lega cattolica; inoltre, le azioni del predicatore di corte Abraham Scultetus, che voleva sfruttare la sua posizione per diffondere il calvinismo in Boemia nonostante le opposizioni dello stesso Federico, contribuirono ad indebolire il sostegno al nuovo Re; la stessa lingua di Federico, che parlava tedesco e non conosceva il ceco, contribuì ad allontanarlo dall'apparato statale. La debolezza del nuovo sovrano fu evidente quando, nel dicembre 1619, Federico convocò a Norimberga un incontro tra i principi protestanti tedeschi a cui ben pochi parteciparono; lo stesso elettore di Sassonia, colui che era il favorito per sedere sul trono boemo, disertò e disapprovò le azioni di Federico.

Sopra: Mattia d'Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero dal 1612 al 1619.
Sotto:Ferdinando II d'Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero e Re di Boemia.


Sopra: Federico V del Palatinato.
Sotto: Massimiliano I, duca di Baviera.
Quella che era una ribellione locale, per via della debolezza sia di Ferdinando II sia di Federico V, si trasformò in guerra estesa ben oltre i confini boemi: nell'agosto 1619 anche il popolo ungherese, guidato dal Principe di Transilvania Gabriele Bethlen, e gran parte dell'Alta Austria si ribellarono agli Asburgo (tanto che il Conte di Thurn riuscì a condurre un esercito fino alle mura della stessa Vienna prima di essere sconfitto nella battaglia di Záblatí da Karel Bonaventura Buquoy), mentre le azioni di guerra si estendevano alla Germania occidentale. L'imperatore, dopo aver chiesto l'aiuto di suo nipote Filippo IV, re di Spagna, lanciò un ultimatum a Federico, nel quale gli imponeva di lasciare il trono boemo entro il 1º giugno 1620. Nel marzo dello stesso anno, Federico chiese alla Dieta boema l'imposizione di nuove tasse per la difesa del Regno, ma ormai la situazione era disperata: il Duca di Savoia Carlo Emanuele I, in seguito alla battaglia di Záblatí, ritirò il segreto sostegno alla causa protestante, consistente in ingenti somme in denaro e truppe per la guarnigione di stanza nella Renania; in cambio della cessione della Lusazia, l'elettore di Sassonia si schierò con gli Asburgo; il suocero Giacomo I, re d'Inghilterra, negò il suo aiuto militare; la stessa Unione evangelica fondata dal padre di Federico rifiutò con il trattato di Ulma di appoggiare il Re di Boemia. I pochi aiuti arrivarono dalle Province Unite, che inviarono piccoli contingenti e promisero un modesto aiuto economico, e dal Principe di Transilvania. La causa di Federico V, tuttavia, venne vista come analoga a quella di Elisabetta Stuart, e ciò gli garantì un flusso di decine di migliaia di volontari a suo favore nel corso di tutta la guerra dei trent'anni.
Un insperato aiuto sembrò giungere dal principe di Transilvania Gabriele Bethlen, che stava conducendo una vittoriosa campagna in Ungheria, e dal suo alleato ottomano Osman II. Dopo il consueto scambio di ambasciatori (il boemo Heinrich Bitter si recò ad Istanbul nel gennaio 1620, mentre nel luglio 1620 fu accolto a Praga un legato turco), gli Ottomani promisero di inviare a Federico una forza di 60.000 cavalieri e di invadere la Polonia, alleata degli Asburgo, con 400.000 uomini, in cambio del pagamento di un tributo annuale al sultano. Nella battaglia di Cecora, combattuta tra settembre e ottobre del 1620, gli ottomani sconfissero i polacchi, ma non furono in grado di intervenire a favore della Boemia prima del novembre 1620. In seguito, i polacchi sconfissero gli ottomani nella battaglia di Chocim, riportando i confini a quelli precedenti alla guerra. Ai primi di agosto del 1620, 25.000 uomini al comando di Ambrogio Spinola marciarono alla volta della Boemia. Durante la terza settimana di agosto, tuttavia, quest'armata cambiò i propri obiettivi e si diresse sul disarmato Elettorato Palatino (difeso solo da 2000 soldati inglesi volontari), patria di Federico V, occupando Magonza. Successivamente, Spinola attraversò il Reno il 5 settembre 1620 e procedette alla presa di Bad Kreuznach il 10 settembre e Oppenheim il 14 settembre. Alle forze del generale genovese, si aggiunsero quelle di Massimiliano I, Duca di Baviera, al comando delle forze della Lega cattolica (che includeva tra i suoi ranghi Cartesio come osservatore), che, dopo aver catturato Linz e sedato la rivolta dell'Alta Austria, attraversò i confini della Boemia il 26 settembre 1620. Mentre le forze imperiali comandate da Johann Tserclaes, conte di Tilly, tenevano sotto controllo la Bassa Austria, l'invasione della Lusazia da parte di Giovanni Giorgio di Sassonia completava l'accerchiamento asburgico.


Dipinto contemporaneo che mostra la battaglia della Montagna Bianca (1620), dove le forze spagnole-imperiali, comandate da Johann Tserclaes, conte di Tilly riuscirono a cogliere una vittoria decisiva.
Le restanti armate protestanti, guidate dal conte Ernst von Mansfeld e dal duca Cristiano di Brunswick, ripiegarono a servizio delle Province Unite. Dopo aver contribuito a togliere l'assedio a Bergen op Zoom nell'ottobre 1622 e ad occupare la Frisia orientale, il duca di Brunswick intraprendese una campagna in Bassa Sassonia per difendere i possedimenti familiari, suscitando la reazione del conte di Tilly, comandante delle truppe imperiali e spagnole. Vedendosi negato l'aiuto delle truppe di Mansfeld, rimasto in Olanda, Brunswick decise la ritirata ma il 6 agosto 1623 fu intercettato dall'esercito di Tilly: nella battaglia di Stadtlohn, Brunswick fu nettamente sconfitto, perdendo oltre i quattro quinti dei suoi 15.000 uomini. Dopo questa catastrofe, Federico V, in esilio a L'Aia e sotto la crescente pressione da parte di Giacomo I d'Inghilterra, pose fine al suo coinvolgimento nella guerra e fu costretto ad abbandonare ogni speranza di avviare ulteriori campagne. La ribellione protestante fu così definitivamente schiacciata.

L'invasione della Boemia da parte degli Asburgo culminò l'8 novembre 1620 nella battaglia della Montagna Bianca, nei pressi di Praga. La definitiva vittoria imperiale costrinse Federico, chiamato spregiativamente il Re d'Inverno, insieme alla moglie Elisabetta e a diversi luogotenenti dell'esercito, a trovare rifugio all'estero, dove cercò di conquistare il sostegno alla sua causa in Svezia, in Danimarca e nelle Province Unite. La Boemia venne annessa ai domini asburgici (resterà tale fino al 1918) e trasformata da monarchia elettiva in ereditaria; venne intrapresa una dura repressione contro i luterani e gli ussiti nel tentativo di restaurare il cattolicesimo. Federico V fu privato sia del titolo di elettore del Palatinato (concesso al suo lontano cugino, il duca Massimiliano I di Baviera) sia dei suoi possedimenti e fu bandito dal Sacro Romano Impero.
Soffocata la ribellione boema e chiuso il fronte orientale con la pace di Nikolsburg (31 dicembre 1621), in cui l'Imperatore cedeva tredici contee dell'Ungheria al principe di Transilvania, la fazione cattolico-asburgica si prodigò nell'estirpare la residua resistenza protestante: questo periodo della guerra, detto da alcuni storici fase del Palatinato (1621-1625), da considerarsi distinto dalla fase boema, è caratterizzato da scontri di piccola scala (tra cui le battaglie di Mingolsheim, Wimpfen e Höchst) e assedi come quelli di Bad Kreuznach, Oppenheim, Bacharach (conclusi nel 1620), Trebon, Heidelberg e Mannheim (che caddero nel 1622) e di Frankenthal (fino al 1623), al termine dei quali il Palatinato fu occupato dagli spagnoli, che cercavano vantaggi strategici in vista della ripresa della Guerra degli ottant'anni contro gli olandesi.
Le restanti armate protestanti, guidate dal conte Ernst von Mansfeld e dal duca Cristiano di Brunswick, ripiegarono a servizio delle Province Unite. Dopo aver contribuito a togliere l'assedio a Bergen op Zoom nell'ottobre 1622 e ad occupare la Frisia orientale, il duca di Brunswick intraprendese una campagna in Bassa Sassonia per difendere i possedimenti familiari, suscitando la reazione del conte di Tilly, comandante delle truppe imperiali e spagnole. Vedendosi negato l'aiuto delle truppe di Mansfeld, rimasto in Olanda, Brunswick decise la ritirata ma il 6 agosto 1623 fu intercettato dall'esercito di Tilly: nella battaglia di Stadtlohn, Brunswick fu nettamente sconfitto, perdendo oltre i quattro quinti dei suoi 15.000 uomini. Dopo questa catastrofe, Federico V, in esilio a L'Aia e sotto la crescente pressione da parte di Giacomo I d'Inghilterra, pose fine al suo coinvolgimento nella guerra e fu costretto ad abbandonare ogni speranza di avviare ulteriori campagne. La ribellione protestante fu così definitivamente schiacciata.

Fase danese (1625-1629)
Il conflitto, che pareva concluso dopo la schiacciante vittoria imperiale di Stadtlohn, fu riaperto
dall'intervento militare di Cristiano IV, re di Danimarca e duca di Holstein. Egli, che aveva già approfittato della caotica situazione tedesca nel 1621 per imporre la propria sovranità sulla città di Amburgo, forte della straordinaria floridità economica del suo regno (dovuta principalmente ai pedaggi sull'Øresund e ai risarcimenti di guerra della Svezia), nel 1625 condusse un esercito in aiuto dei protestanti tedeschi, temendo che il recente prevalere dei cattolici potesse insidiare la sua monarchia luterana. Il sovrano danese fu sostenuto militarmente dalle Province Unite, che stavano affrontando l'invasione dei loro territori da parte delle forze cattoliche, e politicamente dalla Francia, che guidata dal cardinale Richelieu, in nome della raison d'État, cominciò a supportare gli sforzi protestanti e a contrastare l'egemonia cattolica degli Asburgo. Anche Carlo I d'Inghilterra (che aveva come cognato Federico V del Palatinato, avendo questi sposato Elisabetta Stuart) accettò di perorare la causa protestante, inviando a sostegno dell'impresa di Cristiano IV un contingente di 13.700 scozzesi, sotto il comando del generale Robert Maxwell, il conte di Nithsdale], e circa 6.000 soldati inglesi, guidati da Charles Morgan, per la difesa della Danimarca.
L'imperatore non fece attendere la sua risposta: arruolò nuove truppe e le assegnò al comandante Albrecht von Wallenstein, un nobile boemo arricchitosi grazie alle terre confiscate dei suoi concittadini, che mise al servizio di Ferdinando II il suo esercito di 20.000 uomini in cambio del diritto di saccheggiare i territori conquistati. Contemporaneamente a Wallenstein, attestatosi nei pressi di Magdeburgo, si mosse anche il conte di Tilly, che con le truppe imperiali invase la Bassa Sassonia, di cui Cristiano IV era stato nominato direttore (Kreisoberst). La situazione danese peggiorò quando le nazioni della coalizione anti-asburgica non furono in grado di onorare i propri impegni bellici: la Francia era in preda ad una nuova guerra di religione contro gli ugonotti nel sud-ovest del paese, supportati dall'Inghilterra; la Svezia era impegnata in uno scontro con la confederazione polacco-lituana;

 Cristiano IV, re di Danimarca e  duca di Holstein.
 Il generale cattolico Albrecht von  Wallenstein.
inoltre né il Brandeburgo né la Sassonia erano interessate a partecipare al conflitto. Al mancato aiuto alleato si aggiunsero presto le sconfitte sul campo di battaglia: il 25 aprile 1626 l'esercito di Ernst von Mansfeld, che giungeva dalle Province Unite in supporto dei danesi, fu vinto dalle forze di Wallenstein nella battaglia del Ponte di Dessau (Mansfeld morì alcuni mesi dopo in Dalmazia, probabilmente di malattia.), mentre lo stesso Cristiano IV fu costretto a ritirarsi nello Jutland a seguito della battaglia di Lutter (17 agosto 1626), vinta da Tilly.

 L'assedio di Stralsunda in una  raffigurazione dell'epoca.
In seguito alla disfatta danese, gli eserciti imperiali ebbero facile gioco contro le resistenze del Meclemburgo, della Pomerania e del ducato di Holstein, arrivando ad occupare lo Jutland nel dicembre 1627. Tra il maggio e il luglio 1628, Wallenstein, nominato dall'imperatore Ammiraglio del Mar Baltico, pose l'assedio a Stralsunda, l'unico porto belligerante con strutture sufficienti per costruire una grande flotta in grado di conquistare Copenaghen, difeso da truppe danesi e svedesi e dai volontari scozzesi del colonnello Alexander Leslie (in seguito divenne governatore della città per conto degli svedesi). Divenne presto chiaro, tuttavia, che il costo del proseguimento della guerra sarebbe stato di gran lunga superiore agli eventuali utili derivanti dalla conquista del resto della Danimarca: il comandante imperiale cercò, quindi, di negoziare con gli assediati, a cui propose termini molto favorevoli di resa, condizioni che forono tuttavia
respinte dalle autorità cittadine, ormai al servizio degli svedesi. La notizia di un nuovo intervento di Cristiano IV che, sbarcato in Pomerania, stava avanzando nell'entroterra tedesco, spinse Wallenstein a togliere l'assedio a Stralsunda; nei pressi di Wolgast le forze imperiali ebbero facilmente la meglio su quelle danesi (12 agosto 1628). Né una né l'altra parte vedevano ora vantaggi nel proseguimento del conflitto: con il trattato di Lubecca, firmato tra il maggio e il giugno 1629, Cristiano IV mantenne il controllo della Danimarca a patto della rinuncia al suo sostegno alla causa dei protestanti tedeschi.
La guerra, che pareva nuovamente vinta dalla causa cattolica, riprese quando Ferdinando II, influenzato dagli esponenti della Lega Cattolica, emanò l'editto di Restituzione, in forza del quale dovevano essere riconsegnati alla Chiesa cattolica tutti i beni confiscati a seguito della Pace di Augusta del 1555 (tra cui due arcivescovati, sedici vescovati e centinaia di monasteri). Ciò provocò la reazione dei principi protestanti non ancora coinvolti nel conflitto e la discesa in campo della Svezia, che grazie alla testa di ponte di Stralsunda si preparava all'invasione della Germania.

La fase italiana (1628-1631)
Avvenuta negli stessi anni della fase danese, la guerra di successione di Mantova e del Monferrato (detta anche guerra del Monferrato) viene considerata da alcuni storici come una parte della guerra dei Trent'anni svoltasi non in area tedesca, bensì nella penisola italiana, già
protagonista nel secolo precedente di una lunga serie di conflitti tra la Francia di Francesco I e la Spagna di Carlo V. Alla morte senza eredi di Vincenzo II Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato, nel 1627, si aprì la contesa dinastica: da un lato Ferrante II Gonzaga, sostenuto dagli spagnoli, da Ferdinando II e dal duca di Savoia Carlo Emanuele I (che si era accordato con il governatore di Milano per la spartizione del Monferrato), dall'altro Carlo I di Gonzaga-Nevers, signore de facto di Mantova dal gennaio 1628, appoggiato dal re francese Luigi XIII e dal cardinal Richelieu. In seguito ad un'iniziale vittoria spagno- la, con i Savoia che occupavano Trino, Alba e Moncalvo e Ambrogio Spinola che poneva l'assedio a Casale, la situazione si capovolse con la discesa in Italia dello stesso re di Francia, che sbaragliò le forze piemontesi e occupò gran parte del ducato sabaudo, per poi nuovamente
 Carlo I di Gonzaga-Nevers, vinci-  tore della cosiddetta fase italiana  della guerra dei Trent'anni.
arridere alle forze imperiali e spagnole, con l'arrivo nella penisola italica dell'esercito di Wallenstein. La peste dilagante tra le truppe imperiali, gli eventi bellici nel nord Europa e l'invasione svedese della Germania spinsero Ferdinando II a cercare un accordo con i francesi, dapprima con il trattato di Ratisbona (13 ottobre 1630) e infine con la Pace di Cherasco (6 aprile 1631), che riconosceva legittimo duca di Mantova il candidato francese. La guerra del Monferrato e la grande peste che colpì la penisola tra il 1629 e il 1631 fanno da sfondo alle vicende di Renzo e Lucia ne I promessi sposi, la più nota opera di Alessandro Manzoni, che con notevole accuratezza e ricerca storiografica mostra la società italiana al tempo del dominio spagnolo e la rovina fatta di epidemie, carestie e saccheggi portata dagli eserciti secenteschi nei teatri di conflitto.

Fase svedese (1630-1635)

Gustavo II Adolfo, re di Svezia, sbarca in Pomerania (1630).
Se le trame di corte ordite dagli esponenti della Lega Cattolica avevano spinto Ferdinando II, nel 1630, a licenziare Wallenstein, accusato di ricercare l'appoggio di alcuni principi protestanti per acquisire maggiore influenza e indipen- denza a scapito del potere asburgico, gli eventi bellici portarono l'imperatore alla pragmatica decisione di ingaggiarlo nuovamente: il 6 luglio, infatti, 10.000 fanti e 3.000 cavalieri svedesi guidati dal re Gustavo II Adolfo avevano varcato i confini del Sacro Romano Impero
sbarcando a Peenemünde, sull'isola di Usedom, Pomerania. Come il tentativo d'invasione, rivelatosi poi fallimentare, intrapreso dal re di Danimarca, l'impresa svedese fu fortemente sovvenzionata dal cardinale Richelieu (con il Trattato di Bärwalde) e dagli olandesi, permettendo a Gustavo Adolfo ingenti spese belliche durante tutto il corso della guerra: se nel primo anno di intervento la Svezia dovette sborsare ben 2.368.022 Riksdaler per mantenere i suoi 42.000 uomini, due anni più tardi, a fronte di 149.000 effettivi, Gustavo spese solo un quinto di quella cifra, ossia 476.439 Riksdaler, con il restante importo versato dalle casse di Luigi XIII. L'intervento svedese, giustificato dalla volontà di soccorrere i principi protestanti tedeschi nella lotta contro la fazione cattolica, aveva un duplice obiettivo: prevenire una possibile restaurazione del cattolicesimo nel regno di Svezia (il primo Stato europeo ad aderire alla riforma luterana nel 1527) e ottenere una maggiore influenza economica sugli stati tedeschi affacciati sul Mar Baltico. La vittoria di Gustavo Adolfo nella battaglia di Breitenfeld (1631). Liberatosi del fronte polacco-lituano su cui Gustavo Adolfo era da tempo impegnato e affidatolo ai russi dello zar Michele I (Guerra di Smolensk, 1632-1634), le forze del sovrano svedese ebbero facile gioco nell'occupare dapprima Stettino e successivamente il Meclemburgo; al contempo, le forze cattoliche del conte di Tilly assediavano e prendevano il 20 maggio 1631 la città di Magdeburgo, unica alleata svedese in terra germanica, sottoponendola ad un violentissimo sacco che con i suoi 24.000 morti sarà ricordato come uno degli accadimenti più drammatici dell'intero conflitto. Fu proprio l'eco dell'eccidio magdeburghese a convincere le protestanti Pomerania e Brandeburgo ad unirsi alla causa di Gustavo Adolfo e a far vacillare nella sua ambigua posizione Giovanni Giorgio di Sassonia, convinto definitivamente ad aderire alla lega svedese quando le forze di Tilly, giudicando l'atteggiamento dell'elettore ostile, decise di sferrare un attacco preventivo alla Sassonia. Le forze cattoliche e protestanti si scontrarono il 17 settembre 1631 a nord di Lipsia nella battaglia di Breitenfeld, vero spartiacque della campagna svedese: i 26.000 uomini di Gustavo II (la maggior parte dei quali erano mercenari tedeschi) e i 18.000 sassoni di Giovanni Giorgio I (che, tuttavia, nel corso dello scontro disertarono) conseguirono una schiacciante vittoria sui 30.000 uomini del conte di Tilly; a seguito di tale vittoria non solo le forze protestanti poterono dilagare in terra tedesca ma si ritrovarono rinforzate militarmente dai 12.400 prigionieri di Breitenfeld che passarono dalla parte svedese e politicamente dai numerosi stati imperiali che, vista la disfatta cattolica, si schierarono al fianco del Leone del Nord. Lasciata la Sassonia, gli svedesi, forti pure dei rinforzi scozzesi (circa 30.000 uomini), marciarono verso la Franconia e la Turingia, nelle valli del Reno e del Meno fino a Francoforte, che posero sotto assedio in novembre; trascorsi i mesi invernali nell'Elettorato di Magonza, alla ripresa degli scontri nel 1632 il re di Svezia entrò in Baviera, provocando la rottura del patto franco-bavarese segretamente stretto nel 1631 a Fontainebleau. Sconfitta nuovamente nella battaglia di Rain (15 aprile) la Lega Cattolica guidata dal conte di Tilly (che fu ferito mortalmente nello scontro) e dall'elettore di Baviera Massimiliano I, il 17 maggio le truppe protestanti entrarono a Monaco, costringendo alla fuga Massimiliano.

La morte di Tilly spinse Ferdinando II a muovere un nuovo esercito, capeggiato da Wallenstein, verso la Boemia con l'obiettivo di interrompere la linea dei rifornimenti di Gustavo Adolfo, accampatosi a Norimberga dopo la liberazione di Praga, occupata dai sassoni di Giovanni Giorgio, da parte delle truppe cattoliche. Sul trinceramento svedese piombò subito Wallenstein,

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che in luglio pose sotto assedio il campo svedese: la scarsità degli approvvigionamenti e le pestilenze provocarono un notevole assottigliamento delle file protestanti e nemmeno le mosse di Gustavo II per spezzare l'accerchiamento riuscirono a liberare le sue forze dal giogo imperiale. Ma Wallestein, convinto di aver vinto le schiere svedesi e presa Lipsia in novembre, decise di porre fine alla campagna smobilitando il suo esercito, che iniziava a soffrire la fame: del passo falso del generale imperiale ne approfittò Gustavo Adolfo, che nella battaglia di Lützen (16 novembre 1632) riportò una sanguinosa vittoria a prezzo della vita. La speranza imperiale che con la morte del sovrano di Svezia le sue forze si disperdessero si infranse contro le notevoli capacità del cancelliere Oxenstierna: assunta la reggenza in nome della regina Cristina, di soli sei anni, ricompattò il fronte protestante, indebolito da massicci ammutinamenti e defe-
zioni, stringendo con Renania, Svevia e Franconia (grazie alla determinante mediazione della Francia) la Lega di Heilbronn, con l'intento di assicurarsi una volta terminata la guerra il controllo diretto delle terre imperiali conquistate; le mancate adesioni di Sassonia e Brandeburgo, tuttavia, pregiudicarono l'efficacia della lega e la confinarono nella Germania sud-occidentale, lontana dai veri interessi sve- desi. Analoghe difficoltà si riscontravano all'interno del fronte cattolico: la diffidenza nei confronti di Wallenstein, in parte giustificata dalle trattative non autorizzate da lui intavolate con i protestanti, in parte alimentata da gelosie e invidie di palazzo, portò nel 1633 Ferdinando II a revo- cargli il comando militare e a ordinare il suo arresto; all'oscuro dell'imperatore, invece, si mosse la congiura del generale irlandese Walter Butler e dei colonnelli scozzesi Walter Leslie e John Gordon che nella notte del 25 febbraio uccise Wallenstein a tradimento per mano di Walter Devereux.
A seguito della dura sconfitta protestante della prima battaglia di Nördlingen (6 settembre 1634) per mano del cardinale Ferdinando d'Asburgo, le forze svedesi dovettero abbandonare la Germania meridionale e ogni resistenza alle forze spagnole-imperiali cessò entro la primavera del 1635. Lo schieramento protestante e quello imperiale si incontrarono per i negoziati, che condussero alla stipula della Pace di Praga, con la quale venne concessa ai protestanti l'inviolabilità della costituzione territoriale dell'Impero e una sospensione nell'esecuzione dell'Editto di Restituzione per 40 anni, ripristinando gli strumenti giuridico-istituzionali dell'Impero come la Dieta permettendo ai governanti protestanti di mantenere i vescovati secolarizzati. Ciò fornì protezione ai governanti luterani della Germania nord-orientale, ma non a quelli del sud e dell'ovest (le cui terre furono occupate, prima del 1627, dalle truppe imperiali o della Lega). Il trattato previde anche l'unione dell'esercito dell'Imperatore con gli

Il cancelliere Axel Oxenstierna, capo della fazione protestante dopo la morte di Gustavo II Adolfo.

 Il cardinale Ferdinando d'Asburgo.
eserciti degli stati tedeschi in un unico esercito del Sacro Romano Impero (anche se Giovanni Giorgio I di Sassonia e Massimiliano I di Baviera, in pratica, mantennero il comando indipen- dente delle loro forze, ora componenti nominali dell'esercito "imperiale"). Infine, ai principi tedeschi fu vietata di stabilire alleanze tra di loro o con le potenze straniere, mentre una amnistia fu concessa a qualsiasi governante che intraprese un'azione militare contro l'imperatore dopo l'arrivo degli svedesi nel 1630. Questo trattato non riuscì, tuttavia, a soddisfare la Francia, a causa della rinnovata forza che conquistarono gli Asburgo. Pertanto, la Francia entrò nel conflitto, iniziando il periodo finale della Guerra dei Trent'anni. La Svezia prese parte alla Pace di Praga e continuò la guerra con la Francia. Inizialmente dopo la pace di Praga, le armate svedesi furono respinte dall'esercito imperiale a nord verso la Germania.

Fase francese o franco-svedese (1635–1648)

 La battaglia di Lens, 1648.
La Francia, anche se di religione cattolica romana, fu rivale del Sacro Romano Impero e della Spa- gna. Il cardinale Richelieu, il primo ministro del re Luigi XIII di Francia, considerava gli Asburgo troppo potenti, in quanto possedevano molti territori posti sul confine orientale della Francia, tra cui porzioni dei Paesi Bassi.
Nel gennaio 1631, Richelieu iniziò intervenendo indirettamente nella guerra quando il diplomatico francese Hercule de Charnacé firmò il trattato di Bärwalde con Gustavo Adolfo, con il quale la Francia si impegnò a sostenere gli svedesi con 1.000.000 di livre annualmente in cambio di una promessa di mantenere un esercito in Germania contro gli Asburgo. Il trattato prevedette, inoltre, che la Svezia non avrebbe potuto concludere una

Soldati saccheggiano una fattoria durante la Guerra dei Trent'anni di Sebastian Vrancx.  
 pace con l'Imperatore senza prima rice- vere l'approvazione della Francia. Dopo la disfatta svedese a Nördlingen nel settembre 1634 e la pace di Praga nel 1635, in cui i principi tedeschi protestanti chiesero la pace con l'Imperatore tede- sco, la capacità della Svezia di continuare da sola la guerra appariva dubbia e Richelieu prese la decisione di entrare direttamente in guerra contro gli Asburgo. La Francia dichiarò guerra alla Spagna nel maggio 1635 e al Sacro Romano Impero nel mese di agosto 1636, aprendo l'offen- siva contro gli Asburgo in Germania e
nei Paesi Bassi. La Francia allineò la sua strategia con gli svedesi grazie al trattato in Wismar (1636) e al trattato di Amburgo (1638). Dopo la pace di Praga, gli svedesi riorganizzarono l'esercito regio sotto Johan Banér e ne crearono uno nuovo, l'Esercito del Weser sotto il comando di Alexander Leslie. Durante la primavera del 1635, i due gruppi vennero spostati a sud si scontrarono con gli imperiali nella battaglia di Wittstock. Nonostante le iniziali previsioni, l'esercito svedese ottenne la vittoria, invertendo molti degli effetti subiti in seguito della loro sconfitta a Nördlingen. Nel 1637, l'imperatore Ferdinando II morì e gli successe il figlio Ferdinando III, che fu fortemente intenzionato a porre fine alla guerra attraverso negoziati. Il suo esercito, tuttavia, raccolse un importante successo, nel 1638, nella battaglia di Vlotho contro una forza che mise insieme gli svedesi, gli inglesi e il Palatinato. Questa vittoria mise fine al coinvolgimento del Palatinato nella guerra. Gli sforzi militari francesi andarono incontro al disastro e il contrattacco spagnolo portò all'invasione del territorio francese. Il generale imperiale Johann von Werth e il comandante spagnolo cardinale infante Ferdinando di Spagna devastarono le province francesi della Champagne, Borgogna e Piccardia e minacciarono persino Parigi nel 1636. in seguito gli avvenimenti volsero a favore dei francesi. L'esercito spagnolo fu respinto da Bernardo di Sassonia-Weimar. La vittoria di Bernardo nella battaglia di Compiègne spinse gli eserciti asburgici ad indietreggiare verso i confini della Francia. Quindi, per un certo tempo, combattimenti diffusi perseverarono fino al 1640 e nessuno dei due schieramenti riuscì a guadagnare un vantaggio. Tuttavia, la guerra raggiunse l'apice e gli eventi volsero decisamente a favore dei francesi a scapito della Spagna, in particolar modo con l'assedio e la cattura del forte di Arras nel 1640. (Questa battaglia è stata menzionata da Edmond Rostand nella sua opera Cyrano de Bergerac, come lo scontro in cui Cyrano combatté). I francesi conquistarono Arras a seguito di un assedio che durò dal 16 giugno al 9 agosto 1640. Quando Arras cadde, ai francesi si aprì la strada per conquistare tutte le Fiandre. La conseguente campagna francese contro le forze spagnole culminò con una vittoria francese
decisiva a Rocroi, avvenuta nel maggio 1643. Le notizie di queste vittorie francesi fornirono un forte incoraggiamento ai movimenti separatisti nella provincia spagnola di Catalogna e in Portogallo. La rivolta catalana nacque spontaneamente nel maggio 1640. Da quel momento l'obiettivo del cardinale Richelieu fu quello di promuovere una "guerra di diversione" contro gli spagnoli. Richelieu volle creare delle difficoltà per gli spagnoli sul loro territorio, in modo da incoraggiarli a ritirarsi dalla guerra. Per ottenere ciò Richelieu arrivò a fornire aiuti ai catalani. La coalizione imperiale venne battuta in una serie di battaglie campali e le forze francesi e svedesi pene- trarono nella Germania meridionale fino alla Baviera. Per quanto riguarda il fronte spagnolo, le flotte francesi e ispaniche si scontrarono nel Mediterraneo e nell'Atlantico, dove gli olandesi (alleati della Francia e di tutto il blocco protestante) ebbero la meglio. L'andamento degli eventi fu deciso dal maturare della crisi spagnola: il governo del conte-duca de Olivares aveva proseguito la sua politica di inaspri- mento fiscale soprattutto sulla Catalogna e in Portogallo. I catalani erano da tempo animati da sentimenti di malcontento verso la corte madrilena, e il governo di Lisbona era paraliz- zato. Quando le truppe francesi penetrarono in territorio
 Il Conte-duca de Olivares.
catalano, si trovarono di fronte una regione percorsa da un forte odio per il governo spagnolo. Nel dicembre 1640, i portoghesi iniziarono una campagna contro il dominio spagnolo e ancora una volta Richelieu fornì aiuti agli insorti. Gli sforzi del primo ministro francese ebbero il loro effetto desiderato. Filippo IV di Spagna fu a malincuore costretto a distogliere la sua attenzione dalla guerra nel nord Europa per affrontare i problemi nei suoi territori. In effetti, alcuni dei consiglieri di Filippo gli raccomandarono di recedere dagli impegni esteri. Il 4 dicembre 1642, il cardinale Richelieu morì. Tuttavia, il suo successore, cardinale Mazzarino, continuò la sua politica a favore della Francia; gli scontri tra le due potenze terminarono con il trattato dei Pirenei del 1659, che concluse definitivamente la guerra tra Francia e Spagna. Gli insorti catalani fecero quindi ricorso alla confinante Francia che inviò aiuti anche ai portoghesi (i quali stavano decidendo di tagliare il legame con la Spagna). Olivares cercò la pace con la Francia e le Province Unite, che però non fu concessa: venne così allontanato nel 1643 da Filippo IV di Spagna. Nel frattempo, un importante atto nella guerra fu intrapreso dagli svedesi. Dopo la battaglia di Wittstock, l'esercito svedese riguadagnò l'iniziativa nella campagna tedesca. Nella Seconda Battaglia di Breitenfeld del 1642, combattuta al di fuori di Lipsia, il feldmaresciallo svedese Lennart Torstenson sconfisse un esercito del Sacro Romano Impero guidato da Leopoldo Guglielmo d'Austria e il suo vice, il principe generale Ottavio Piccolomini, duca di Amalfi. L'esercito imperiale subì la perdita di 20.000 uomini. Inoltre, l'esercito svedese prese 5.000 prigionieri e si impossessò di 46 pistole, con un costo di 4.000 uomini uccisi o feriti. La battaglia permise alla Svezia di occupare la Sassonia e obbligò Ferdinando III a considerare anche la Svezia, e non solo la Francia, in qualsiasi negoziato di pace futuro. Un paesaggio con i viaggiatori un'imboscata fuori di una piccola città, dipinto da Vrancx Nel 1643, Luigi XIII morì, lasciando suo figlio Luigi XIV, di soli cinque anni, sul trono. Nello stesso anno, il generale francese Luigi II di Borbone-Condé sconfisse l'esercito spagnolo nella battaglia di Rocroi. Poco

Un paesaggio con i viaggiatori un'imboscata fuori di una piccola città, dipinto da Vrancx  
dopo, tuttavia, i francesi furono sconfitti dall'esercito Imperiale e dalle forze della Lega cattolica nella battaglia di Tuttlin- gen. Il primo ministro di Luigi XIII, il cardinale Mazzarino, di fronte alla crisi interna della Fronda parlamentare nel 1648, iniziò a lavorare per porre fine alla guerra. Nell'impossibilità di prose- guire la guerra, gli Asburgo d'Austria, detentori della corona imperiale, abban- donarono i propri disegni egemonici e firmarono la Pace di Vestfalia (1648). La Spagna invece, non volendo ricono-
scere l'egemonia francese che si stava profilando in Europa, continuò a lottare contro la Francia fino al totale esaurimento delle proprie forze, sancito dal Trattato dei Pirenei (1659).

Trattati di pace.

La firma del trattato a Osnabrück nel 1648 (dipinto di Gerard Terboch)  
Le trattative di pace, che si rivelarono molto complesse e laboriose, cominciarono nel 1643; ma i risultati definitivi furono ottenuti soltanto nel 1648. I trattati di pace vennero firmati nelle due città di Osnabrück e Mün- ster, rispettivamente il 24 ottobre e il 15 maggio del 1648, e sono solitamente identificati con il nome collettivo di Pace di Vestfalia. Tali trattati sancirono il tramonto del sogno egemonico degli Asburgo. La pace non riguardava comunque lo scontro tra Francia e Spagna, che venne risolto solo nel 1659 con la Pace dei Pirenei. Ulteriori negoziazioni furono tenute a Norimberga, per risolvere la spinosa questione della smobili-
tazione e del pagamento delle truppe operan- ti in Germania; tali discussioni continuarono fino al 1651, e le ultime guarnigioni furono ritirate solamente nel 1654.

Conseguenze del conflitto

 Mappa della Guerra dei Trent'anni.
La guerra dei trent'anni fu probabilmente il più grave evento che coinvolse l'Europa centrale prima delle Guerre Mondiali, ed ebbe conseguenze molto rilevanti sia da un punto di vista sociale e demografico, sia da un punto di vista più strettamente politico e culturale, come apparve chiaramente in quella che fu definita la Crisi del Seicento. Secondo Nicolao Merker, la guerra dei trent'anni fu "in assoluto la maggiore catastrofe mai abbattutasi" sulla Germania.

Perdite demografiche ed economiche
La quantificazione dei danni riportati dalla popolazione tedesca durante il conflitto è stata per anni argomento di accese dispute fra gli storici. Geoffrey Parker ritiene probabile che, considerando l'intera Germania, il calo demografico si sia attestato tra il 15 e il 20 per cento della popolazione, che nell'Impero passò dai circa 20 milioni del 1618 a un totale di circa 16-17 milioni nel
1650. Le valutazioni di altri autori sono molto più elevate; secondo Gustav Freytag le perdite umane furono di circa 12 milioni di persone con una popolazione che si contrasse da 18 milioni a circa 6 milioni; Johannes Scherr calcola che il decremento demografico fu ancora maggiore, da 16-17 milioni a soli 4 milioni. I villaggi furono prede particolarmente vulnerabili per gli eserciti. Tra quelli che riuscirono a sopravvivere, come il piccolo villaggio di Drais nei pressi di Magonza, dovettero impiegare quasi un secolo per recuperare la situazione pre bellica. Si stima che le sole armate svedesi siano state responsabili della distruzione di circa 2.000 castelli, 18.000 villaggi e 1.500 città in Germania, un terzo di tutte le città tedesche.

 Soldati saccheggiatori. Vranx, 1647, Deutsches  Historisches Museum di Berlino.
  Da zona a zona si registrano tuttavia notevoli differenze, che rispecchiano la frequenza degli scontri e del passaggio degli eserciti in ogni regione; le più colpite furono la Pomerania, il Meclemburgo, il Brandeburgo e il Württemberg, mentre le regioni nord-occidentali furono in gran parte risparmiate. Il Württemberg perse i tre quarti della sua popolazione durante la guerra. Nel territorio di Brandeburgo, le perdite furono pari a circa la metà della popolazione, mentre in alcune zone si
stima che i due terzi degli abitanti siano morti. Complessivamente, negli stati tedeschi, la popola- zione maschile si ridusse di quasi la metà. Nelle terre ceche, la popolazione diminuì di un terzo a causa delle battaglie, delle malattie, della malnutrizione e come conseguenza dell'espulsione dei protestanti residenti. La causa principale del calo demografico non è tanto legata a eventi bellici, che contribuirono in maniera relativamente bassa, ma alla mancanza di vettovaglie e al ripetuto diffondersi di epidemie; il passaggio delle truppe, in gran parte eserciti di mercenari che trae- vano sostentamento dal saccheggio sistematico dei luoghi che attraversavano, generava una carenza di viveri che indeboliva gli abitanti, rendendoli facile preda di malattie infettive la cui diffusione era favorita dai flussi di profughi e dal concentramento degli sfollati nelle città. Questo ricorrere di epidemie e calo demografico, che trova riscontro in vari documenti dell'epoca, come registri parrocchiali e delle tasse, sembra comunque fosse già, almeno in parte, cominciato prima della guerra, che quindi forse non fece altro che accelerare un processo già innescato.
Tra il 1618 e il 1648, pestilenze di diversi tipi infuriarono, in tutta la Germania e nei paesi limitrofi, tra combattenti e popolazione civile. Le caratteristiche della guerra furono determinanti per favorire la diffusione delle malattie, tra queste: i frequenti movimenti di truppe, l'afflusso di soldati provenienti da paesi stranieri e le mutevoli posizioni dei fronti della battaglia. Inoltre, lo spostamento delle popolazioni civili e il sovraffollamento nelle città dovuto ai rifugiati comportò frequenti episodi di malnutrizione e di trasmissione di malattie. Sulle cronache locali, quali i registri parrocchiali e i documenti fiscali, si possono trovare le informazioni su numerose epidemie, tuttavia questi dati potrebbero essere incompleti o, a volte, sovradimensionati. I documenti mostrano che il verificarsi di malattie epidemiche non fu un'esclusiva del tempo di guerra, ma esse si verificarono in molte parti della Germania per diversi decenni prima del 1618.

 Un contadino chiede pietà di fronte a una  fattoria in fiamme.
  Quando l'esercito imperiale e quello danese si scontrarono in Sassonia e Turingia, tra il 1625 e il 1626, le malattie infettive aumentarono nelle comunità locali. I documenti parlano ripetutamente di "malattia della testa", "malattia ungherese" e di una "malattia maculata", identificata successiva- mente come la tubercolosi. Dopo la guerra di Mantova, combattuta tra la Francia e gli Asburgo in Italia, la parte settentrionale della penisola italica fu soggetta ad un'epidemia di peste bubbonica (vedi peste del 1630). Durante l'infruttuoso asse- dio di Norimberga del 1632, i civili e i soldati di entrambi gli schieramenti soffrirono di tubercolosi
e scorbuto. Nel 1634, Dresda, Monaco di Baviera e altre piccole comunità tedesche, come Oberammergau, registrarono un gran numero di vittime dovute alla peste. Negli ultimi decenni della guerra, sia la tubercolosi che la dissenteria furono condizioni endemiche in Germania.
Dal punto di vista economico la guerra causò una generale contrazione economica in tutto l'Impero, cui contribuirono i saccheggi, i furti e le distruzioni indiscriminate, ma anche gli altissimi costi per il mantenimento degli eserciti mercenari. Molte città e stati tedeschi si indebitarono per sostenere lo sforzo bellico, e dopo la guerra il recupero fu ostacolato dal fatto che l'Impero fu coinvolto in una serie di nuove guerre con la Francia e l'Impero ottomano che, pur non coinvolgendo direttamente la Germania, richiesero nuovi sforzi economici. Come detto, la guerra fu causa di gravi danni all'economia dell'Europa centrale, tuttavia si ritiene che potrebbe aver semplicemente aggravato una situazione che già si stava instaurando precedentemente. Inoltre, alcuni storici sostengono che il costo umano della guerra possa avere migliorato il tenore di vita dei sopravvissuti. Secondo Ulrich Pfister, nel 1500 la Germania fu uno dei paesi più ricchi d'Europa, ma nel corso del 1600 questo primato andò di gran lunga a deteriorarsi. Durante il periodo tra il 1600 e il 1660, il paese tornò economicamente a crescere, in parte grazie allo shock demografico della guerra dei Trent'anni.

Conseguenze politiche

Europa centrale al termine della Guerra dei Trent'anni, si può notare la frammentazione provocata dal conflitto.
La maggiore conseguenza, dal punto di vista politico, fu la conferma della frammentazione della Germania, che ora veniva a essere formata da stati di fatto indipendenti. Tale situazione durò fino al 1871, quando la Germania fu riunificata dalla Prussia in seguito a una vittoriosa guerra contro la Francia. La Spagna, che continuò ancora a combattere con la Francia dopo la firma della pace, evidenziò chiaramente i segni della inarrestabile decadenza già iniziata negli ultimi decenni del secolo XVI; sconfitta sul fronte pirenaico e su quello dei Paesi Bassi, tormentata internamente dalle rivolte della Catalogna e del Portogallo, si vide costretta a riconoscere l'indipendenza ei Paesi Bassi (a quel tempo denominati Province Unite, ma rimanevano i Paesi Bassi spagnoli, cioè l'attuale Belgio più poco altro) prima e del Portogallo poi, che venne messo sotto protezione dell'Inghilterra, ponendo così fine guerra degli Ottant'anni. La Francia uscì dalla guerra rafforzata: grazie al declino spagnolo e alla frammentazione del Sacro Romano Impero, divenne una potenza di primo rango, uscendo trionfalmente da un periodo di eclissi che durava ormai da molti decenni. In seguito i Borbone di Francia sfidarono la supremazia della Spagna degli Asburgo nella guerra franco-spagnola (1635-1659); guadagnando l'ascesa definitiva nella guerra di devoluzione (1667-1668) e nella guerra franco-olandese (1672-1678), sotto la guida di Luigi XIV.

 Riduzione della popolazione del Sacro Ro-  mano Impero in percentuale.
Per l'Austria e la Baviera, il risultato della guerra fu ambiguo. La Baviera fu sconfitta, devastata e occupata, ma conquistò alcuni territori con la pace di Westfalia. L'Austria fallì completamente nel riaffermare la sua autorità nell'impero ma soppresse con successo il protestantesimo nei propri domini. Rispetto alla Germania, la maggior parte del suo territorio non subì significative de- vastazioni e il suo esercito uscì dalla guerra più forte di quanto non fosse prima, a differenza di quelli della maggior parte degli altri stati dell'Im- pero. Ciò, insieme alla sagace diplomazia di Ferdinando III, gli permise di riguadagnare una certa autorità sugli altri stati tedeschi rendendola in grado di affrontare le crescenti minacce dell'impero ottomano e della Francia.
Dal 1643-1645, durante gli ultimi anni della Guerra dei Trent'anni, la Svezia e la Danimarca si scontrarono nella guerra di Torstenson. Il risultato di quel conflitto e la conclusione della pace di Westfalia, contribuì all'affermazione della Svezia come un'importante forza in Europa. Gli accordi presi nella pace di Westfalia vengono ancora oggi considerati come uno dei cardini della concezione del moderno stato nazionale sovrano. Oltre a stabilire confini territoriali fissi per molti dei paesi coinvolti nel conflitto (così come per quelli più recenti, creati in seguito) la pace di Westfalia mutò il rapporto dei soggetti ai loro governanti. In precedenza, molte persone erano costrette a sopportare sovrapposizioni di potere, talvolta in conflitto tra le alleanze politiche e religiose. A seguito dei trattati di pace, gli abitanti di un determinato stato furono soggetti prima di tutto alle leggi e alle disposizioni emanate dai rispettivi governi e non alle pretese di qualsiasi altra entità, sia essa religiosa o laica. Da un punto di vista più generale, la guerra segnò la fine dei conflitti religiosi nell'Europa occidentale che accompagnarono la riforma protestante fin da più di un secolo prima: dopo il 1648, nessuna grande guerra europea fu più giustificata da motivazioni confessionali. Vi furono altri conflitti religiosi negli anni a seguire, ma senza che sfociassero in guerre. Inoltre, le depravazioni e la distruzione causate dai soldati mercenari comportarono una tale repulsione che fece terminare l'era dei Lanzichenecchi e inaugurò quella degli eserciti nazionali, dotati di maggior disciplina.

Aspetti tattici e strategici del conflitto
La guerra dei trent'anni ebbe grande importanza anche nell'introduzione di significative novità in campo militare. Da questo punto di vista può ritenersi della massima importanza il ruolo dell'intervento svedese, in quanto l'esercito di Gustavo Adolfo rappresentava sicuramente, all'epoca, la più moderna organizzazione bellica presente in Europa.

Innovazioni tattiche svedesi
La guerra iniziò in un periodo in cui, nella maggior parte dell'Europa, erano in uso le tattiche tradizionali di tipo spagnolo, poco diverse da quelle adottate nel XVI secolo; fulcro di tali dottrine era la formazione detta tercio, un consistente gruppo di picchieri disposto in un denso quadrato e circondato da moschettieri di supporto. Nel tercio, il ruolo più importante era affidato ai picchieri, che dovevano svolgere un ruolo sia difensivo che offensivo, avanzando a picche spianate, mentre i moschettieri avevano essenzialmente un compito subordinato, anche a causa della bassa cadenza di tiro.
Picchiere - Nell'esercito svedese i picchieri persero il loro ruolo predominante In questa situazione si distingueva nettamente, per le tattiche adottate, l'esercito svedese. Le riforme militari attuate da Gustavo Adolfo, ispirate dai provvedimenti attuati dagli olandesi nella loro decennale lotta contro la Spagna, riguardarono sia le tre armi singolarmente (fanteria, cavalleria, artiglieria), sia il coordinamento dei vari componenti l'armata.
La fanteria svedese vedeva la predominanza dei moschettieri sui picchieri, in un rapporto di circa 2:1, e l'adozione di una formazione lineare su più file (in genere sei), che consentiva di massimizzare la potenza di fuoco dei moschettieri; questi ultimi erano addestrati a ricaricare il più rapidamente possibile, e a sparare per salve controllate per fila, mentre le altre file ricaricavano.
La cavalleria, che per il predominio dei picchieri aveva perso importanza sul campo di battaglia nei precedenti decenni, abbandonava la poco efficace tattica del caracollo e passava a una tattica più incisiva di carica all'arma bianca (in special modo la sciabola).
L'artiglieria, finora relativamente secondaria, veniva notevolmente sviluppata, con un sostanziale alleggerimento dei pezzi, la cui maneggevolezza ne permetteva ora lo spostamento sul campo, prima quasi impossibile; inoltre vennero introdotti cannoni reggimentali per appoggiare le formazioni di fanteria e venne data molta importanza
alla rapidità nel caricamento.
Tali innovazioni si rivelarono decisive per l'esito del conflitto, e vennero via via adottate dai vari contendenti. Nelle battaglie che videro scontrarsi eserciti che adottavano le due diverse dottrine (come a Breitenfeld o a Rocroi), prevalse sempre la tattica svedese.

Logistica
La logistica degli eserciti impegnati nel conflitto fu sempre molto problematica. Non esistevano, all'epoca, treni di rifornimento come quelli che sarebbero stati impiegati nel XVIII secolo. Se questo rendeva possibile per gli eserciti effettuare spostamenti più rapidi, in quanto non esisteva la necessità di trainare lenti carriaggi, il materiale per il sostentamento delle truppe era spesso ridotto ai minimi termini. La tipica politica adottata nella guerra fu l'utilizzo sistematico delle risorse del territorio: questa spoliazione di intere regioni ebbe conseguenze molto gravi sulle popolazioni, ed era inserita in un sistema più generale, per cui i comandanti degli eserciti tra- evano lauti profitti dai saccheggi sistematici. Emblematico di questa abitudine fu il comandante imperiale Albrecht von Wallenstein: al comando di un esercito da lui stesso arruolato, egli trasse enormi profitti che gli consentirono di equipaggiare il suo esercito in maniera relativamente uniforme e di aumentare di molto il numero di truppe al suo comando fino al suo assassinio. Il problema dei rifornimenti incise spesso sulle operazioni militari, costringendo gli eserciti a spostarsi a causa dell'esaurimento delle risorse locali; inoltre, si assistette a casi in cui intere armate furono decimate a causa del forzato passaggio o stazionamento in zone già esaurite. Con il proseguire della guerra il problema logistico si fece sempre più stringente, a causa dell'aumen- to del numero di uomini in campo. Molto problematico si rivelò il pagamento delle truppe, che ricevevano il salario con ampio ritardo, fatto che provocò numerosi ammutinamenti, soprattutto da parte dell'esercito svedese. Una conseguenza secondaria della necessità di pagare ed equipaggiare un grande numero di truppe fu l'avvento della standardizzazione nelle uniformi e nell'armamento, per aumentare le velocità di produzione e diminuire i costi.

Caccia alle streghe (1626-1631)
Tra i vari grandi traumi sociali che accompagnarono il conflitto, uno dei più importanti fu il dilagare delle persecuzioni per stregoneria. Questa violenta ondata di caccia alle streghe esordì nei territori della Franconia durante il periodo relativo all'intervento danese. Il disagio e le preoccupazioni che il conflitto produsse tra la popolazione generale, permise all'isteria collettiva di diffondersi rapidamente in altre parti della Germania. Gli abitanti delle zone che non furono devastate solo dal conflitto in sé, ma anche dai numerosi cattivi raccolti, dalle carestie e dalle epidemie, si affrettarono ad attribuire queste calamità a cause soprannaturali. In questo contesto fiorirono violente e volatili accuse di stregoneria contro i propri concittadini. Il numero di processi e di esecuzioni registrati in questi anni fece segnare il picco del fenomeno della caccia

Un'incisione del 1627 della Malefizhaus di Bamberga, dove si tenevano gli interrogatori delle sospette streghe.
alle streghe.
A partire dal 1626, egli istruì numerosi processi di massa per stregoneria, in cui tutti gli strati della società (tra cui la nobiltà e clero) si trovarono vittime in una serie incessante di persecuzioni. Nel 1630, 219 uomini, donne e bambini furono bruciati sul rogo, nella sola città di Würzburg, mentre si stima che 900 persone siano state messe a morte nelle zone rurali della provincia. In concomitanza con gli eventi di Würzburg, il principe vescovo Johann von Dornheim intraprese una serie di processi simili su larga scala nel territorio di Bamberga. Fu costruiti un malefizhaus ("casa delle streghe") appositamente progettato con annessa una camera di tortura, le cui pareti erano decorate con versetti della
Bibbia, in cui veniva interrogato l'imputato. I processi alle streghe di Bamberg si trascinarono per cinque anni e costarono tra le 300 e le 600 vite, tra le quali quella di Dorothea Flock e del Bürgermeister (sindaco) di lungo corso Johannes Junius. Nel frattempo, nel 1629 in Alta Baviera, 274 sospette streghe furono messe a morte nel Vescovado di Eichstätt, mentre un altre 50 morirono nell'adiacente Ducato del Palatinato -Neuburg in quello stesso anno. Altrove, le persecuzioni arrivarono sulla scia dei primi successi militari imperiali. La caccia alle streghe si espanse nel Baden dopo la sua riconquista da parte di Tilly, mentre la sconfitta del prote- stantesimo nel Palatinato aprì la strada per la diffusione in Renania. Gli elettorati di Magonza e di Treviri furono teatro di roghi di massa di sospette streghe in questo periodo. Nell'Elettorato di Colonia, il principe-arcivescovo, Ferdinando di Baviera, presiedette una serie particolar- mente abbietta di processi per stregoneria che inclusero la controversa accusa a Katharina Henot, bruciata sul rogo nel 1627. La caccia alle streghe raggiunse il suo picco intorno al periodo dell'Editto di Restituzione, emanato nel 1629, e con l'ingresso nella Svezia l'anno successivo gran parte dell'isteria popolare andò scemando. Tuttavia, a Würzburg le persecuzioni sarebbero continuate fino alla morte di Ehrenberg, avvenuta nel luglio del 1631. Gli eccessi di questo periodo ispirarono il poeta e gesuita Friedrich Spee (egli stesso un ex "confessore di streghe") autore di una sagace condanna legale e morale dei processi alle streghe, il Cautio Criminalis. Questo influente lavoro fu in seguito accredito per aver posto fine alla pratica del rogo delle streghe in alcune zone della Germania e, gradualmente, in tutta l'Europa.