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  Giuseppe Pignatale  Presenta:
     Storia contemporanea:

FORMAZIONE DI UNA COSCIENZA NAZIONALE.

Per la formazione di una coscienza nazionale italiana, ci vollero molti decenni. All'inizio si ebbero i moti carbonari che furono soppressi dalla polizia, seguiti da quelli mazziniani di natura repubblicana che purtroppo non ebbero il pieno appoggio popolare. Poi prevalsero le tesi neo-guelfe e neo-ghibelline messe alla prova in particolare nella Prima Guerra d'Indipendenza. Alla fine prevalse l'unità monarchica ......

 
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Giuseppe Mazzini e la Giovine Italia.

Giuseppe Mazzini fu l'apostolo del nostro Risorgimento, l'educatore del popolo italiano al sentimento nazionale. Egli dedicò tutta la vita ad inculcare negli Italiani il diritto di avere una patria libera, indipendente e unita, e il dovere di lottare fino al supremo sacrificio per il trionfo di questo diritto. "Adoro la mia patria" lasciò scritto - "perché adoro la Patria, la nostra libertà perché credo nella Libertà, i nostri diritti perché credo nel Diritto ". Nato a Genova nel 1805, fin da ragazzo si sentì attratto alla causa italiana, e la sua aspirazione fu assecondata dalla madre Maria Drago, che gli insegnò a considerare la vita come una missione e a convertire in una fede gli ideali di patria e di libertà. li primo impulso a seguire la sua vocazione patriottica gli venne nel 1821 alla vista dei profughi piemontesi che, dopo il fallimento dei moto rivoluzionario, si affollavano al porto di Genova per prendere la via dell'esilio. Egli comprese che si doveva lottare per la libertà della Patria. Studente universitario, si iscrisse alla Carboneria, e per incarico di quella setta compì diversi viaggi in Liguria e in Toscana; ma cadde in sospetto della polizia di Carlo Felice, e fu artestato e chiuso per alcuni anni in carcere a Savona. Non essendoci prove su di lui, venne assolto, ma dovette scegliere tra l'esilio in terra straniera o il confino in una piccola città del Piemonte sotto la sorveglianza della polizia. Egli scelse l'esilio per essere libero di compiere la sua missione patriottica, e si recò a Marsiglia (1831).

Mentre era in carcere a Savona, meditando sulla storia remota e recente del nostro paese, si convinse che il compito storico affidato da Dio all'Italia non era ancora esaurito: già maestra della civiltà romana, cristiana e rinascimentale, essa era destinata a riprendere nel mondo il suo posto di maestra della civiltè. Questo però sarebbe avvenuto solo se l'Italia, scacciati gli stranieri dal proprio territorio, avesse riacquistato la sua dignità di nazione una, libera e indipendente.
Dal fallimento dei moti carbonari il Mazzini trasse l'insegnamento che il nostro riscatto nazionale non sarebbe avvenuto né per opera dei sovrani italiani né per gli aiuti stranieri ne per le agitazioni di pochi cospiratori: esso poteva essere attuato soltanto dal popolo italiano, mediante la rivoluzione popolare contro i vari sovrani della Penisola, e mediante la guerra popolare contro l'Austria. Lo slancio del popolo, qualora, fosse insorto unanime per il trionfo dei propri diritti, sarebbe stato inarrestabile, perché, come cantò più tardi il giovane poeta Goffredo Mameli, " quando il popolo si desta - Dio si pone alla sua testa, - la sua folgore gli dà" . Il programma di attuazione di questo riscatto si compendiava nei motti: Dio e Popolo, Pensiero e Azione, Fede e Sacrificio, Unità e Repubblica. Il Mazzini si rivolgeva soprattutto ai giovani, che non avevano ancora provato la delusione di precedenti esperienze fallite, e li invitava ad unirsi in una nuova associazione, segreta nell'organizzazione, per la necessità di sottrarsi al controllo e alle persecuzioni dei governi reazionari, ma pubblica nel programma e nei mezzi di lotta, affinché gli Italiani potessero coscientemente aderirvi.
Essa doveva essere un'associazione nazionale, posta cioè al di sopra degli interessi e dei particolarismi delle singole regioni per seguire uno scopo unitario, e doveva raccogliere gli " uomini credenti nella stessa fede, consacrati a costituire, con tutti i mezzi di parola, di scritto, di azione, e anche a prezzo della vita, l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana ". La nuova associazione, fondata dal Mazzini a Marsiglia nel luglio del 1831, fu denominata La Giovine Italia, perché all'entusiasmo rivoluzionario dei giovani in snodo speciale si affidava.
La Giovine Italia, nel pensiero del suo fondatore, doveva non solo attuare il Risorgimento del popolo italiano, ma dare anche il segnale di inizio della nascita di una nuova Europa. Con lo scopo di porre le prime basi per la costituzione di una grande Federazione Europea di popoli liberi e fratelli, egli tre anni dopo fondò anche, a Berna in Svizzera, La Giovine Europa.

I moti mazziniani.

Nell'aprile del 1831 era morto a Torino il re Carlo Felice e sul trono sabaudo era salito Carlo Alberto, guardato con diffidenza sia dai reazionari, per i suoi trascorsi liberali, sia dai patrioti, per il suo comportamento nel 1821 e per avere nel 1823 combattuto al seguito dell'esercito francese contro i costituzionali di Spagna. Il Mazzini, sebbene avesse già proclamato la sua fede repubblicana, volle tuttavia tentarne l'animo, e gli indirizzò una lunga lettera, nella quale, tra l'altro gli diceva:" Sire! Ponetevi alla testa della Nazione e scrivete sulla vostra bandiera: Unione, Libertà, Indipendenza! Liberate l'Italia dai barbari ! Edificate l'avvenire!" Carlo Alberto non credeva allora che fosse possibile l'unificazione di tutta l'Italia; inoltre considerava il suo popolo non ancora maturo per fare buon uso delle libertà costituzionali e l'Austria troppo forte per sperare di vincerla col piccolo esercito piemontese. Perciò non accolse l'invito, allora intempestivo, del Mazzini, e diede ordine di intensificare la vigilanza alla frontiera per arrestare l'agitatore genovese se avesse tentato di entrare nel suo Stato. Da quel momento il Mazzini, che aveva concluso la lettera con la minaccia "Se voi non fate, altri faranno senza voi e contro voi" rivolse ogni suo sforzo a preparare complotti, congiure e insurrezioni da un capo all'altro della Penisola, " Non vedo per i popoli - egli scriveva -- altro consiglio possibile: l'insurrezione appena le circostanze lo concedano: l'insurrezione energica, generale, l'insurrezione delle moltitudini ".
Tuttavia non riuscì mai a suscitare vere rivoluzioni popolari, perché il popolo, sebbene egli e i suoi seguaci svolgessero un'intensa propaganda patriottica, non era ancora spiritualmente maturo all'azione, e al momento opportuno non si muoveva. Perciò i moti mazziniani, che si susseguirono per oltre un decennio, furono praticamente inefficaci, com'erano stati i moti carbonari. Essi però ebbero una grandissima importanza morale, perché servirono a conquistare gruppi sempre più numerosi di Italiani alla causa nazionale, e perché affermarono, per la prima volta in maniera chiara, accanto agli ideali di libertà e di indipendenza, anche l'ideale dell'unità politica d'Italia. Un primo tentativo di insurrezione avvenne a Genova nel 1833, e si concluse con l'arresto di numerosi affiliati alla Giovine Italia. Tra di essi vi era Iacopo Ruffini, molto caro al Mazzini, che si uccise in carcere per evitare che gli fosse strappata con la tortura qualche rivelazione. L'anno seguente il Mazzini si trasferì in Svizzera per tentare con un piccoli eserciti di esuli l'invasione della Savoia e provocare un'insurrezione generale nello Stato sabaudo. Se il tentativo fosse riuscito, il giovane nizzardo Giuseppe Garibaldi, capitano della marina mercantile ed arruolato come marinaio nella flotta militare sarda, avrebbe dovuto occupare con alcuni compagni il porto di Genova. L'impresa, condotta troppo fiaccamente dal generale Girolamo Ramorino, falli sul nascere, e fu seguita da nuove condanne. Il Mazzini, condannato a morte in contumacia, non si sentì più sicuro né in Svizzera né in Francia, e si rifugiò in Inghilterra. Giuseppe Garibaldi riuscì ad imbarcarsi per I'America del Sud, dove costitui un corpo di volontari italiani e combatté per la libertà delle Repubbliche del Rio Grande contro il Brasile e dell'Uruguay contro l'Argentina. Per queste aie imprese d'Àmerica egli ebbe in seguito il glorioso appellaiivo di eroe dei due mondi.

Sopra: Giuseppw Mazzini nella sua cella della fortezza di Priamar a Savona - gennaio del 1831 - (Tonno. Museo del Risorgimento).
Sotto: "La Giovine Europa" si costituisce a Berna - Torino Museo del Risorgimento.



Sopra: foto di Mazzini.
Sotto: Garibaldi alla battaglia di S. Antonio in Uruguay.

Nel Regno di Napoli, dove la Giovine Italia aveva larga diffusione, le cospirazioni e i tentativi di sommosse furono più numerosi che nelle altre parti della Penisola, e più duro fu il trattamento che la polizia horbonica riservò ai patrioti caduti nelle sue mani. (Particolare importanza ebbero, nel 1844, il moto di Cosenza, compiuto sotto l'insegna tricolore al grido di " Viva il Regno Italico costituzionale " o, l'infelice spedizione dei fratelli Bandiera. Attilio ed Emilio Bandiera, giovani ufficiali della marina austriaca e discendenti da nobile famiglia veneziana, avevano costituito tra i loro compagni una società segreta, detta Esperia, che nel 1842 si era fusa con la Giovine Italia. Nel 1844, temendo di essere arrestati per il tradimento di un compagno, essi disertarono e fuggirono a Corfù, dove ebbero notizia della sommossa scoppiata a Cosenza. Allora decisero di accorrere in soccorso degli insorti, sebbene il Mazzini da Londra li dissuadesse, e con un piccolo gruppo di esuli sbarcarono presso Crotone, sulla costa ionica della Calabria. Essendo poco pratici dei luoghi e non ricevendo nessun aiuto dalla popolazione che essi avevano sperato di sollevare, furono facilmente catturati dalla polizia borbonica e condannati a morte da una corte marziale. La sentenza venne eseguita nel Vallone di Rovito, presso Cosenza, il 25 luglio 1844: Attilio cd Emilio Bandiera e sette loro compagni caddero così sotto i colpi dei fucili borbonici al grido di "Viva l'Italia! ".


Consensi e dissensi al programma mazziniano.

Sulla prima parte del programma mazziniano, concernente la conquista della libertà e dell'indipendenza, per cui si erano già battute le società segrete sorte prima della Giovine Italia, gli uomini del nostro Risorgimento erano tutti d'accordo. Essi però dissentivano nell'indicare i mezzi più opportuni da usare per la sua attuazione. Mentre i mazziniani proclamavano la necessità della rivoluzione popolare contro i sovrani italiani e della guerra popolare contro gli Austriaci, molti patrioti di tendenze moderate, contrari per principio all'uso della forza e allo spargimento di sangue, proponevano invece che si giungesse gradualmente alla trasformazione degli Stati assoluti in Stati costituzionali seguendo la via pacifica delle riforme, e che si inducesse l'Austria ad abbandonare spontaneamente l'Italia mediante trattative da svolgersi in campo internazionale. La parte del programma mazziniano che si compendiava nel motto Unità e Repubblica era la più discussa ed avversata. Il Mazzini e i suoi seguaci propugnavano la soppressione di tutti gli Stati esistenti in Italia e la creazione di un unico grande Stato repubblicano. Essi consideravano lo Stato unitario come una necessità imposta dalla missione che la nostra Patria era destinata a compiere nel mondo. L'Italia doveva essere una per evitare il pericolo di disperdere le energie dei suoi figli in contrasti di interessi o in rivalità di carattere regionalistico; e doveva trovare nella sua unità la forza necessaria per poter collaborare autorevolmente alla costituzione della nuova Europa, la quale


 Sopra: a sinistra: I fratelli Bandiera a Corfù; a destra: la loro fucilazione.

sarebbe stata fondata sulla libertà e sulla fraternità dei popoli protesi insieme al conseguimento del progresso dell'intera umanità. Volevano poi che questo Stato unitario fosse una Repubblica, perché la forma di governo repubblicana era, secondo il pensiero del Mazzini, la più adatta ad assicurare la libertà e l'uguaglianza di tutti i cittadini. Infatti gli ordinamenti repubblicani sono fondati sulla sovranità popolare, che esclude per principio qualsiasi privilegio dinastico o di casta. All'idea dello Stato unitario si opponevano gli uomini devoti per tradizione alle vecchie Case regnanti. Essi sostenevano il diritto storico di tali Case di continuare a regnare in Italia. Per molti cattolici era problema di fondamentale importanza che nel nuovo assetto politico da dare all'Italia, qualunque esso fosse, si rispettasse l'integrità territoriale dello Stato Pontificio, la cui esistenza era considerata indispensabile per assicurare alla Chiesa e al Papato la libertà e l'indipendenza necessarie all'esercizio del loro ministero religioso. Altri, movendo da considerazioni di carattere storico e geografico, sostenevano che gli Italiani, diversi fra loro per formazione culturale e civile, per tradizioni e per costumi, non si sarebbero mai adattati a vivere sotto un unico ordinamento politico. Tutti costoro ritenevano possibile soltanto un'unione di Stati, e guardavano alla futura Italia come a una Confederazione sul tipo di quella svizzera o americana. L'idea unitaria mazziniana era allora condivisa soltanto da pochi gruppi di patrioti, specialmente dell'Italia settentrionale, nei quali era ancora vivo il ricordo del Regno Italico istituito da Napoleone. Essi però volevano che l'unità si compisse sotto l'insegna della Monarchia, cioè che l'Italia futura fosse un Regno, e guardavano ai Savoia come ai più adatti, tra le vecchie Case regnanti nel nostro Paese, a guidare il movimento di unificazione nazionale di tutta la Penisola.


Vincenzo Gioberti e il partito Neo-Guelfo.

Una soluzione del problema politico italiano accettabile sia dai cattolici sia dai moderati, perché lasciava intatto lo Stato Pontificio ed escludeva ogni ricorso ai violenti mezzi rivoluzionari dei mazziniani, fu proposta dal secerdote e filosofo torinese Vincenzo Gioberti. Fino al 1833 egli era vissuto nella capitale piemontese, esercitando l'ufficio di cappellano di Corte; ma poi, per aver fatto aperta professione di idee liberali ed essersi compromesso coi rivoluzionari, era stato costretto a fuggire in esilio, e si era rifugiato a Bruxelles. In quella città nel 1843 pubblicò un'opera intitolata "Del primato morale e civile degli Italiani" nella quale affermava, concordando col pensiero del Mazzini, che l'Italia, centro della civiltà romana e cristiana, doveva risorgere nell'interesse di tutta l'Europa, per poter continuare ad esercitare nel mondo la sua missione civilizzatrice. Egli però si staccava nettamente dal pensiero dell'agitatore genovese sia nel proporre il modo di attuazione di questo Risorgimento sia nell'indicare la forma di unione politica che avrebbe avuto la Nazione italiana risorta. II Risorgimento dell'Italia, secondo il Gioberti, doveva avvenire pacificamente per gradi: i principi dovevano concedere la costituzione ai loro popoli; questi dovevano collaborare intelligentemente coi loro principi per promuovere il progresso civile, morale ed economico di tutti; quindi i principi si dovevano unire in o un'alleanza stabile e perpetua, della quale il Papa, come il più autorevole dei principi italiani, doveva essere "duce e moderatore", mentre una sola milizia italiana, costituita unendo gli eserciti dei vari Stati, doveva essere la forza e la difesa. La futura Nazione italiana, come la immaginava nel i843 il Gioberti, avrebbe avuto la sua forza spirituale nell'unità di lingua, di lettere, di religione, di genio nazionale, di pensiero scientifico, di accordo pubblico e privato e la sua stabilità politica nell'unione di tutti i principi della Penisola in una Confederazione posta sotto la presidenza moderatrice del Papa, la cui autorità morale era profondamente sentita da tutto il popolo italiano. II libro del Gioberti, sebbene parlasse di patria, di liberta, di unità, non cadde dappertutto sotto i rigori della censura, perché rispettava i poteri costituiti ed esaltava nel Papa la religione. Esso però, poté diffondersi con una certa facilità ed ebbe uno straordinario successo. La soluzione del problema italiano che esso proponeva, non richiedendo sacrifici di sangue e conciliando l'amor patrio col sentimento religioso, determinò un vasto movimento di opinioni favorevoli, e diede origine alla formazione del partito neo-guelfo, così detto perché si ispirava all'antico guelfismo medioevale e all'opera di italianità svolta dai Papi durante le lotte dei liberi Comuni contro gli Imperatori Svevi. II programma di questo partito ebbe l'adesione di molti uomini autorevoli, soprattutto tra i moderati e tra i cattolici, che fino allora si erano tenuti fuori dal movimento patriottico per la ripugnanza che provavano ad entrare nelle organizzazioni segrete e a partecipare ai loro complotti e alle loro insurrezioni; ma dopo il 1848 esso fu abbandonato dallo stesso Gioberti, perché in seguito agli avvenimenti della prima guerra d'indipendenza egli si convinse che il Papa, come capo spirituale dei cattolici di tutto il mondo, non poteva avere l'indipendenza e la libertà necessarie per essere contemporaneamente il capo politico degli italiani.


Le altre correnti moderate riformiste e federaliste.

Il pensiero federalista del Gioberti fu ripreso da alcuni scrittori di tendenze moderate riformiste, i quali erano d'accordo col sacerdote torinese nel condannare le congiure e le rivoluzioni e nell'invocare le pacifchc riforme dei principi e l'unione degli Stati italiani in una Confederazione, ma dissentivano da lui circa l'opportunità di porre il Papa a capo di essa.
Cesare Balbo, nobile torinese versato negli studi storici, autore, tra l'altro, di un "Sommario della Storia d'Italia" molto apprez- zato per i sentimenti patriottici che vi trasfuse. Nel 1844 pubblicò un libro intitolato Le speranze d'Italia, in cui invitava i principi a dare subito inizio alle riforme, istituendo prima le assemblee consultive e in un secondo tempo quelle legislative, per giungere così gradualmente alla formazione di governi costituzionali. Anch'egli auspicava l'unione degli Stati italiani in una Confederazione, ma a capo di questa voleva un principe capace di difenderla con le armi, e proponeva di scegliere Carlo Alberto. Questa Confederazione doveva essere esclusivamente italiana: l'Austria poteva essere allontanata pacificamente dal Lombardo-Veneto con la concessione di aumenti territoriali nella penisola Balcanica a spese dell'Impero Turco ormai in via di sfacelo. 11 generale e uomo politico Giacomo Durando, anch'egli piemontese, studiò il problema federalista nell'opera intitolata Saggio politico e militare della Nazione italia- na, nella quale giunse alla conclusione che alle tre regioni geografiche in cui l'Italia si divide - la padana, l'appenninica e l'insulare - dovevano corrispondere tre Stati confederati, retti ciascuno da un governo rappresentativo.

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Sopra: Vincenzo Gioberti
Sotto: Cesare Balbo.