Giuseppe Pignatale
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Il Trionfo degli Uomini di Buona volontà.

 

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LEZIONI DI STORIA
IL Mondo Romano:
Lucio Sergio Catilina, l'uomo che inventò il colpo di stato.

L. S. Catilina è l'enigmatico personaggio dell'antica Roma che contese duramente il potere al conservatore Cicerone. Aristocratico, secondo certi storici, Catilina si battè per la plebe; cospirò contro il Senato e, scoperto fu costretto con i suoi uomini ad affrontare l'esercito repubblicano presso Pistoia ove fu sconfitto e... ucciso: analizzando o fatti, ne è valsa la pena!?..... soprattutto oggi la lotta armata? certamente no!!


 MisterDomain.
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 Sopra: Maccari: Cicerone denuncia Catilina in Senato, rivelando la sua congiura  (particolare),  affresco,  Palazzo Madama

(Roma) Lucio Sergio Catilina (in latino: Lucius Sergius Catilina), noto più semplicemente come  Catilina (Roma 108 a.C. - Pistoia 62 a.C.) fu un politico romano del I secolo a.C. per lo più noto  per la congiura che porta il suo nome, un tentativo di sovvertire la Repubblica Romana, ed in  particolare il potere oligarchico del Senato.

 
 

Ve la ricordate l'esclamazione del capo dei Galli, il Brenno:

"Guai ai vinti"

Or bene questa regola storica trova eccellente conferma nei confronti di Lucio Sergio Catilina ricordando che la Storia viene scritta dai vincitori.
L'enigmatico personaggio dell'antica Roma che contese duramente il potere al conservatore Cicerone.
Aristocratico, secondo certi storici, Catilina si battè per la plebe.
« Lucio Catilina, nato di stirpe nobile, fu uomo di grande vigore morale e fisico, ma d'indole malvagia e corrotta» ( Gaio Sallustio Crispo, De coniuratione Catilinae).

 

Sopra: Cicerone
 

Cicerone, esponente di un'agiata famiglia dell'ordine equestre, fu una delle figure più rilevanti di tutta l'antichità romana.
Nacque nel 106 a.C. ad Arpino e morì a Formia
nel 43 a.C..
La sua vastissima produzione letteraria, che va dalle orazioni politiche agli scritti di filosofia e retorica, oltre a offrire un prezioso ritratto della società romana negli ultimi travagliati anni della repubblica, rimase come esempio per tutti gli autori del I secolo a.C.,tanto da poter essere considerata il prototipo della letteratura latina classica. Attraverso l'opera di Cicerone, grande ammiratore della cultura greca, i Romani poterono anche acquisire una migliore conoscenza della filosofia.

 

La gens Sergia. Catilina, il patrizio Lucio Sergio Catilina nasce a Roma nell'anno 645 dalla fondazione dell'Urbe, per noi il 108 a.C. dal senatore Lucio Sergio Silo e da Belliena. Il padre, deponendolo sulla terra di casa e recitando la formula di riconoscimento di paternità, lo accettava come figlio e lo deputava al riscatto del perduto prestigio del casato. La gens Sergia era una delle cento famiglie che, a quanto sosteneva la leggenda, aveva contribuito alla fondazione di Roma. Un'altra leggenda, ancor più "impegnativa", ricordava ai romani che i Sergi discendessero dal mitico Sergesto, compagno di Enea. Da tempo, almeno un secolo, i Sergi vivevano ai margini della Roma che conta. L'ultimo esponente della famiglia ad ottenere un ruolo influente era stato il pretore Marco Sergio, distintosi nella seconda guerra punica, per due volte prigioniero di Annibale, e per altrettante volte sfuggitogli, incrollabile guerriero che collezionò sul proprio corpo - assicurano le cronache del tempo - ventitré ferite in battaglia, e che continuò a combattere anche privo della mano destra, ricorrendo ad una protesi di ferro che usava come insegna per guidare i suoi uomini all'attacco.

Gioventù. Giovanissimo aveva sedotto più di una nobile vergine sfidando le ire delle loro potenti familiae e la morale della buona società romana. La sua fama di tombeur de femmes era tale che nel 73 fu accusato da Publio Clodio di aver violato una vestale, sacrilegio e reato gravissimi per i quali la donna veniva sepolta viva e il seduttore ucciso a nerbate. Processato, fu assolto. In realtà Catilina dopo le seconde nozze con la bellissima, ricca ed appassionata Aurelia Orestilla aveva messo la testa a posto. In pratica ci sono motivi più consistenti per i quali il progetto riformatore di Catilina poteva incontrare i favori, oltre che della plebe, anche delle donne. Dell'infanzia di Catilina e della sua formazione intellettuale si sa pochissimo, ma quel che si può supporre è che Lucio Sergio visse sempre un difficile rapporto con i propri simili, prediligendo la solitudine, sebbene in famiglia potesse godere di un'esistenza prodiga di affetto. Nell'anno 89, il giovane Catilina inizia la sua attività militare, cioè ai tempi della guerra marsica o sociale, di quel conflitto cioè che opponeva Roma alle popolazioni italiche, decise a chiedere più diritti e, soprattutto, l'agognata cittadinanza romana. Il ventenne Catilina è alloggiato nella tenda pretoria del generale Strabone, ed è vicino di branda di due altrettanto giovani commilitoni, diciottenni, destinati a fulgidi destini: Cicerone e Pompeo. Durante questa esperienza bellica, Catilina ha modo di formarsi come soldato (efficiente e crudele) all'eccellente scuola di Strabone, e di confrontare la propria personalità con quella, radicalmente opposta, di Cicerone: istintivo, coraggioso, scontroso e di sangue nobile Catilina; intelligente e riflessivo, pavido, abile nel procacciarsi i favori dei potenti, e di estrazione borghese Cicerone. Due uomini nati per non comprendersi. Nell'88, Catilina passa agli ordini di Silla - console in quell'anno - seguendolo poi in Asia, nella guerra contro Mitridate, re del Ponto. Agli ordini di Silla, il giovane Lucio Sergio potrà affinare la sua già naturale dote di soldato e sicario. Dell'assenza di Silla da Roma, però, ne approfittò il tribuno della plebe Sulpicio Rufo riuscendo a far approvare una legge che privava Silla del comando, affidandolo a Mario, che però in quel momento era a riposo come privato cittadino. Scoppia quindi la guerra civile - tra optimates e populares - che vedrà Catilina fedele esecutore di omicidi e repressioni nelle file sillane. Silla, sostenuto anche da Pompeo Rufo, tornò improvvisamente a Roma, la conquistò e diede inizio - per la prima volta nella storia - alle prescrizioni, imponendo al Senato il Senatus consultum ultimum, provvedimento d'emergenza che dichiarava i suoi nemici hostes, cioè Nemici della Patria: il dittatore si scatenò contro gli avversari per cui Mario fuggì da Roma e molti dei suoi sostenitori vennero eliminati. L'operazione "di pulizia" sillana non era riuscita, però, se dopo cinque anni di guerra mitridatica Silla dovette tornare a Roma, dove nel frattempo il redivivo Mario e i suoi uomini avevano preparato per i partigiani sillani in città la stessa poco filantropica sorte subita anni prima. Mario però muore nell'86. Resta console Cornelio Cinna, che cerca di scatenare i suoi generali contro il ritorno a Roma di Silla. Nella decisiva battaglia a Porta Collina, nell'82, Catilina si segnala con Crasso come eccellente comandante, rivelandosi determinante per la vittoria. Con la Lex Valeria, promulgata da un Senato ormai prostrato al Silla, si nomina il generale dittatore a tempo indeterminato, violando apertamente la costituzione repubblicana, che prevedeva un anno per il consolato e soli sei mesi per la dittatura d'emergenza. In questa Roma assoggettata, Catilina - zelante nelle persecuzioni che avevano causato la morte di 90 senatori, 15 consolari e 2600 cavalieri (gli equites, la borghesia capitalista) - non poteva che raccogliere i suoi frutti. Quando poi cambia il vento politico, Lucio Sergio passa indenne i processi: il fatto ha del clamoroso se si pensa allo "stile" di Catilina in quelle terribili fasi (infatti, aveva trucidato suo cognato Mario Gratidiano - che era tra l'altro, zio di Cicerone - mozzandogli la testa e portandola poi nel Foro, ai piedi di Silla, dopo aver attraversato a cavallo tutta Roma).
Attività politica. Gli anni settanta si rivelano proficui per l'ancora giovane Catilina, che si getta anima e corpo nella politica: nel 78 è questore, nel 74 legato in Macedonia, nel 70 edile, nel 68 pretore, nel 67 governatore in Africa. Catilina ottiene queste cariche al primo anno possibile per l'età, e in anni in cui corre politicamente isolato, senza cioè i favori dei sillani, ormai caduti in disgrazia. Solo, quindi, né tra gli optimates (dai quali si stava progressiva- mente distaccando anche "mentalmente") né tra i populares (che sente ancora lontani). La situazione sociale nella Repubblica era radicalmente mutata negli anni delle guerre civili. La plebe - nella quale vanno compresi dai cittadini più umili e poveri ai piccoli imprenditori e negozianti - aveva guadagnato una posizione più determinante e avanzava maggiori diritti.
La riforma dell'arruolamento militare voluta da Mario aveva allargato le fila dei combattenti: la decadenza demografica nella penisola italica e quella dei contadini proprietari avevano palesato la necessità di includere nelle legioni anche i nullatenenti. Oltretutto, le enormi ricchezze affluite in Roma dalla sconfitta di Cartagine (202 a.C.) in poi erano finite nelle mani di pochi, i soliti aristocra- tici, che avrebbero impiegato quelle somme per acquistare terreni dai piccoli possidenti, creando così enormi latifondi. I piccoli proprietari, infatti, tenuti a partecipare come soldati nelle lunghe campagne militari, non potevano permettersi di assoldare qualcuno che curasse la terra, cosicché pagavano il salato conto al ritorno a casa, diventando preda dei latifondisti e finendo per abbandonare la campagna e andare ad ingrossare le fila del proletariato urbano. Il proletariato romano e italico, inoltre, accedeva all'esercito e, una volta combattuto, avanzava le richieste di ricompensa tipiche dei veterani: un appezzamento fertile, un capitale per investire su di esso, la cittadinanza romana. Il circolo vizioso, così si chiudeva. Decenni prima, anche i cavalieri avevano guadagnato posizioni nelle alte sfere della Repubblica: erano dilagati nei tribunali, ganglio vitale del potere romano. Presto, però, questa classe si era legata a stretto filo con la nobiltà nel difendere i privilegi di pochi. La società italico-romana, quindi, non sopportava più che la gestione del potere restasse nelle mani di un'oligarchia. È in questa cornice politico-sociale che Lucio Sergio Catilina, nel anno 66, decide di correre per il consolato del 65. Ha soli 42 anni. Ad opporsi alla sua discesa in campo è l'intera casta oligarchica guidata da un'abile "difensore d'ufficio": Marco Tullio Cicerone. Come già detto Cicerone aveva una personalità profondamente diversa da quella di Catilina. Due anni più giovane di lui, Marco Tullio rientrava in gioventù nel perfetto cliché dello studente primo della classe, diligente, ossequioso verso i professori e immancabilmente preso in giro dai compagni. Certo non lo aiutava il suo nome, la cui origine derivava dalla particolarità di un avo, il cui naso sfoggiava una grossa escrescenza simile ad un cecio (cicer). Avvocato di straordinario talento, grande scrittore e abilissimo oratore, Cicerone esordisce nel Foro nell'81 con una piccola causa civile, ma già l'anno seguente ha l'occasione di attirare l'attenzione su di sé: l'avvocato difende il giovane Sesto Roscio contro il potentis- simo sillano Crisogono, per una storia di soldi e supposto parricidio. Dal momento che nessuno osava difendere Roscio, temendo rappresaglie, l'ambizione - per una volta superiore alla pavidità - convinse Cicerone ad accettare la difesa del giovane. Ovviamente, vinse la causa. "Fu l'unico atto di coraggio della sua vita. E infatti gliene venne una tal paura postuma che fece circolare la voce che era malato e aveva bisogno di cure, partendo immediatamente per la Grecia. Voleva mettere il mare e un buon numero di chilometri fra sé e il dittatore. Ritornò a Roma solo nel 77, dopo la morte di Silla". Non v'è dubbio che, nella Roma post-sillana, Cicerone sarebbe stato estremamente prudente nei confronti dei suoi avversari, cioè i populares. Nel frattempo, si sposa. "La moglie Terenzia era ricca, avida, gretta, bigotta, arcigna, energica, una virago che dominò sempre il debole e irresoluto marito e che, nonostante lui la chiamasse suavissima atque optatissima (dolcissima e desideratissima), gli rese la vita impossibile. La ripudierà trent'anni dopo per questioni di quattrini".



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L'ambizione porta Cicerone a tentare, oltre alla carriera forense, quella politica. Sarà rapida, grazie al suo grande talento e a dispetto dell'assoluta mancanza di padrini. I padrini, comunque, Cicerone non faticherà a procurarseli. All'inizio, Marco Tullio punterà sui populares, che ricordavano la sua difesa di Roscio contro Crisogono. Membro della borghesia, desideroso di avvicinarsi alla "gente che conta" - e cioè gli aristocratici - il suo matrimonio strategico con il partito della plebe aveva ben poche probabilità di durare. L'illustre avvocato mal si vedeva con il popolo, che usava apostrofare come "la feccia di Romolo". Dopo un breve periodo di transizione nel quale pensò di costituire una sorta di partito "centrista" che puntasse a difendere gli interessi degli equites (la borghesia degli affari in ascesa), la sua classe, Cicerone avrebbe ricevuto nel 64 l'offerta di correre al consolato per gli aristocratici, e non si sarebbe di certo fatto pregare. Il suo consolato avrebbe rispettato fedelmente le consegne dei mandanti, opponendosi a qualsiasi riforma, in particolare a quella agraria, per una parziale redistribuzione delle terre e cercando di difendere anche il minimo privilegio di casta (arrivò a pronunciare, lui console un'orazione perché a teatro fossero mantenute ai cavalieri quattordici file di posti riservati").

Cicerone e Catilina avevano quindi un'idea assolutamente contrapposta di cosa fosse e dovesse essere Roma.
Uomo di diritto e di mediazione il primo, uomo impulsivo e d'azione il secondo. Sicuramente più adatto alla realtà del suo tempo Cicerone, drammaticamente distaccato dalla realtà, e ancorato ad una visione romantica della guerriera Roma delle origini Catilina. Eppure, come scriverà poi lo storico Mommsen, sarà "il più vile degli uomini di Stato romani" a sconfiggere l'ardimentoso Catilina. Prima di ordire la sua famosa congiura, Catilina tentò per ben tre volte l'accesso al consolato. Le prime due venne sconfitto con trucchi e brogli, la terza legittimamente, ma fu quella che, come si dice, fece traboccare il vaso. Catilina non era uomo facile ad arrendersi, e lo dimostrò nel giugno dell'anno 64, quando ripresentò la propria candidatura per le elezioni del 63. E… Catilina non sa ancora che verrà sommerso dalla mitica orazione (che passerà alla storia, riveduta e corretta, come Prima Catilinaria) di Cicerone. Ovviamente i toni, in quella drammatica seduta, erano meno fermi di come immortalato in seguito da Cicerone. Ripetutamente, Cicerone chiese a Catilina di lasciare la città. Perché Catilina non venne arrestato? Dopo tutto Cicerone, da ormai venti giorni, avrebbe avuto quel potere. Probabilmente Cicerone temeva le conseguenze dell'arresto di Catilina (la città era però, come detto, presidiata): forse con quell'esortazione Cicerone (che già sapeva delle intenzioni di fuga di Catilina), voleva apparire come colui che lo aveva spinto a questa decisione. Arrestare Catilina, poi, avrebbe significato istruire un processo, nel quale l'imputato, secondo le leggi, avrebbe potuto appellarsi al popolo, al giudizio dei comizi centuriati. L'unica soluzione - ma che avrebbe richiesto a Cicerone un coraggio che non aveva - era fare arrestare l'avversario e farlo giustiziare senza processo. Catilina, quindi, poté ascoltare in tutta calma l'orazione di Cicerone, finché non lo interruppe, cercò di giustificarsi, di dimostrare che un patrizio come lui non avrebbe mai mirato ad una rivoluzione pericolosa per la Repubblica. Non poté finire il discorso, perché i senatori cominciarono a lanciargli improperi. L'uomo si alzò e - a quanto afferma Sallustio - disse: "Dal momento che, stretto tutto intorno da nemici, mi si vuole ridurre alla disperazione, estinguerò sotto un cumulo di rovine l'incendio acceso contro di me". Dopodiché uscì.
Catilina prendeva quindi la strada di Fiesole, per incontrarsi con Manlio, mentre a Roma alcuni congiurati, guidati da Cetego, avrebbero tentato il tutto per tutto il 17 dicembre, giorno d'inizio delle feste Saturnali. I Saturnali erano cinque giorni simili al nostro Natale, nei quali un golpe aveva più possibilità di riuscire poiché gli stessi schiavi godevano di maggiore libertà da parte dei propri padroni. Approfittando delle festività, in città era presente anche una delegazione di Allobrogi, giunta nell'Urbe per perorare la causa del proprio popolo, a loro avviso eccessivamente colpito dai balzelli romani. In cerca di uomini da arruolare per la rivoluzione, uno dei congiurati, Lentulo, fece l'errore di avvicinare la delegazione promettendo future ricompense qualora gli Allobrogi si fossero schierati al loro fianco. Fu il doppio gioco degli Allobrogi, avvicinati allo stesso tempo da Cicerone, a mandare in disgrazia i congiurati. La delegazione chiese infatti documenti scritti ai congiurati, da portare - questo il pretesto - alla propria gente. Firmandoli, i congiurati firmavano la propria condanna a morte. E infatti, dopo il processo, i congiurati vennero portati nelle terrificanti segrete del carcere Mamertino dove, legati e in ginocchio nella melma, furono strangolati uno a uno. Catilina intanto esce da Roma facendo intendere di recarsi in esilio, diretto a Marsiglia. Giunto all'altezza di Orbetello, sulla via Aurelia, cambia direzione verso l'interno dell'Etruria per incontrare Manlio. Catilina giunge all'accampamento nel novembre del 63, mentre il Senato lo dichiara nemico dello stato. Nell'accampamento di Fiesole c'erano circa diecimila rivoltosi, che Catilina non cercò di trattenere a tutti i costi: l'impresa era disperata, armi ed equipaggiamenti erano insufficienti. In più, vecchio soldato, Catilina sapeva che sfamare uomini non armati, e soprattutto attorniarsi di uomini non decisi ad andare fino in fondo, sarebbe stato controproducente. Pochi ma buoni. Alla fine, Catilina poté contare su cinquemila soldati pronti a seguirlo fino alla morte, ben coscienti che per loro non c'era riscatto fuori da quell'impresa.
La battaglia finale. Braccato dalle legioni governative, che nel frattempo avevano impedito qualsiasi collegamento con i simpatizzanti in Umbria e in Apulia, Catilina poteva sperare solo in una fuga in Gallia dove si sarebbero potuti reclutare nuovi uomini, prima di marciare su Roma. La fuga dei catilinari si fermò nei pressi di Pistoia, in una località che oggi viene chiamata Campotizzoro - località che si trova nell'attuale SS che porta alla zona sciistica dell'Abetone. Chiuso tra le legioni di Caio Antonio Ibrida e quelle di Quinti Metello Celere, Catilina poteva scegliere l'arroccamento in montagna in attesa della fine dell'inverno. Scelse, invece, la battaglia. (detta "di Pistoia"). Prima dello scontro, Catilina fece un discorso che, scrive Antonelli, "è uno dei più realistici e meno retorici di tutta la letteratura antica". L'unica salvezza era vincere la battaglia: in quel caso molti lo avrebbero seguiti nell'impresa di marciare su Roma. Catilina allineò i suoi uomini, poi scese da cavallo, chiese ai propri ufficiali di imitarlo e di far fuggire i cavalli. Il messaggio era chiaro: o vittoria, o morte. In una fredda mattina di gennaio del 62 a.C. gli eserciti si scontrarono. La battaglia durò più del previsto, le forze governative dovettero ricorrere all'impiego straordinario dei pretoriani che, infastiditi da un coinvolgimento che non avevano messo in conto, si gettarono nella mischia con inaudita ferocia. Quando lo scontro cessò, Catilina fu trovato in mezzo ad un mucchio di cadaveri, che ancora respirava. Il generale Antonio, che comandava le operazioni, non ebbe il fegato di farlo curare per portarlo di fronte a un tribunale, e ordinò che venisse decapitato, ancora cosciente. "Dopo la battaglia - scrive Sallustio - si poté constatare quanta audacia e quanta energia regnassero fra i soldati di Catilina: ognuno di essi copriva dopo morto, con il proprio corpo, il posto che, vivo, aveva tenuto in battaglia". Sembra che Catilina non fu ucciso li, ma molto piu' a nord , e piu' precisamente in localita' Cutigliano, a pochissimi chilometri dalla località sciistica dell'Abetone. Nel centro di Pistoia, tuttavia, esiste tutt'oggi una via che porta ancora il suo nome: via tomba di Catilina, e si trova vicino all'ospedale del Ceppo, e porta nella stupenda piazza Duomo.

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RIFLESSIONI

Da quanto detto occorre fare delle analogie con la società globalizzata attuale. Con l'estendersi dei domini romani affluirono verso l'Urbe ingenti ricchezze che però purtroppo finirono nelle mani di pochi dando origine a una repubblica oligarchica e corrotta di difficile gestione che portò poi all'impero per rendere l'intera struttura più efficiente: infatti immaginate a quel tempo che scoppiava in un luogo sperduto dell'impero una pestilenza occorreva intervenire e subito nonostante i mezzi di comunicazione molto lenti rispetto ad oggi. Infatti immaginate che oggi, nonostante i mezzi di informazione, non si riesce a eliminare gli effetti nefasti di terremoti o di maremoti. Poi col passaggio all'impero, Roma, mantenne un carattere "democratico" con l'elezione di imperatori provinciali come Traiano, spagnolo, man mano che si affermavano le provincie. I Romani, riuscirono ad affermare il loro stile di vita, e una struttura che rimase in vita per secoli, con le loro leggi, con il rispetto degli usi e costumi dei popoli assogettati e con grandi opere come ponti, strade, acquedotti, grandi costruzioni. Poi da queste vicende vissute occorre trarre le conclusioni che la lotta armata, con i suoi eccessi - vedi le liste di proscrizione -, soprattutto oggi, che dopo due Guerre Mondiali, causa di morte, distruzione e sciagure, non appaga anzi occorre che a livello globale tutti, partendo da chi ci rappresenta, ma in particolare con una "Volontà Popolare Globale" a contrubuire alla nascita di una Società Globale Razionale, fondata sulla cooperazione fra i popoli vincendo le reciproce diffidenze, differenze religiose e di mentalità e culturali, per superare tutti i Mali dell'Uomo: lo sfruttamento dei propri simili, anche in Paesi altamente evoluti, la Fame, le Malattie, il Mal Costume Globale, l'inquinamento e la desertificazione.