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I fotoaccoppiatori si usano principalmente per trasferire un segnale, sia esso digitale o analogico, da un apparato ad un altro,
tenendoli elettricamente isolati l'uno dall'altro, una condizione questa che sarebbe difficile conseguire senza l'utilizzo di questi "compo- nenti".
- Ad esempio. se si eccitassero dei triac alimentati con la tensione di rete con il segnale prove- niente dall'uscita di un amplificatore, non usando un foloaccoppiatore,
la tensione di rete a 220 volt giungerebbe direttamente sull'amplificatore, per cui diverrebbe alquanto pericoloso toccare il mobile, il giradischi. ecc.
Così, se si collegasse l'uscita di un computer ad un qualsiasi circuito esterno alimentato da una tensione continua o alternata, senza il fotoaccoppiatore questa
tensione potrebbe rientrare nel computer e danneggiarlo.
I fotoaccoppiatori vengono infine utilizzati in campo elettromedicale, per isolare gli elettrodi applicati sul corpo umano, dal circuito amplificatore alimentato
dalla rete.
Potremmo continuare con altri esempi, ma credo sia più utile a questo punto, presentare alcuni schemi che si potranno utilizzare nella pratica per le più diverse e
specifiche applicazioni.
Normalmente, un fotoaccoppiatore si presenta come visibile in fig, l. cioè come un integrato plastico "minidip" provvisto di soli 6 terminali.
Nell'interno di questo contenitore sono racchiusi un diodo emettitore all'infrarosso e un fototransistor ricevente, anch'esso all'infrarosso, come vedesi in fig. 2.
Di solito questi fotoaccoppiatori sono garantiti per un isolamento da 1.000 a 5.000 Volt, ma ne esistono anche altri di dimensioni e forme diverse,
per i quali viene garantito un isolamento di ben 15.000 volt: poichè questi ultimi vengono utilizzati raramente nelle normali applicazioni, ci soffermeremo sui
tipi piú comuni, di più ampia diffusione.
Le principali caratteristiche di questi fotoaccoppiatori possono essere così riassunte:
Diodo emittente
Corrente massima continua,...50 - 60
Corrente massima di picco.... 2 - 3 amper
Potenza massima dissipata....100 milliwatt
Tensione di lavoro media......1 - 1,5 volt
Corrente di lavoro media......10 milliamper
Tensione di rottura inversa ....5 - 7 volt
Capacità giunzione...............30 - 80 pF
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Transistor ricevente
Tensione massima collettore/emettitore....30 - 70 volt
Corrente massima collettore ....... 50milliamper
Potenza dissipata...........100-200milliwatt
Velocità dicommutaziore ....4-10microsecondi
Accoppiamento diodo/transistor
Isolamento tra diodo e transistor....1.000 - 5.000 volt
Capacità di accoppiamento .......0,3 - 1 pF
I valori minimi e massimi riportati in tale tabella, rappresentano le differenze esistenti tra un modello e l'altro.
A seconda della sigla avremo perciò, come riportato più sotto, dei fotoaccoppiatori con isolamento a 1.000 volt, altri a 2.000 volt e altri a 5.000 volt, dei
transistor riceventi con tensioni lavoro (Vce = Tensione Collettore/Emettitore) pari a 30 volt, altri a 70 volt e con una velocità di commutazione di 4 microsecondi,
di 6 o di 10 microsecondi).
Tenendo presente che in quasi tutte le applicazioni certi valori massimi difficilmente vengono raggiunti, predisponendo un progetto per i valori minimi si rimarrà
sempre nei limiti di sicurezza, quindi per uso hobbistico si potrà scegliere liberamente un qualunque fotoaccoppiatore fra i tanti tipi normalmente reperibili in
commercio.
NOTA. Ouando si sostituisce un fotoaccoppiatore si deve controllare la massima tensione di isolamento, il guadagno medio e la massima tensione che si può
applicare al collettore del fototransistor ricevente.
Un fotoaccoppiatore che presenti un isolamento di 1.000 volt e con 30 volt di collettore si può benissimo sostituire con uno che abbia un isolamento da 2.500 volt
ed una tensione di 70 volt, ma non si può eseguire l'operazione inversa.
IL DIODO EMITTENTE
L'errore più comune che abbiamo riscontrato nei vostri progetti consiste nel non aver valutato, o nell'aver erroneamente calcolato, la "corrente' da far scorrere
nel diodo emittente.
Come avrete certamente notato noi dati precedentemente riportati, tale diodo accetta una corrente massima di 50-60 milliamper, ma come per un qualsiasi altro
semiconduttore è sempre consigliabile lavorare con correnti notevolmente inferiori, ed in questo caso consigliamo di non far scorrere in tale diodo più di
10-15 milliampere.
Non lasciatevi nemmeno trarre in inganno dal valore della corrente di "picco", che, come potrete constatare, risulta sempre di valore elevato, circa 2 -3 amper, perché
si tratta di una corrente che può scorrere nel diodo come valore limite per un impulso "transitorio" di brevissima durata (circa 10 microsecondi), superando questo
"tempo", il diodo può danneggiarsi.
Occorre quindi ben valutare il significato dei valori riportati nella tabella delle caratteristiche, perché la corrente nominale IdMAX di 10-15 milliampere si può far
scorrere con continuità nel diodo, mentre ben diverso è il dato relativo alla corrente dl picco, che può scorrere solo per un brevissimo istante nel diodo se non
si vuol correre il rischio di danneggiarlo irreparabilmente.
Per questo motivo è necessario applicare sempre in serie a tale diodo una "resistenra limitatrice" R1, misurata in ohm, che andrà calcolata
tenendo presente il valore della tensione
massima VdMAX=1,2 V, che potremo applicare al fotodiodo (vedi fig. 4), calcolabile mediante questa semplice formula:
R1 = (Vi - VdMAX)/IdMAX =(Vi - 1.2) x 100 misurata in [ohm]
dove Vi è la tensione erogata dal nostro generatore (esempio amplificatore BF - integrato .... ecc.); 1,2 è la tensione presente ai capi del diodo emittente;
100 é un numero fisso che noi abbiamo definito por semplificare la formula, valutando la corrente nominale intorno ai 10 milliamper.
Se non volessimo usare questa formula semplificata, dovremmo convertire i 10 milliamper in amper e scrivere perciò 10: 1.000 = 0.01 Amper
quindi dividere (Vi - 1.2) per tale valore, come qui sotto riportato.
R1= (Vi - 1.2): 0,01 oppure R=(Vi -1,2)100 sempre misurata in ohm [ Ω ]
Ora che sapete che il valore di questa resistenza posta in serie al diodo fotoaccoppiatore non va scelto a caso, prendiamo in considerazione un
altro schema e cioè quello di collegare il diodo fotoaccoppiatore all'uscita di un integrato TTL
come visibile in fig. 5.
Anche se è di cognizione comune che l'uscita di questo integrato passando dal livello logico 0 al livello logico 1, fornisce una tensione dl 5 volt, pochi sanno
che la massima corrente che un TTL può erogare non supera mai i 2 milliamper, pertanto con una corrente così bassa il diodo lavora in
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condizioni anomale.
Per pilotare correttamente un diodo emittente tramite l'uscita di un qualsiasi integrato TTL, occorre usare una diversa configurazione, vedi fig. 6. cioè collegare
l'anodo alla tensione positiva dei 5 volt ed il catodo all'uscita dell'integrato, collegando in serie una resistenza di limitazione, che calcoleremo sfruttando
la formula che già conosciamo:
R1=(Vi - 1,2) x 100
sapendo che la tensione che forniamo al fotodiodo risulta pari a 5.1 volt, il valore della resistenza da applicare in serie sarà pari a:
R1= (5,1 - 1,2) x 100 = 390 ohm
Qualcuno potrebbe farci osservare che in molti schemi il fotoaccopplatore è collegato proprio nel modo da noi sconsigliato, cioè come visibile in fig. 4, ma a
questa obiezione rispondiamo affermando che:
- chi ha progettato questo schema non conosce le corrette modalità di impiego dei fotoaccoppiatori;
- l'integrato che pilota il fotoaccoppiatore è un C/Mos tipo CD.40106 - CD.4049 - CD.4011 - CD.4001- CD.4029 CD.4013.
Infatti questi C/Mos dispongono di uno stadio di uscita in grado di generare correnti di 15/20 mA e per questo motivo tale configurazione si può facilmente adottare.
Occorre inoltre tener presente che la tensione di alimentazione di un C/Mos, a differenza di quella di un integrato TTL, può variare da un minimo di 5 volt ad un
massimo di 15 volt, pertanto, il valore della resistenza limitatrice andrà calcolata in funzione di questa tensione,
Ammettendo che il C/Mos che piloterà il fotoaccoppiatore risulti alimentato a 9 volt, la resistenza
da applicare in serie al diodo emittente dovrà essere scelta del seguente valore,
R1=(9 - 1,2) x 100 = 780 ohm
valore che arrotonderemo a 820 ohm.
Se lo stesso CMos venisse alimentato con una tensione di 12 volt, per non danneggiare il diodo emittente dovremmo inserire in serie una resistenza di diverso valore,
più precisamente da:
R1=(12 - 1,2) x 100 = 1.080 ohm
che anche in questo caso arrottonderemo al valore standard di 1.000 ohm.
In tutti gli altri comuni CMos e sempre consigliabile pilotare il diodo emittente tramite un normale transistor al silicio NPN e qui potremmo consigliarvi due diverse
soluzioni.
Collegare direttamente la base del transistor con l'uscita del C/Mos e pilotare il nostro fototransistor con l'emettitore, calcolando il valore della resistenza R1
in funzione della tensione di alimentazione applicata sul collettore del transistor (vedi fig. 7), oppure collegare il diodo emittente in serie con il collettore del
transistore pilotare la base con un partitore resistivo composto da una resistenza da 10.000 ohm e da 22.000 ohm (vedi fig. 8).
Il valore della resistenza da applicare in serie al nostro fotoaccoppiatore andrà calcolato come indicato in precedenza, cioè in funzione alla tensione di alimentazione.
In pratica i due schemi sono perfettamente equivalenti e, quindi, la scelta dell'uno o dell'altro circuito è del tutto soggettiva.
In generale, visto che il secondo schema utilizza tre resistenze ed un transistor, mentre il primo una sola resistenza ed un transistor, quest'ultimo, per
"economicità", viene impiegato più spesso.
Non sempre però il fototransistor viene accoppiato con l'uscita di un integrato TTL o C/Mos, infatti, per realizzare un circuito di luci psichedelichedovremmo prelevare
il segnale dall'uscita di un transistor finale BF che potrebbe essere alimentato a 12 - 18 o 30 volt, oppure dall'uscita di un amplificatore operazionale alimentato
con una tensione duale di +12/-12 volt, oppure di +15/- 15 volt.
In questi casi per accoppiare il diodo emittente con il circuito utilizzeremo un condensatore elettrolitico come vedesi in fig. 9 e in fig. 10.
Per calcolare il valore della resistenza da porre in serie al diodo emittente, dovremo conoscere il valore massimo della tensione di alimentazione del circuito dal
quale preleveremo il segnale e per far questo, potremo utilizzare un normale tester in volt (nel caso in cui il circuito disponga di una tensione di alimentazione
DUALE, ad esempio +12/-12 volt o +15/-15 volt, il valore massimo della tensione di alimentazione risulterà di 24 volt o di 30 volt).
Fatto questo. per calcolare il valore della resistenza dovremo prima dividere per due tale valore e quindi inserirlo nella formula già vista precedentemente;
così, se volessimo collegare un fotoaccoppiatore all'uscita di un amplificatore alimentato, ad esempio, a 12 volt (alimentatore singolo), il valore della
resistenza da porre in serie al diodo emittente risulterebbe pari a:
(V:2)= (12: 2) = 6 volt R = (6 - 1.2) x 100 = 480 ohm [Ω]
perciò inseriremo nel circuito una resistenza di valore standard. da 470 ohm. Se volessimo invece collegare lo stesso fotoaccoppitaore all'uscita di un amplificatore
alimentato con una tensione duale, ad esempio di +30/-30 volt, poiché la massima tensione di alimentazione risulterà pari a 60 volt avremmo:
(60 : 2)= 30 volt e quindi R = (30 - 1,2) x 100 = 2.880 Ω e perciò inseriremo in serie al diodo emittente una resistenza di valore standard
da 2.700 ohm.
Utilizzando per l' eccitazione una tensione alternata si presenta un altro inconveniente relativo alla semionda NEGATIVA.
Infatti, controllando le caratteristiche del "diodo emittente" verificheremo che la massima tensione INVERSA che si può applicare a tale diodo non deve superare
i 5 - 7 volt, se si vuole evitare di metterlo "fuori uso".
A tal fine dovremo sempre applicare in parallelo al diodo emittente un diodo al silicio, come si vede in fig. 10.
In questo modo, tutte le SEMIONDE NEGATIVE verranno fugate a massa da questo diodo al silicio e il diodo emittente all'infrarosso risulterà protetto da qualsiasi
pericolosa tensione inversa.
Anche lavorando in "continua", cioè senza l'accoppiamento con lo stadio eccitatore di questo condensatore elettrolitico, l'inserire questo diodo al silicio in parallelo
a quello emittente eviterà di metterlo subito fuori uso nel caso venisse involontariamente invertita la polarità della pila o la tensione di alimentazione.
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IL FOTOTRANSISTOR RICEVENTE
Come avrete certamente notato, la "base del fototransistor ricevente non viene mai utilizzata.
In pratica, la base si potrebbe collegare a massa con una resistenza di 10-20 megaohm. Ma poiché con o senza questa resistenza la sensibilità e le caratteristiche di
funzionamento non subiscono alcuna variazione, si preferisce lasciarla "aperta".
A seconda che il fotoaccoppiatore venga utilizzalo per trasferire dei segnali digitali su un altro
integrato, oppure per pilotare dei diodi SCR o dei Triac, sarà utile sfruttare una diversa configurazione.
Per pilotare integrati TTL o C/MOS. é sempre consigliabile applicare sull'uscita del fototransistor una porta INVERTER Trigger di Schmitt, quale ad esempio una 74LS14,
per ottenere sulla sua uscita dei livelli logici ben definiti e perfettamente squadrati.
In fig. 11 é rappresentato uno schema di base, nel quale é possibile notare che l'ingresso dell'inverter TTL o C/Mos risulta direttamente collegato con il collettore
del fototransistor.
La resistenza da 10.000 ohm, inserita fra il collettore del fototransistor ed il positivo di alimentazione, ci serve per fornire tensione al collettore del
fototransistor.
II valore di questa resistenza pur non essendo critico, influenzerà la velocità di commutazione dei fototranslstor, specialmente se in uscita risulta collegato un
integrato TTL
In pratica. poiché questi circuiti lavorano sempre con segnali relativamente "lenti" (solitamente nell'ordine dei 15.000-20.000 Hz), si potrà scegliere un valore
"standard" di 10.000 ohm.
Volendo renderlo più veloce per lavorare anche con frequenze di 40.000-50.000 Hz, potremo ridurre il valore di tale resistenza a circa 1.000 ohm per i TTL ed a
3.300 ohm per i C/Mos.
Precisiamo che non è possibile lavorare su frequenze più elevate, perché sia il diodo emittente che il transistor ricevente oltre questo limite risultano
decisamente critici da utilizzare.
Un'altra variante che si può utilizzare per trasferire dei segnali "digitali', consiste nel collegare l'ingresso della porta trigger all'emettitore come visibile
in fig. 12:
in questo caso. la resistenza posta fra l'emettitore e la massa dovrà avere un valore ben definito, a seconda che l'inverter impiegato sia un TTL (come ad esempio un
normale SN.7414), oppure un TTL tipo LS (come ad esempio un SN.74LS14) o un qualunque C/Mos (come ad esempio CD.40106), perché nel caso prescelto il valore dl questa
resistenza ci permetterà di pilotare correttamente l'ingresso dell'inverter.
Per questa ragione, utilizzando un normale TTL tipo SN 7414, i l valore di tale resistenza dovrà risultare di soli 180 ohm, utilizzando un LS, tipo SN.74LS14, dovremo
portare tale valore a 560 ohm, infine utilizzando una porta logica C/Mos, tipo CD.40106, poiché la corrente di ingresso per questi integrati è sempre molto esigua,
dovremo scegliere un qualsiasi valore compreso fra i 1.000 ohm ed i 10.000 ohm.
E per questo motivo che, vedendo in altre pubblicazioni schemi di fotoaccoppiatori, si comprende che si tratta di circuiti che non sono mai stati montati
ne collaudati, perché per un
integrato TTL è riportato il valore di integrati C/Mos o viceversa.
Quando si monta un circuito di questo tipo, utilizzando come inverter degli integrati TTL, sarebbe bene controllare che, in assenza di segnale, ai capi della
resistenza non sia mai presente una tensione superiore agli 0.4 volt (livello logico 0).
Non dovrete eseguire questo controllo con un comune tester, perché la sua bassa resistenza interna può fornire un valore errato, ma con un tester digitale, o con
un voltmetro elettronico che, posto in CC, vi consentirà di rilevare subito se sull'emettitore il livello logico 0 corrisponde a 0,2-0,3 volt.
Se il valore di tensione è maggiore, occorre ridurre il valore ohmmico della resistenza.
PER PILOTARE RELÈ o ALIMENTARE MOTORINI
Un fototransistor si puó impiegare anche per eccitare dei relè, oppure per pilotare dei piccoli motorini, dei teleruttori, ecc.
Così, per eccitare un relè tramite impulsi erogati in uscita da un qualsiasi computer, dovremo applicare (come vedesi in fig. 13) una resistenza di circa 10.000 ohm tra
l'emettitore del fototransistor e la massa, poi collegare su tale uscita la base di un transistor di media potenza, per esempio un BD.137, in grado di erogare un
massimo di 0,5 amper.
Il relè da applicare in serie al collettore di questo BD.137 andrà scelto, ovviamente, in funzione della tensione di alimentazione, cioè se alimenteremo questo
transistor con 12 volt, utilizzeremo un relè da 12 volt, se lo alimenteremo con 24 o 28 volt, dovremo inserire un relè idoneo a lavorare con tale tensione.
Il diodo led collegato in parallelo alla bobina del relè e al diodo al silicio DS1 di protezione, ci permetterà di appurare quando il relè risulta eccitato (led acceso)
o diseccitato (led spento).
In tale schema non è riportato il valore della resistenza R1, posta in serie al diodo ]ed, in quanto esso dipende dalla tensione di
alimentazione utilizzata
Per calcolare approssimativamente il valore di questa resistenza (calcolo utile anche per determinare in qualsiasi altro circuito, quale resistenza usare in funzione
della tensione di alimentazione), utilizzeremo la seguente formula:
R = (Va - 1,2) x 66 [Ω]
Ammesso che la tensione di alimentazione Va risulti di 12 volt, il valore della resistenza da porre in serie a questo diodo led risulterà
pari a:
R=(12 - 1,2) x 66 = 712 ohm
Se vorremo ottenere da tale diodo una maggiore luminosità, utilizzeremo una resistenza da 680 [Ω]
e se, invece, vorremo minore luminosità, ne sceglieremo una da 820 ohm.
Nello stesso circuito in sostituzione del relè potremo collegare anche un qualsiasi motorino in CC.
Se tale motorino assorbisse una corrente maggioredi 0.5 amper, massimo consentito dal BD.137 (0.5 amper), potremmo collegare sull'uscita del fototransistor un
"darlington" di potenza.
Se il motorino da collegare in uscita anziché risultare CC, fosse in alternata, lo schema andrebbe modificatocome visibile in fig. 14, cioè inserendo tra emettitore e
collettore del BD.137, un ponte raddrizzatore da 1 amper massimo.
Anche in questo caso se la corrente assorbita dal motorino risultasse superiore a 0,5 - 1 amper. dovremmo sostituire il transistor DB.137 con un darlington di potenza
e utilizzare un ponte raddrizzatore (o quattro diodi raddrizzatori posti a ponte), capace di fornire la massima corrente richiesta.
Come tensione massima di alimentazione sarà bene non superare i 28 - 29 volt.
Sostituendo nello schema di fig. 14 il motorino con l'elettrocalamita di un tiro porta, potreste realizzare una semplice "serratura elettronica".
Per eccitare dall'esterno il nostro relè sarà sufficiente toccare con una pila da 9 volt i due terminali che fanno capo al fotodiodo (come vedesi in fig. 14).
Il diodo al silicio DS1, posto sull'ingresso, serve per evitare di bruciare il fotodiodo se, per errore, la pila viene collegata in senso inverso.
PER ECCITARE DEI TRIAC
Per pilotare dei Triac si potrebbe sfruttare lo schema universale riportato in fig. 15.
Come é possibile constatare, il transistor NPN di bassa potenza collegato all'uscita del fotoaccoppiatore, viene alimentato direttamente dalla tensione di rete a 220
volt tramite la resistenza R5 da 1.000 ohm 1 watt ed il condensatore C2 da 150.000 pF 400 volt lavoro.
La tensione viene raddrizzata dal diodo al silicio DS1 e infine stabilizzata sui 15 volt dal diodo zener DZ1,
In presenza di TRIAC molto duri ad eccitarsi, si potrà sostituire la resistenza R3 da 220 ohm con una da 150 ohm, in modo da aumentare la
corrente di innesco.
FREQUENZA DI RIFERIMENTO A 50 Hz
Per far funzionare degli orologi con la frequenza di rete a 50 Hz, per ottenere dei segnali di sincronismo sempre a 50 Hz, oppure per comandare la linea interrupt su
microprocessori, si puó prelevare questa frequenza direttamente dalla rete con lo schema
riportato in fig. 16.
II transistor NPN collegate sull'uscita dei fotoaccoppiatore ed il condensatore da 100.000 pF collegato fra la base ed il collettore di tale transistor, servono
per filtrare la frequenza di rete ed eliminare così da questa eventuali impulsi spuri.
Il segnale a 50 Hz così ottenuto giungerà dal collettore del transistor sull'ingresso di un inverter a trigger di Schmitt, sulla cui uscita potremo prelevare un segnale
ad onda quadra amplificato e perfettamente squadrato.
LINEA DI TRASFERIMENTO da TTL a TTL
Come abbiamo precedentemente accennato. poiché i fotoaccoppiatori sono in grado di trasferire senza alcuna difficoltà segnali la cui frequenza supera normalmente i 40.000 - 50.000 Hz. si potrebbe supporre che questo sia il loro limite massimo.
Invece, collegando sull'uscita dei fotoaccoppiatore un comparatore tipo LM.311 (come vedesi in fig. 17), si riescono a raggiungere frequenze attorno ai 100.000 Hz.
Come potrete constatare, sul l'Ingresso invertente dell'integrato LM.311 viene direttamente applicato il segnale presente sull'emettitore del fototransistor, mentre sull'ingresso non Invertente tale segnale giunge tramite un "integratore' composto dalla resistenza R3 e dal condensatore Ci: in questo modo, sull'uscita dell'integrato LM.311 potremo disporre di impulsi "più larghi". perfettamente idonei a pilotare integrati TTL.
Modificando il valore del condensatore C1, potremo variare proporzionalmente la larghezza di tali impulsi, così con 10.000 pF o 12.000 pF otterremo degli impulsi molto "larghi",
mentre, diminuendo tale valore a 8.200 pF o a 6.800 pF, otterremo degli impulsi più "stretti".
TRASFERIMENTO SEGNALI LINEARI
Negli esempi fin qui presi in esame, abbiamo considerato solo segnali logici, cioè trasmissioni di impulsi a livelli logici 1 o 0, ma non abbiamo ancora indicato come sia
possibile utilizzare questi fotoaccoppiatori per segnali "lineari", cioè per trasferire dei segnali di BF dal fotodiodo al fototransistor.
Siamo certi che finora non avete mai visto schemi per tali applicazioni ed il motivo di questa lacuna è molto semplice: il fotoaccoppiatore ha il difetto di non
risultare lineare, per cui se nel trasferimento di un segnale sinusoidale non si adottano dei semplici, ma necessari accorgimenti, si avranno delle notevoli distorsioni.
Lo schema che vi proponiamo,
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visibile in fig. 18, ci permetterà di trasferire dal diodo emittente al transistor ricevente un qualsiasi segnale di BF, da un minimo di 20 Hz ad un massimo di 20.000 Hz,
senza che questo subisca alcuna distorsione.
II diodo emittente, come potrete constatare, lo dovremo pilotare con un operazionale tipo TL.081, alimentato con una tensione singola variabile da un minimo di 10 volt
ad un massimo di 15 volt.
Ovviamente, il transistor ricevente andrà alimentato con una tensione separata dalla precedente, perché un fotoaccoppiatore serve appunto per tenere isolato
elettricamente lo stadio d'ingresso da quello di uscita.
La tensione per alimentare questo transistor potrà variare da un minimo di 9 volt ad un massimo di 15 volt.
Una volta montato il circuito, per ottenere un trasferimento lineare dovremo semplicemente ruotare il trimmer R4 posto in serie al
fotoaccoppiatore, fino a leggere sulla resistenza R5, posta in serie all'emettitore del transistor, una tensione pari alla META della
tensione di alimentazione applicata sul collettore.
Se, ad esempio, alimentassimo il transistor ricevente con una tensione di 9 volt, dovremmo regolare il trimmer R4,
fino a leggere ai capi della R5 una tensione di 4,5 volt.
Se, invece, alimentassimo il transistor con una tensione di 15 volt è intuitivo che il trimmer R4
andrebbe regolato fino a leggere ai capi della resistenza R5 una tensione di 7,5 volt.
Il segnale di BF presente ai capi di questa resistenza andrà poi applicalo ad un amplificatore tramite un condensatore di
disaccoppiamento, che abbia una capacità di
1 microfarad ed anche più, se si desidera che i segnali a frequenza più bassa, cioè inferiori a 100 Hz, vengano trasferiti senza una
apprezzabile attenuazione.
LE DIVERSE ZOCCOLATURE
Per completare questo articolo abbiamo riprodotto in fig. 3 le connessioni e la zoccolatura dei più comuni fotoaccoppiatori utilizzati in campo
industriale e hobbistico. A questi abbiamo aggiunto altri tipi di fotoaccoppiatori, meno diffusi, ma che comunque è utile conoscere anche solo a
titolo informativo.
Esistono infatti anche dei fotoaccoppiatori bidirezionali, altri con il fototransistor collegato internamente in darlington con un transistor
preamplificatore (vedi fig. 3).
In altri modelli, entro lo stesso involucro, sono presenti due fotoaccoppiatori, oppure quattro, come vedesi in fig. 3.
Vi sono ancora dei minuscoli contenitori plastici provvisti di soli 4 piedini, due per il diodo emittente e due per il fototransistor, con la
base scollegata.
Quando inserirete nello zoccolo un fotoaccoppiatore, dovrete fare molta attenzione al 'punto di riferimento" posto sul suo corpo, quasi sempre
riportato vicino al piedino 1.
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