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  Giuseppe Pignatale  Presenta:
   Storia contemporanea:

LA PRIMA GUERRA INDIPENDENZA.

Da sempre il regno sardo voleva ingrandirsi annettendo i territori lombardi: nel 1848 si pensò che fosse possibile ......

 
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La dichiarazione di guerra all'Austria.

Mentre a Milano tutto il popolo combatteva per scacciare dalla città gli Austriaci, una delegazione di cittadini milanesi giunse a Torino per chiedere a Carlo Alberto di accorrere col suo esercito in aiuto degli insorti. II re sabaudo da principio si dimostrò molto indeciso, sebbene in quei giorni il popolo torinese invocasse con continue manifestazioni di piazza la guerra all'Austria e il conte di Cavour dalle colonne del suo giornale ammonisse che, "l'ora suprema per la monarchia sarda è suonata" e che "l'esitazione, il dubbio, gli indugi non sono più possibili" .
Carlo Alberto indugiava a prendere una decisione perché pensava non solo al rischio a cui avrebbe esposto la propria corona cimentandosi in una guerra contro l'Austria che, per quanto fosse sconvolta dalle rivoluzioni, tuttavia possedeva uno dei più forti eserciti d'Europa, ma anche al pericolo che le forze democratiche, promotrici dell'insurrezione milanese che apertamente orientate verso la repubblica, prendessero il sopravvento e gli impedissero di dare inizio all'attuazione del programma, già delineatosi nella sua mente, di giungere all'unione italiana attraverso il progressivo ingrandimento del Piemonte.

I delegati milanesi, uomini di tendenze liberali moderate e perciò favorevoli all'annessione della Lombardia al Piemonte, riuscirono a vincere le sue incertezze prospettandogli la necessità di affrettarsi appunto per arrivare in tempo a togliere ogni iniziativa ai federalisti repubblicani e ai mazziniani.


Sopra: Torino - Lo storico balcone dell'Armeria Reale, da dove Carlo Alberto il 23-3-48 proclamò la guerra all'Austria-

Finalmente nella notte del 23 marzo, quando già Milano era libera, Carlo Alberto fece votare dal Parlamento la guerra all'Austria e, dopo aver lanciato un proclama ai popoli della Lombardia e della Venezia, si accinse a varcare con le sue truppe il Ticino. Nel proclama egli annunziava di entrare in Lombardia per portare quell'aiuto che il fratello aspetta dal fratello e l'amico dall'amico Ma, secondo i democratici milanesi, ormai l'aiuto giungeva troppo tardi, perché, con la cacciata degli Austriaci dalla città, il più era già fatto. Questo ritardo gli nocque, perché servì ad avvalorare l'accusa, mossagli da più parti, di aver dichiarato la guerra all'Austria non tanto per amore della libertà e dell'indipendenza del popoli della Lombardia e della Venezia, quanto per l'ambizione di ingrandire il proprio Stato. II sospetto, gettato sulle sue intenzioni e sul suo operato da tale accusa, fu una delle principali cause dello scarso contributo di forze e di mezzi offertogli dai Lombardi durante le operazioni di guerra nel loro territorio, e inoltre delle difficoltà che egli incontrò quando pretese, dopo i primi successi militari, che i governi provvisori di Milano, di Venezia, di Parma e di Modena ordinassero i plebisciti per l'annessione al Piemonte. L'esercito messo in campo da Carlo Alberto assommava a circa 6o.ooo uomini. Dal Regno di Napoli giunsero, per unirsi ad esso, 15.000 soldati comandati dal generale Guglielmo Pepc; lo Stato Pontificio ne mandò io.ooo al comando del generale piemontese Giacomo Durando; 3.000 arrivarono dalla Toscana, ai quali si

aggiunsero 3.000 volontari, in massima parte studenti universitari coi loro professori; altri volontari accorsero da Parma e da Modena, e alcuni anche dalla stessa Lombardia.
Nell'esercito del re Sabaudo erano dunque rappresentate tutte le regioni della Penisola, onde la guerra del Piemonte contro l'Austria appariva veramente come la guerra nazionale del popolo italiano per l'indipendenza dell'Italia dallo straniero. Per indicare questo carattere nazionale dell'impresa, Carlo Alberto fece adottare la bandiera tricolore; ma egli volle anche indicare chiaramente che l'iniziativa, la condotta e la responsabilità di essa spettavano unicamente al Piemonte, e stabili che al tricolore italiano fosse sovrapposto lo scudo dei Savoia, sotto il quale furono obbligati ad inquadrarsi anche i volontari, al comando di ufficiali piemontesi di carriera che ne frenarono e ne mortificarono l'entusiasmo iniziale.
Tutto ciò rese impossibile la formazione di quella lega dei principi italiani che era auspicata sia dai neo-guelfi sia da molti liberali moderati e che forse avrebbe evitato o almeno ritardato la defezione, avvenuta dopo i successi iniziali, di quasi tutte le forze non piemontesi.



La campagna del 1848.

L'esercito piemontese, varcato il Ticino, si diresse verso il Mincio per raggiungere il Quadrilatero. Combattimenti avvennero a Goito, a Valeggio e a Mozambano, presso il Mincio, con lo scopo di assicurarsi i ponti sul fiume. Poi Carlo Alberto cominciò l'investimento della fortezza di Peschiera, mentre una parte del suo esercito avanzava nel Veneto, verso l'Adige, per tagliare le comunicazioni tra Peschiera e Verona, e il 30 aprile sconfisse il nemico a Pastrengo. Quindi le avanguardie si spinsero fino al villaggio di S. Lucia, quasi alle porte di Verona, ma furono respinte e dovettero ripiegare verso Peschiera.
Purtroppo pochi giorni prima era accaduto un fatto nuovo che aveva spezzato l'unità morale e militare degli Italiani, contribuendo a volgere le sorti della guerra in favore degli Austriaci. II 29 aprile Pio IX, di fronte alla minaccia di uno scisma religioso in Austria e in Germania, aveva affermato, in una pubblica Allocuzione, che il Papa, come padre di tutti i cattolici e come rappresentante sulla terra del principe della pace, non poteva partecipare a nessuna guerra, ed aveva richiamato dal fronte le milizie pontificie.
Essendosi convinto dell'impossibilità di conciliare gli interessi generali della Chiesa con le aspirazioni nazionali degli Italiani, Pio IX separava così definitivamente, dopo tante speranze suscitate con le sue riforme, la causa della Chiesa da quella dell'indipendenza italiana. Poco dopo, seguendo il suo esempio, anche Ferdinando l re di Napoli e Leopoldo II di Toscana ordinarono il rientro delle proprie truppe. Con Carlo Alberto rimasero il Pepe e il Durando con qualche migliaio tra volontari e regolari, che non vollero ubbidire agli ordini dei loro sovrani.

In questo modo nel corso delle operazioni le forze degli Italiani andarono scemando, e i Piemontesi rimasero quasi da soli a sostenere il peso della guerra proprio mentre le forze dei nemico, essendo stata sedata la rivolta di Vienna, si accrescevano con l'arrivo di nuovi contingenti. A questo punto il Radetzkv, disponendo di forze fresche, mosse da Mantova per tentare un colpo decisivo contro l'ala destra dello schieramento piemontese, che si estendeva sulla riva destra del Mincio, tra Mantova e Peschiera. La manovra di aggiramento però non gli riuscì per la tenace resistenza opposta dai battaglioni di Pisa e di Siena tra i villaggi di Curtatone e di Montanara (29 maggio): Carlo Alberto ebbe così il tempo di compiere una conversione del fronte, e il giorno seguente poté riportare sul nemico la grande vittoria di Goito (30 maggio).
Sul finire di quel fortunato giorno ai soldati esultanti giunse la notizia della resa di Peschiera, ed essi, al colmo dell'entusiasmo, "alto ondeggiando le sabaude insegne" , acclamarono Carlo Alberto col grido di Viva il Re d'Italia! Fu questo l'ultimo successo della causa nazionale. Nel mese di giugno le operazioni militari subirono un rallentamento, che consenti al Radetzkv di riordinare le sue truppe e di procedere indisturbato alla rioccupazione di tutto il Veneto, eccettuata la città di Venezia.
Ormai Carlo Alberto, amareggiato dall'abbandono degli altri principi italiani e dai contrasti sorti per la questione delle annessioni, aveva perso la fiducia nella vittoria. Nel mese di luglio il Radetzky, ormai forte di centomila uomini, sferrò l'attacco definitivo, che protrasse dal 22 al 25 luglio, nei dintorni di Custoza: l'esercito piemontese, sconfitto, fu costretto a ritirarsi dal Mincio al Ticino.
Due piccole azioni di retroguardia avvennero a Cremona e presso Milano, e il 9 agosto Carlo Alberto chiese un armistizio, che fu detto di Salasco dal nome del generale che lo negoziò.
La guerra regolare era finita. Essa fu continuata per una quindicina di giorni da Giuseppe Garibaldi, che alla notizia dei moti milanesi era ritornato dall'America in Italia per combattere contro gli Austriaci, ma che Carlo Alberto non aveva accolto nell'esercito piemontese, perché sul suo capo pendeva ancora la condanna a morte inflittagli nel 1833 come rivoluzionario. Perciò si era messo a raccogliere volontari per condurre la guerra per conto proprio. Dopo l'armistizio di Salasco, comparve sui monti comaschi, al comando di un battaglione di volontari lombardi, e riportò sul nemico un notevole successo a Luino, sul lago Maggiore; ma poi, premuto da soverchianti forze, dovette riparare in Svizzera (26 agosto).



La riscossa democratica.

Dopo la sfortunata conclusione della campagna di Carlo Alberto, da molti patrioti si sperò che la rivoluzione popolare potesse compiere ciò che non avevano potuto le armi regie, e l'idea repubblicana per qualche tempo riprese vigore. Nel giro di pochi mesi, in mezzo all'imperversare delle passioni di parte, nei governi costituzionali di Roma e di Firenze il partito repubblicano prevalse contro i monarchici e i federalisti moderati.
Pio IX, esautorato e messo nell'impossibilità di governare, nel novembre del t848, dopo l'uccisione del suo ministro Pellegrino Rossi, abbandonò il Vaticano e riparò a Gaeta, mettendosi sotto la protezione del re di Napoli, che nel maggio aveva abolito la Costituzione e restaurato il governo assoluto.


Sopra: Carlo Alberto varca il Ticino col suo esercito per muovere alla liberazione del Lombardo-Veneto dal dominio austriaco.


Sotto: la battaglia di Goito.


Sopra: la difesa di monte Berico - 10 giugno 1848.

Allora i repubblicani di Roma dichiararono decaduto il potere temporale e proclamarono la Repubblica Romana, la cui reggenza venne assunta da un triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini ed Aurelio Saffi (5 febbraio 1849). Poco tempo dopo l'esempio del Papa fu seguito dal granduca di Toscana Leopoldo il, che si rifugiò anch'egli a Gaeta, mentre a Firenze veniva costituito un governo provvisorio retto dai triumviri Giuseppe Mazzoni, Francesco Domenico Gucrrazzi e Giuseppe Montanelli.


 LA RIPRESA DELLA GUERRA.

In Piemonte i liheali moderati erano contrari a una ripresa della guerra, perché temevano che l'esercito piemontese, troppo inferiore per numero, armamento ed organizzazione all'esercito austriaco, si sarebbe esposto a una più grave sconfitta. Invece la guerra era voluta dai democratici rivoluzionari, fautori delle decisioni audaci ed avventate, e soprattutto dai numerosissimi profughi del LombardoVeneto, per i quali il definitivo ritorno della loro terra sotto l'Austria significava la condanna a un perpetuo esilio. Per Carlo Alberto fare la pace con l'Austria significava rinunziare alla funzione che si era assunta di guida del movimento nazionale, ed avvalorare inoltre l'accusa dei suoi nemici di aver intrapreso la guerra non per il bene dell'Italia, ma per soddisfare le sue ambizioni dinastiche. Alla fine le ragioni dei democratici e dei profughi e le considerazioni del re prevalsero sulle ragioni di prudenza opposte dai moderati, e il tz marzo 1849 l'armistizio fu rotto. Poiché l'anno precedente i generali di Carlo Alberto non sempre avevano offerto buona prova delle loro capacità militari, il comando supremo della guerra venne affidato a un patriota polacco esule a Torino, il generale Alberto Chrzanowsky, che aveva partecipato all'insurrezione polacca del 1830 e che era circondato da una fama superiore alle sue reali capacità tattiche e strategiche.
Egli stabili di passare il Ticino al ponte di Buffalora per marciare direttamente su Milano, mentre il generale Ramorino con una divisione di volontari doveva sbarrare al nemico il ponte di Pavia presso la confluenza del Ticino nel Po. Il Ramorino invece, di propria iniziativa, si portò sulla destra de Po, lasciando incustodito il .
 
 Sopra: C.Ferrari- I superstiti di Novara.

ponte, per il quale il Radetzkv penetrò in Piemonte e si diresse col suo esercito alla volta di Novara con l'intenzione di proseguire la marcia verso Torino. Per questa grave insubordinazione, che compromise irreparabilmente l'esito della guerra, il Ramorino fu in seguito processato e condannato alla fucilazione. Il Chrzanocvskv dovette in tutta fretta tornare indietro per tentare di arrestare il nemico nel territorio piemontese. In un primo scontro sostenuto nei pressi del Ticino, alla Sforzesca, contro l'avanguardia degli Austriaci, la fortuna arrise ai Piemontesi; ma il 23 marzo, attaccati a Novara dall'intero esercito nemico, essi subirono una gravissima sconfitta. La sera stessa di quel tragico giorno Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele e, senza neppure passare da Torino per rivedere la consorte, prese la via dell'esilio. Quattro mesi dopo egli morì nella città di Oporto, in Portogallo, in una solitaria villa di fronte all'Atlantico (28 luglio tS49).
Il nuovo re si abboccò col maresciallo Radetzkv in una cascina di Vignale, presso Novara, per trattare l'armistizio. Alla proposta di abolire la Costituzione e il tricolore italiano in cambio di miti condizioni di pace e di qualche ingrandimento territoriale a spese dei Ducati, egli rispose sdegnosamente che "la Casa di Savoia conosce la via dell'esilio, non quella del disonore ". Questa risposta gli meritò il titolo di re galantuomo.
La pace fu firmata il 6 agosto a Milano: il Regno di Sardegna non subì perdite territoriali, ma dovette pagare all'Austria una fortissima indennità di guerra.




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 Sopra: stampa dell'epoca: Carlo Alberto abdica dopo la sconfitta di  Novara.